Ogni anno il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, istituita dalle Nazioni Unite per ricordare l’impegno collettivo, a livello globale, di supportare i diritti inalienabili di tutte le persone forzate a fuggire. Ogni anno, questa giornata rappresenta un’occasione cruciale per riflettere sull’impatto dei conflitti e dei cambiamenti climatici sulla capacità delle persone di condurre delle vite dignitose nel luogo in cui sono nati. Secondo il report annuale dell’UNHCR, il numero degli sfollati forzati è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni, raggiungendo nel 2024 un record assoluto di 120 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa senza possibilità di farvi ritorno.
Qui in Grecia, uno dei principali luoghi d’arrivo in Europa, questa ricorrenza si riempie di amarezza per via della sua vicinanza con l’anniversario del naufragio di Pylos, il secondo più letale registrato nel mar Mediterraneo, avvenuto il 14 giugno del 2023. Per noi volontari/e del progetto sperimentale Corpi Civili di Pace e di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace dell’ass. Comunità Papa Giovanni XXIII, è stato importante ricordare le più di 600 vite perse in mare e le ingiustizie affrontate dai sopravvissuti, partecipando alla manifestazione ad Atene che, nonostante la massiccia presenza di forze di polizia, chiedeva di mantenere vivo il ricordo della tragedia e di fare luce sulle dinamiche dell’accaduto e sulle responsabilità della Guardia Costiera greca.
Intorno a mezzogiorno del 13 giugno 2023 le autorità greche e italiane sono state allertate delle difficoltà del peschereccio Adriana, partito dalla Libia con a bordo circa 750 passeggeri prevalentemente di nazionalità egiziana, pakistana e siriana e diretto verso l’Italia, ma bloccato da quattro giorni nel Mediterraneo centrale senza direzione e senza acqua. Le richieste di intervento di Frontex sono state negate dalle autorità costiere greche, così l’unica imbarcazione presente sul luogo è stata il vascello della Guardia Costiera ΠΠΛΣ-920 che non ha filmato l’accaduto, nonostante l’accordo del 2021 tra Frontex e le autorità greche raccomandasse l’utilizzo di dispositivi di registrazione video per documentare le operazioni di salvataggio. Dei circa 750 passeggeri dell’Adriana, solo 104 uomini sono sopravvissuti al naufragio e nessuna delle donne e dei bambini che viaggiavano stipati sotto il ponte della nave. Le autorità greche sono state in grado di recuperare solo 82 corpi dalle acque.
Appena poche ore dopo l’incidente, 9 sopravvissuti, tutti di nazionalità egiziana, sono stati arrestati con l’accusa di traffico di esseri umani, di aver causato il naufragio e di far parte di un’organizzazione criminale. La criminalizzazione di persone in movimento per scoraggiare le partenze rimane tuttora una pratica diffusa in Grecia – secondo le stime del rapporto stilato da Aegean Migrant Solidarity insieme a borderline‑europe e Deportation Monitoring Aegean, a gennaio 2019, il secondo capo di accusa più rappresentato tra i detenuti delle carceri greche era quello di agevolazione dell’ingresso illegale. A maggio 2024 il tribunale di Kalamata ha assolto i cosiddetti “Pylos9” poiché il fatto è avvenuto all’interno dell’area di ricerca e soccorso della Grecia, ma in acque internazionali al di fuori della giurisdizione delle corti greche. Tuttavia, una ricerca investigativa condotta da Solomon, Forensis, StrgF/ARD e The Guardian ha svelato che l’Adriana si è capovolta sulla costa di Pylos in seguito ad un tentativo della Guardia Costiera di trainare la barca con una corda, sembrerebbe in direzione delle acque italiane. Sempre a maggio, quindi, la corte navale ellenica ha accusato 17 ufficiali della guardia costiera, inclusa la ciurma e il capitano della ΠΠΛΣ-920 di negligenza, ostacolo al traffico marittimo e omissione di soccorso durante gli eventi relativi al naufragio.
Da molto tempo i difensori dei diritti umani chiedono giustizia per i sopravvissuti e le vittime di Pylos, ma anche di garantire dignità alle migliaia di persone che ogni anno affrontano viaggi in condizioni estreme con la speranza di poter costruire una vita più sicura in Europa. Alle porte dei nostri Stati, soprattutto in Grecia, si trovano però bloccati in un limbo di illegalità, con una mancanza sostanziale di assistenza o di risorse per affrontare le procedure di asilo. In un clima di sempre maggiore securitizzazione delle frontiere e criminalizzazione degli arrivi e della solidarietà, la riforma del diritto di asilo dell’Unione Europea potrebbe avere l’effetto di aprire la strada a politiche di deterrenza volte a creare un sempre maggiore isolamento piuttosto che un sistema di protezione e integrazione, come richiede non solo il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra ma anche un più profondo sentimento di umanità.
Foto di Matcovich Elio, volontario Corpi Civili di Pace con Apg23 ad Atene
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!