Caschi Bianchi Ecuador

Lottare contro Golia

Lo sfruttamento delle risorse naturali da parte di multinazionali occidentali è una piaga dilagante, in Ecuador come nel resto del sud America.
Luca ci racconta la sua esperienza affianco di UDAPT – Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere della Chevron-Texaco – che da anni lotta per i diritti umani ambientali delle comunità locali.

Scritto da Luca Romano, Casco Bianco in Servizio Civile con FOCSIV a Quito

Sono rientrato a casa soltanto da qualche minuto, ho avuto giusto il tempo di salutare i miei coinquilini, quando arriva il messaggio di Donald che stavo aspettando. È domenica, 25 settembre, e sono circa le 5:30 del pomeriggio: “Listo Luca, hay espacio en el carro. El compañero Elia coge el autobús y a la vuelta nos organizamos, así que tú también vienes. Te recogeremos con Alice en una hora” (c’è spazio nella macchina Luca. Il collega Elia prende il bus e per il ritorno ci organizziamo, quindi vieni anche tu. Ti veniamo a prendere con Alice tra un’ora). Eccolo, già me lo sentivo, si va a Quito.

Me lo stavo aspettando, quel “vieni anche tu”, perché sapevo che Donald avrebbe trovato un posto anche per me, come lo trova sempre per tutti. Ma devo ammettere, almeno a me stesso e solo per un secondo perché ne va del mio orgoglio, di sentirmi molto stanco all’idea di rimettermi in macchina. Solo nelle scorse 36 ore mi sono svegliato due volte all’alba, ho viaggiato per le tortuose strade della provincia di Sucumbíos, ho partecipato a un formazione sulla cultura ortofrutticola comunitaria, ho accolto un gruppo di studenti liceali nel mezzo di un toxic-tour (ci torneremo a breve), ho preso parte a una seconda formazione di comunicazione sociale, poi a un terzo incontro sul rafforzamento dei comitati femministi locali, ho scattato foto e registrato video, ho dormito all’aperto della foresta amazzonica in una scomodissima amaca e in generale ho fatto più cose di quante ne avrei fatte in una settimana, in Italia. Adesso, la prospettiva che si presenta è quella di un viaggio notturno di circa sette ore verso Quito, la capitale, con ritorno il giorno dopo. Per un secondo vacillo.
Alla fine del messaggio, però, scuoto la testa, e un po’ anche l’animo. Corro a disfare-e-rifare lo zaino e mi rendo conto di due cose. La prima è che in partenza con me ci sono persone che hanno vissuto le stesse 36 ore, se non più dense – come la mia compagna di progetto Alice, che in aggiunta ha anche sofferto l’onere di sopportarmi. La seconda è che io, in fin dei conti, sono contentissimo di prendere la macchina, e non vedo l’ora di mettermi in viaggio. Ci penso un po’, mentre sono già in viaggio, accompagnato dalle chiacchiere e battute dei miei compagni di viaggio. Se qualcuno, ora, dovesse chiedermi la ragione di questa gioia, la risposta sarebbe immediata: “perché faccio parte della UDAPT”. Basta questo, ma, per capire cosa questo significhi, dobbiamo fare un piccolo passo indietro, di circa due mesi, a quando sono arrivato.

La prima volta che li ho conosciuti, i compañeros (colleghi) della UDAPT, erano tutti seduti sulle piccole panchine di legno azzurro del porticciolo che anticipa l’ingresso all’ufficio. Tutto il gruppo, o quasi, era presente in riunione e stava attendendo me e Alice, i nuovi volontari in SCU dall’Italia, per le presentazioni di rito. C’era Donald, che della UDAPT è il coordinatore, ma anche Katy, Paty, Wilmer, Juan, Jayro e Pedro eleganti di ritorno da un’udienza, Patricio e tutti gli altri. C’era anche “don Pablo”, l’avvocato dell’organizzazione, che ci ha spiegato come funzionano le cose, con il suo tipico stile serio e divertente allo stesso tempo.

Nosostros somos la ‘Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Chevron-Texaco” (Siamo l’Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere della Chevron-Texaco) ci spiegano. L’unione delle persone colpite dalle operazioni delle compagnie petrolifere nazionali e multinazionali nei territori della foresta amazzonica ecuadoriana. Ce ne sono state tante negli anni, di compagnie nordamericane. A partire da Texaco-Chevron, la prima, nonché quella che ha lasciato il segno più indelebile su queste terre – ve la immaginate una fossa grande come una piscina, come quella olimpionica che potreste avere a due passi da casa, lasciata nel bel mezzo della foresta amazzonica? Piena, però, non di acqua, ma di petrolio. Petrolio crudo, che non potrà mai essere ripulito. – fino alle compagnie che ancora oggi cercano di insinuarsi nelle parrocchie del cantone di Lago Agrio, convincendo la popolazione a vendere i propri terreni per un piccolo indennizzo. I compañeros della UDAPT rappresentano l’ultimo baluardo dei diritti umani e ambientali contro le attività di queste imprese, colossi dal potere economico grande quattro o cinque volte quello dello Stato ecuadoriano. E pensare che la UDAPT, a volte, non ha neanche le risorse economiche necessarie per riparare l’acqua corrente, pagare le bollette dell’ufficio – una disordinata e colorata struttura a due piani nel centro di Lago Agrio, ricoperta di scaffali di documenti, murales e quadri inneggianti alla resistenza – o finanziare il trasporto degli attivisti da una città all’altra. Poco importa, si dicono tutti questi piccoli Davide, di quanto sia grande Golia; ci si rimbocca le maniche, e si trova un modo per portare avanti la lotta. E alla fine un modo lo si trova sempre, un po’ come il mio posto in macchina verso Quito.

La UDAPT rappresenta, come prima cosa, uno studio legale, che ha difeso per oltre trent’anni più di 30.000 persone, appartenenti alle comunità e nazionalità indigene delle provincie di Sucumbíos e Orellana, dalle attività inquinanti del petrolio, nell’ambito di processi giudiziari nazionali e internazionali di importanza storica. Durante la prima riunione, però, Pablo ci spiega che tale attività rappresenta solo la punta dell’iceberg. “Non si può condurre una campagna giuridica senza condurre insieme una campagna sociale”, ripetono spesso, “e non possiamo essere noi soli ad agire. Le comunità sono le protagoniste dell’azione collettiva di resistenza, e noi dobbiamo supportarle e accompagnarle in questa impresa”. Sono due concetti che ho capito molto in fretta, avendo la possibilità di supportare il team di comunicazione della UDAPT (io con Alice, che avvocati non siamo) e potendo seguire quasi tutte la attività del gruppo che il tempo e le forze ci permettevano di seguire. Sono anche due concetti a cui mi sono appassionato, quando li ho visti messi in pratica: mattine, pomeriggi e sere passati a parlare tra la gente, nei quartieri presi di mira dalle multinazionali, per spiegare quali siano gli effetti dell’inquinamento, come ci si possa organizzare per tutelarsi e quale supporto avrebbe fornito la UDAPT. E alla fine del discorso, arrivava sempre il momento in cui la nostra squadra si allontanava, il pubblico era libero di discutere e la scelta di difendersi o meno con la UDAPT veniva lasciata a loro. Alla fine, tra l’altro, hanno sempre deciso tutti di difendersi, di contrastare le multinazionali, alle riunioni a cui ho potuto partecipare io. Tutti.

La UDAPT mette in pratica davvero un chimborazo (espressione tipica ecuadoriana, che si può tradurre “una montagna”) di progetti e di attività, e probabilmente rappresenta l’incubo di qualsiasi event planner esista nel mondo. Dove è quasi impossibile sapere che qualcosa accadrà prima che sia sul punto di accadere, dove le riunioni spuntano senza preavviso, dove un viaggio di 6 ore potrebbe essere organizzato in 6 minuti, e dove quasi niente sembra calcolato, ecco che tutto si incastra e alla fine ogni cosa funziona. Sembra inspiegabile e io a oggi non me lo spiego. Così per due mesi ho vissuto con Alice, seguendo progetti in giro per l’Oriente ecuadoriano. Ho potuto partecipare ai miei primi toxic-tour (eccoci), spedizioni nella selva per vedere con i propri occhi il petrolio crudo abbandonato nel terreno e nei fiumi dalle multinazionali, e ho preso parte a conferenze stampa e interviste in televisione, alla pubblicazione di documentari, alla registrazione di messaggi in radio, a manifestazioni di protesta femministe e una serie infinita di altre azioni. L’elenco e le descrizioni che potrei fare sarebbero noiose e lunghissime e, d’altronde, il fine per cui sto scrivendo questo articolo è quello di invitarvi a prendere parte al progetto, a scoprire cosa potrete fare voi e a vivere questa avventura così intensa. A unirvi alla squadra dei Davide che ancora – e a lungo – combattono e vincono Golia nella foresta amazzonica.

Alla fine, magari un giorno vi troverete a non aver quasi dormito per due notti, quando vi arriverà il messaggio di Donald che conferma un posto in auto anche per voi, per Quito. Penserete alle sette ore di viaggio che vi aspettano, al motivo per cui vi aspettano e vi direte “perché sono così contento di mettermi in viaggio? Forse, semplicemente perché faccio parte della UDAPT.”

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