La provincia di Aklan, posizionata nella parte occidentale dell’arcipelago delle Visayas, è un’isola non esente dall’essere colpita annualmente da tifoni e potenti perturbazioni. Questi fenomeni atmosferici portano a cataclismi naturali di vario genere, tra cui le alluvioni. La provincia infatti è attraversata dal fiume omonimo, un fiume di grande portata che partendo dalle regioni montagnose dell’entroterra, sfocia nell’oceano in prossimità della città di Kalibo, dove abitiamo io e la mia collega Francesca.
Il recente passaggio del tifone Paeng nelle regioni del nord ha portato con sé altre zone di bassa pressione che hanno causato piogge incessanti proprio sull’isola di Panay.
Io e Francesca ci troviamo ancora in ufficio quando, già dalla mattina intorno all’ora di pranzo iniziano ad arrivare le notizie che il fiume Aklan stava straripando nei pressi della comunità montana di Libacao. I nostri colleghi, soprattutto quelli che abitano al di là dal fiume, iniziano subito a monitorare la situazione tramite una pagina Facebook che riporta aggiornamenti ogni 10 minuti. Alcuni di loro hanno pranzato e sono corsi via per tornare a casa: quando la piena sarebbe arrivata da noi a valle sarebbe stato impossibile utilizzare i ponti. Nel primo pomeriggio decidiamo anche noi di tornare a casa. Camminando, non è difficile notare il senso di disastro incombente, tra il numero di veicoli riversatisi sull’arteria principale e tutti i maggiori negozi che ormai hanno abbassato la saracinesca. E tuttavia, l’ordine e l’apparente serenità con cui tutti sembrano affrontare la cosa tradisce forse una certa abitudine a dovere adattare le proprie vite intorno alla forza distruttiva della natura.
Torniamo a casa che il fiume ha già iniziato ad allagare parte della strada e del nostro cortile. Poco prima del nostro cancello, qualcuno sta salvando i propri maiali conducendoli in un posto dove l’acqua è più bassa. Gli animali sono visibilmente in stato di allerta e non ne vogliono sapere di muoversi, mentre lui li spinge. La situazione è per me nuova, incerta, e sento uno grande responsabilità nel fare le scelte giuste per me e per la mia collega.
Mi contatta Regie, il project manager della Caritas di Kalibo (Dsac Kalibo), che mi mostra in videochiamata, dal tetto del suo pickup, che da lui l’acqua è salita fino a un metro e mezzo. Mi chiede com’è la situazione da noi e mi dice di spostare tutto ciò che possiamo al piano superiore, nel caso l’acqua si alzasse. Andiamo quindi a parlare con il custode: non sembra preoccupato per sé o per la casa, tuttavia è visibilmente in ansia perché se l’acqua si alzerà le piante e gli animali sotto la sua cura moriranno e ci saranno grosse perdite economiche. Tra una sigaretta e l’altra mi dice che secondo lui la situazione dovrebbe stabilizzarsi se il fiume riuscisse a scaricare tutta l’acqua; questo a meno che l’alta marea serale non blocchi il flusso e non faccia innalzare ancora di più il livello.
Decidiamo comunque di restare. Sentiamo che ci sarà un blackout nelle prossime ore, quindi carichiamo cellulari e dispositivi elettronici. Alle 18, effettivamente, la luce, e anche l’acqua corrente, se ne vanno. Non c’è molto da fare: accendiamo le candele, ci cuciniamo una cena semplice, poi restiamo sul portico per interiorizzare e vivere quella situazione così particolare.
Francesca va a scrivere i suoi pensieri al riguardo. Io messaggio un po’ con Babylove, una ragazza che abita nella comunità indigena di Aliputos, che mi scrive per prima chiedendomi come stiamo: là la situazione è grave, tutti i pianterreni delle case sono stati inondati, gli abitanti evacuati nella vicina chiesa a Numancia. Mi rassicura che stanno bene mandandomi foto di lei, sua sorella e altri membri della comunità che stanno preparando dei letti di fortuna.
Intanto da noi la situazione rimane stabile e l’acqua sembra si stia ritirando dal cortile. In lontananza le mucche di un allevamento continuano incessantemente a muggire, spaventate e impossibilitate a dormire per via dell’acqua alta. È ancora molto presto, ma decidiamo di andare a letto: ci stendiamo insieme sul materasso e restiamo, per non si sa quanto, a parlare dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre vite. Liberi dagli stimoli incessanti dei dispositivi elettronici, si rimane da soli con i propri pensieri e ad ascoltare i pensieri dell’altro.
La risposta della Caritas di Kalibo (Dsac) all’emergenza è stata molto veloce. In collaborazione con le municipalità della provincia sono state individuate le aree più colpite dalle inondazioni e velocemente si è organizzato l’acquisto, la preparazione e la distribuzione dei “relief goods”, ovvero un sacchetto per famiglia contenente:
- 5 kg di riso
- 6 lattine di sardine in salsa di pomodoro
- 1 confezione di caffè
- 1 confezione di zucchero
- 14 confezioni di instant noodles
Parte di questi andranno anche nella comunità di Balete, dove abita la nostra collega Bibi, che il giorno dell’alluvione è rimasta bloccata in autobus dalle 14 fino alle 2 del mattino dopo in quanto la strada era completamente inagibile. Altri andranno a Libacao, da dove proviene la moglie di Regie, e altri ancora a Torralba, la parrocchia di Fr. Ulysses, direttore del Dsac Kalibo.
Per due giorni consecutivi quindi aiutiamo a preparare i sacchetti di riso, smistare i noodles e il resto del cibo. La quantità di sacchi di riso che separiamo e prepariamo è davvero inimmaginabile, più di una tonnellata e mezzo suddivisa in sacchi da 20 kg l’uno, che vengono versarti sulla stuoia dove lavoriamo armati di sacchetti, contenitori e bilancia. Il riso asciuga e dopo ore con le mani dentro ai chicchi le mie mani si sono completamente disidratate.
Ad aiutarci, tantissimi ragazzi e ragazze volontari dall’Aklan Catholic College. Ci scambiamo qualche chiacchiera sul nostro ruolo e le solite, immancabili foto ricordo.
Una volta impacchettato il numero di sacchetti indicato per una determinata zona, prima di poterli consegnare e distribuire deve essere fatto un attento lavoro di accertamento affinché i beneficiari indicati nella lista corrispondano propriamente alle famiglie affette gravemente dall’alluvione. Questo lavoro viene fatto dalla Caritas di Kalibo congiuntamente ai volontari delle parrocchie delle municipalità colpite, e non è raro che alcune persone vengano depennate dalla lista in quanto non idonei. Finiti questi accertamenti i sacchi vengono caricati sul pickup di Regie, che li porterà fino alla municipalità ricevente, per poi distribuirli nella parrocchia. La distribuzione famiglia per famiglia è lasciata ai volontari delle rispettive parrocchie. Tutto il lavoro di impacchettamento e distribuzione è durato più di tre settimane, fino a novembre inoltrato.
Gli effetti della alluvione sono stati sentiti sia nelle comunità indigene dove lavoriamo, che dai nostri amici di Kalibo. Nei giorni seguenti facciamo un sopralluogo ad Aliputos, dove vivono 26 famiglie: lo stagno con i pesci da allevamento, ricavato da una depressione nel terreno, è stato spazzato via, i vermi per la vermicoltura anche. In teoria, ci dicono dal Dsac Kalibo, erano presenti delle reti da innalzare intorno allo stagno per evitare che i pesci scappassero, tuttavia ciò non è stato fatto, non è chiaro se per mancanza di tempo, personale o negligenza. Si sono salvati il maiale e le piccole coltivazioni verticali, che erano posizionate in un punto più elevato. Durante l’evacuazione il ponte era inagibile e molti sono dovuti ricorrere alle barche.
Per quanto riguarda Man-up, l’altra comunità che vive in una vallata vicino al paese di Altavas, non abbiamo ancora notizie certe, ma sappiamo che l’alluvione ha fatto sì che almeno una delle famiglie dovesse evacuare casa, in quanto l’acqua era diventata troppo alta.
Tra le nostre conoscenze qua a Kalibo, un paio di nostri amici che abitano vicino al Capitol Building hanno visto il loro piano terra completamente sommerso dall’acqua fangosa, e nei giorni seguenti all’alluvione hanno passato un’intera settimana a pulire e sistemare gli ambienti.
L’alluvione ha colpito indiscriminatamente. Persone da ogni ceto sociale sono state poste nelle condizioni di dovere riparare i danni e ripartire. Sia chi aveva poco, che chi aveva tanto, una settimana dopo sta già guardando avanti, lasciandosi alle spalle l’evento. L’ordinarietà di un evento straordinario, in una zona spesso colpita da cataclismi naturali.
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