Caschi Bianchi Sri Lanka

L’obiezione di coscienza in… Sri Lanka

Luogo di nascita di uno dei corpi nonviolenti internazionali più noti, non è l’unico in Sri Lanka, un Paese che sin dalla sua fondazione non ha conosciuto l’obbligo di leva militare

Scritto dai Caschi Bianchi nel progetto Caschi Bianchi Corpo Civile di Pace 2020 – Asia del sud durante la formazione iniziale

Sin dalla sua fondazione, lo Sri Lanka non ha mai inserito nel suo corpus di leggi l’obbligatoria alla leva militare, lasciando la coscrizione volontaria ai cittadini anche durante le Guerre Mondiali.1  Nonostante ciò, diversi movimenti per la nonviolenza si sono sviluppati nel corso della sua storia.

Nel dicembre 2002 viene fondata a Surajkund, a sud di Nuova Delhi, Nonviolent Peaceforce , un’organizzazione non governativa internazionale che lancia il suo primo progetto in Sri Lanka. I membri di Nonviolent Peaceforce agiscono per proteggere i diritti umani, prevenire il ritorno alla violenza, favorire il dialogo e la ricerca di soluzioni pacifiche, dando così l’opportunità alle organizzazioni e alle comunità locali di operare attraverso vari approcci nonviolenti.

A livello locale, uno dei movimenti nonviolenti più conosciuti è il Sarvodaya Shramadana Movement.

Definitosi come “inspirato dagli insegnamenti del Buddha, del Mahatma Gandhi e ispirato dagli insegnamenti di Verità (satya), Nonviolenza (avihimsa) e Altruismo (pararthkami)” 2, il movimento nasce nel 1968 intorno all’azione e agli insegnamenti di A. T. Ariyaratne al fine di rinforzare il potere civile della popolazione cingalese e per rendersi indipendenti dall’intervento delle organizzazioni Occidentali.3

Per poter ottenere questi scopi, l’associazione mira ad una presenza capillare sul territorio. Per fare ciò, il programma inizia con una richiesta diretta ai soggetti dell’intervento, in cui viene analizzato cosa è per loro necessario e, in contemporanea, si muove con la costruzione di servizi indispensabili all’interno dei villaggi (ospedali, scuole), creando attività commerciali utili all’autosufficienza. A ciò si aggiungerà una particolare importanza data ad uno sviluppo psicologico del singolo e della società stessa che lo circonda. Una volta che le condizioni generali del villaggio saranno migliorate, l’azione del movimento si sposterà nelle periferie degli stessi, nei soggetti più deboli, con opere mirate a soddisfare le necessità fisiche dei singoli.4

Attraverso questi programmi che muovono dal basso e cercano di costruire una società coesa e unita, e tramite il fondamentale ideale di ripudio della violenza come arma per risolvere i conflitti, l’intervento di Ariyaratne ha portato anche grandi successi all’interno del conflitto civile tra Tamil e Cingalesi: lui stesso, infatti, afferma che durante il suo intervento “la gente sa che non siamo divisi dalla religione o dall’etnia o dalla classe. Noi lavoriamo con tutti, per tutti – anche per quelli che hanno impugnato le armi e hanno fatto del male. Non incoraggiamo nessuno ad essere violento o a portare violenza. Tuttavia, siamo in grado di lavorare in tutte le parti del Paese – anche quelle capeggiate dai Tamil Tigers”.5

In quest’ottica l’intervento nonviolento del movimento Sarvodaya Shramadan risulta ai nostri occhi molto interessante per una serie di motivi. In analogia al modello di don Milani, infatti, anche questo risulta essere un movimento che proviene dal basso, che mira ad un progresso della collettività. Quello che però lo differenzia profondamente dal modello della scuola di Barbiana, infatti, è nelle modalità: se entrambi trovano nella costruzione di un saper fare il fine ultimo per creare individui liberi, nel modello cingalese questo può avvenire solo dopo una riappacificazione della mente, dopo un percorso interiore di ricerca di una pace, mentre in quello del parroco italiano è una costruzione olistica del sapere, che mette in campo il sapere teorico, quello spirituale e quello pratico all’unisono, per una costruzione continuata dell’individuo.

Altresì interessante è la motivazione per cui tale movimento nasce. In un contesto in cui noi stessi andremo da stranieri a portare aiuto ai cittadini cingalesi in difficoltà, il vedere movimenti locali che mirano a rendersi autonomi anche in questo campo ci porta in un certo senso a riflettere su quanto la nostra stessa presenza possa essere gradita nel Paese, domandandoci come il nostro intervento possa essere percepito ai loro occhi.

Fonti:

1 https://en.wikipedia.org/wiki/Conscientious_objector
2 https://www.sarvodaya.org/philosophy-and-approach
3 https://www.sarvodaya.org/2008/03/05/a-conscientious-objector  
4 https://en.wikipedia.org/wiki/Sarvodaya_Shramadana_Movement
5 https://www.sarvodaya.org/2008/03/05/a-conscientious-objector  

Foto da: www.sarvodaya.org

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