Caschi Bianchi Ecuador

Tejiendo suenos

La sfida educativa è tangibile in tanti piccoli gesti, tante domande che sorgono spontanee tra gli alberi di Playita dove pensare al futuro e al mondo è difficile, ma non impossibile

Scritto da Valentina d’Ippolito, Casco Bianco in servizio civile con ENGIM-FOCSIV a Tena

Siamo in Ecuador, alle porte della foresta amazzonica. Sulla sponda del fiume Pano, appena prima che questo confluisca nel fiume Tena, di fronte al parco Amazónico “La Isla” che offre uno spettacolo di flora nativa unico nel suo genere, si trova il Barrio las Playas. Quello che fino a settant’anni fa era una lunga spiaggia fluviale quasi deserta, adesso è un quartiere popolato in pieno centro della città di Tena. A Playita, così lo chiamano informalmente le persone del posto, vive una comunità kichwa di una dozzina di famiglie numerosissime, organizzate in piccole case auto-costruite in materiali di recupero quali legno, guadua, plastica e lamiere metalliche. Al di là del fascino naturalistico del luogo e del carattere autentico che la comunità esprime, il barrio, che già nel 2017 ha subito due inondazioni, è situato in una zona considerata ad alto rischio; gli agglomerati di case, inoltre, non rispondono alle norme igieniche e di sicurezza richieste ed i servizi di base sono scarsi o assenti.

I ventiquattro bambini che vivono qui corrono a piedi nudi sulla terra battuta, riempendo le stradine di colori e di risate. A loro è dedicato il progetto “Apoyo integral infantil” di cui faccio parte. A loro, è dedicata la maggior parte dei miei pensieri e delle mie attenzioni quotidiane. Da quando le scuole sono state chiuse, ormai quasi da un anno, e sono stati vietati gli assembramenti, ENGiM porta avanti i progetti di rinforzo scolastico non più a casa Bonuchelli ma direttamente nelle varie comunità del territorio. Per questo motivo a Playita ci rechiamo ogni mattina io, Gaby, Matteo e Orsiola, portando avanti il sostegno scolastico e numerose altre attività, momenti di crescita che permettano ai bambini di godere del diritto allo studio, al gioco e all’alimentazione. Due ore di compiti scolastici e un’ora di creatività educativa tra cui lettura, teatro, balli, musica, manualità, riuso, sport e così via. È la mia prima esperienza da educatrice, non avrei mai pensato di appassionarmi così.

La realtà che viviamo ogni giorno è impegnativa. La pandemia ha esasperato le condizioni di vulnerabilità dei più piccoli che sono sempre più insicuri; soffrono di deficit comunicativi e di attenzione, sono esposti ad una pericolosa emarginazione sociale. Perché non vanno a scuola e la scuola rappresenta il principio dell’esistenza sociale del bambino, della sua cittadinanza in senso pieno. Ad esempio, il solo fatto di “andare a scuola”, inteso come azione fisica, è forse più importante di qualunque metodo o altro contenuto educativo. I ragazzi avrebbero bisogno di mescolarsi, di confrontarsi con l’esterno, di studiare con gli altri. Invece, fatte salve poche eccezioni, non escono dal barrio. Non c’è alcuno scambio al di fuori, nessuna interazione. Vivono solo tra di loro, isolati, tra le case, le piante e il fiume. Come si possono creare i presupposti per una vita autonoma, per una posizione non subalterna rispetto ai codici familiari e comunitari? Pensieri rivolti al futuro questi. D’altronde è tipico di noi adulti proiettare e pianificare. I più piccoli invece non hanno bisogno di una visione rispetto al domani. Loro vogliono giocare, tutto il giorno giocare, sono instancabili rispetto a questo. Vivono alla giornata ridendo, piangendo, correndo, cercando piccole soddisfazioni immediate, spesso alla ricerca di ‘prevaricare’ sull’altro. Te gané! te gané!. In un minuto percorrono la ripida salita che li separa dalla strada principale del Barrio Las Playas, arrivano al negozietto dove per pochissimi spiccioli si comprano una merendina. Scartano la plastica che avvolge la golosina, il gelato, il cioccolatino o il manì e la buttano a terra. È un gesto automatico, spensierato: scartano e buttano a terra. Questa plastica di mille colori poi a terra rimane, invade gli angoli del barrio, finisce nel fiume. Lo stesso fiume in cui si lavano. Non apprezzano il valore della vita di altri esseri viventi come piante o animali ai quali riservano alternativamente gesti di affetto o di ira. Anche gli oggetti sono trattati senza cura. Come si crea consapevolezza?

A livello scolastico non è facile farsi ascoltare, tantomeno riuscire a catturare la loro attenzione e mantenere viva la loro concentrazione. I più grandi del gruppo riescono a leggere ma spesso non capiscono cosa stanno leggendo; nello scrivere perlopiù copiano, sembra che abbiano difficoltà nell’esprimere quello che pensano. Il punto è che non capiscono l’importanza di imparare e mi domando, perché dovrebbero? Manca loro un’aspirazione, una motivazione?

Passando il tempo insieme a loro è facile accorgersi di quanto questi bambini siano svegli, intelligenti. Hanno un potenziale enorme e sono pieni di energia e di amore. Quanto amore riescono a dare. Sono sempre disposti a ridere di gusto, ridono come noi non ci ricordiamo più. Sono vivaci e scalmanati. Sono vita allo stato grezzo, puro, essenziale. Non pensare al domani, voglio solo divertirmi e giocare e ridere di gusto e no che non mi stanco io di questo. Ma cosa volete da me? A che mi serve sapere queste lettere noiose se posso giocare e ridere ancora un po’? Ma che vi frega a voi se picchio il pollo? Tanto poi ce lo mangiamo il pollo noi. Perché dovrei, io, pensare al cambiamento climatico, all’inquinamento dei fiumi, alla plastica, agli animali. Perché dovrei, dico io, sistemare la mia casa, se domani potrebbe mangiarsela il fiume? Ma che volete da me? mica sono come voi, io la vita me la voglio godere giorno per giorno perché io del doman non ho certezza, e voi.

Non nego di aver avuto momenti di sconforto nel primo periodo. Specialmente quando l’atteggiamento di alcuni ragazzi diventava particolarmente oppositivo. Mi sono chiesta se servisse a qualcosa tutto il nostro lavoro. Poi, credo di aver capito insieme ai miei compagni, che l’intenzionalità nel fare le cose fa tutta la differenza. Allora ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo intensificato le attività, focalizzato la direzione, o forse, molto semplicemente, ho cambiato modo di vedere la questione. Non so come sia andata precisamente, ma è possibile che da un atteggiamento positivo si attivino cose positive, e così a metà gennaio è emerso con i genitori dei bambini che sono un’architetta specializzata nella realizzazione di strutture in bambù. Quindi si è presentata l’occasione di realizzare, insieme a loro, uno spazio migliore per svolgere le ore di scuola, condotte sinora sotto lamiere metalliche bucate o teli di plastica. Inutile dire quanto sia stato incredibile per me partecipare al processo di autocostruzione della nuova copertura di Playita. Questo tipo di costruzioni si chiamano chozas toquillas, fanno parte della tradizione costruttiva ancestrale kichwua tuttora molto viva e sono formate generalmente da una struttura in chonta e guadua e da una copertura di foglie di palma intrecciate.

Costruire collettivamente è sempre un’esperienza bellissima e, mentre la choza prendeva forma, stavamo costruendo qualcosa di più. Mentre stavamo letteralmente intrecciando le foglie in copertura, si intrecciavano nuove relazioni, sostenute dagli sguardi ammirati dei bambini. E qui ho capito che una comunità educante non è fatta solo di maestri ed educatori ma soprattutto di famiglie. Le famiglie hanno un ruolo cruciale: è importante creare relazioni di fiducia e mandare messaggi coerenti, importante che gli adulti di riferimento viaggino insieme, nella stessa direzione. In quella settimana lo stavamo facendo. Il linguaggio non verbale che si è instaurato con i bambini è una cosa meravigliosa, passa attraverso altri canali comunicativi come il gioco, i sorrisi, i gesti, gli sguardi. Sono stati soprattutto gli sguardi che mi hanno suggerito alcune risposte alle tantissime domande che mi faccio. Nel tentativo di insegnare ai bambini accade che sono loro che insegnano a me. Adesso che sento il nostro amore bruciare per il nostro lavoro, per le persone incontrate, per i bambini abbracciati, ho capito che l’autostima è un’energia potente nel processo di apprendimento e che la dimensione in cui possiamo realmente fare qualcosa è il presente. Tanto la vita è imprevedibile e forse i bambini lo sanno meglio di noi. È sicuramente importante interrogarsi su dove punti la vela e immaginare per ciascuno di loro il proprio sentiero di apprendimento, ma più importante è che siano felici qui e ora, che si sentano amati oggi e che vivano intensamente ogni momento, forse in questa maniera i processi di apprendimento e le energie cresceranno e anche il domani sarà bello.

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