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Caschi Bianchi Zambia

Tra l’essere e il fare: un’identità dall’impronta zambiana

Margherita, Casco Bianco di rientro dallo Zambia, ora è giunta alla fine della sua esperienza di servizio civile e si trova a fare i conti con un’identità nuova ed arricchita. Il termine di un percorso porta anche a riflettere su ciò che è cambiato, su cosa si lascia e cosa invece si porta a casa e in questo articolo Margherita condivide con noi le sue riflessioni.

Scritto da Margherita Ambrogetti, Casco Bianco Apg23 a Ndola

La domanda che mi sono sentita rivolgere più spesso nell’ultimo periodo è, dal mio punto di vista, tra le più irritanti e prive di senso: “Adesso che sei verso la fine di quest’anno da Casco Bianco, non pensi a cosa farai dopo? Sì, insomma, concretamente, cosa vuoi fare?”. A nessuno è mai venuto in mente di chiedermi quali cambiamenti questo servizio civile ha apportato in me o chi sono io adesso, dopo aver vissuto esperienze fuori dal comune.

In un mondo retto dall’economia del “fare”, io riesco solo a pensare all'”essere”, a un’identità nuova e arricchita e ne deriva un conflitto evidente con cui, prima o poi, dovrò fare i conti. Avrò bisogno di tempo e pazienza per elaborare e ordinare, per quanto possibile, il calderone di stimoli e difficoltà in cui sono stata immersa per quasi 11 mesi dove un ruolo fondamentale lo ha giocato il progetto che mi ha vista coinvolta, quello delle adozioni a distanza, che mi ha permesso di vivere a stretto contatto con bambini e ragazzi zambiani e le rispettive famiglie. Un dono inaspettato che mi ha entusiasmata e messa alla prova.

Lascio quindi in Zambia la mia tendenza ai giudizi affrettati e a volte spietati che spesso mi hanno impedito di guardare al di là delle apparenze. Constatare come, invece, il popolo zambiano di giudizi e pregiudizi ne sia quasi del tutto privo, proprio perché non interessato, mi ha fatto riflettere sul mio modo di rapportarmi al mondo. Una bella lezione che spero di avere imparato, almeno in piccola parte. Lascio la fatica della condivisione all’interno di una casa famiglia impegnativa, esperienza che però mi ha insegnato più di tutto il resto l’arte della mitigazione di un egocentrismo, il mio, a volte smodato.

Porto con me la bellezza dei momenti preziosi vissuti proprio all’interno di quella stessa casa famiglia, quando mi sono sentita accolta e quando ho accolto. Porto con me i sorrisi, la serenità a volte solo apparente degli zambiani e la loro bella filosofia di vita che gli vieta di preoccuparsi prima del dovuto per problemi che ancora non esistono. Porto un cuore gonfio, traboccante di emozioni, appesantito e alleggerito allo stesso tempo, un cuore vivo che è stato capace di odio e di amore ma che mai è rimasto indifferente. Porto, infine, la meraviglia dei cieli zambiani che mi hanno avvolta e cullata durante tutto l’anno, presenza concreta, commovente e disarmante.

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