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Caschi Bianchi Perù

Morococha no perdona

Nata a Milano, studi in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo, Marta ha svolto il suo anno di Servizio Civile a Huancayo, in Perù. “Un tempo”, mi avevano detto, “non c’erano così tante macchine a Huancayo e per andare da un capo all’altro della città si mettevano massimo venti minuti”. Ora invece sono le 12.30 di una mattina ancora incerta se regalarci una giornata di sole cocente o fitta pioggia ed io mi ritrovo imbottigliata nel traffico di macchine in uscita da Huancayo diretta verso la Municipalidad de Morococha.”

Scritto da Marta Gualtieri, Casco Bianco Focsiv a Huancayo

Sto per prendere parte ad una riunione informativa tra organi governativi e la società civile riguardante il lungo processo di re-insediamento della comunità di Morococha, conseguenza diretta dell’implementazione del progetto minerario Toromocho da parte dell’impresa Chinalco. Taxi insistenti, combi spericolate e vociferanti chofer ci accompagnano per gran parte del tragitto con il suono dei clacson e i ripetuti “baja,baja,baja-sube,sube,sube”. Nel frattempo, penso fiduciosa, “i traguardi raggiunti questa volta verranno consolidati”. Ahimè, demasiado ottimismo. Una breve ma esaustiva tappa gastronomica nella gloriosa Jauja e la jeep dell’instancabile Percy già ci sta conducendo verso la nostra destinazione, sfrecciando al ritmo della cumbia. L’arrivo a Morococha viene anticipato da un paesaggio la cui vegetazione si fa sempre più rada. Le montagne perdono la loro maestosità tingendosi di un grigio roccioso e appaiono livellate e spente.

Sono già le quattro e fuori dal Municipio non c’è quasi nessuno. Il rappresentante del Ministero di Energía y Minas si guarda intorno sconsolato. “I delegati di OEFA e PCM”, ci comunicano più tardi, “sono stati trattenuti da impegni più urgenti”. Lo stato si configura come un attore sordo e assente. Intanto fuori al gelo la gente aspetta impaziente. Sullo sfondo si intravedono in fila le minuscole case della Nueva Morococha, il complesso edile dove è stata trasferita la maggior parte della popolazione a causa dell’alto livello di contaminazione generata dall’attività della minería. La fase del cosiddetto reasentamiento costituisce l’origine del conflitto attuale tra la popolazione e l’impresa mineraria. Quest’ultima infatti, mancando agli impegni presi, ha costruito la Nueva Morococha in una zona che in tempi più felici era una laguna, con le mancate precauzioni e le ovvie conseguenze per la salute degli abitanti. Tra la società civile c’è chi ha accettato di spostarsi in cambio di un’indennità economica irrisoria e chi invece è rimasto a Morococha Antigua, venendo condannato a una vita priva dei servizi basici e rischi molto seri per la salute.

Tuttavia, le dinamiche che si sono venute a creare nel tempo sono molto più complesse, contribuendo a fare del caso Morococha una matassa inestricabile. Accanto agli interessi di Chinalco ci sono quelli di una società civile che si mostra frammentata e divisa. Nel frattempo, l’impresa licenzia e assume nuovo personale. Alcune case sono vuote, altre sono in vendita. “La Nueva Morococha è una città morta e la gente non ha più nulla di cui vivere”, denunciano gli abitanti del luogo. Quello che si supponeva sarebbe stato un dialogo pacifico tra governo e società civile sui risultati raggiunti durante il 2016 ben presto si trasforma in una trafila di accuse lanciate verso lo Stato e verso gli organismi incaricati di facilitare il dialogo. Sfiducia e risentimento regnano sovrane, rendendo urgente impegno e partecipazione da parte di tutti gli attori coinvolti, perché “Morococha no perdona” e il conflitto potrebbe essere alle porte.

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