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Albania Caschi Bianchi

La mia vita vi appartiene

Il terremoto che il 26 novembre ha scosso la terra delle aquile ha lasciato dietro di se tante vittime, sfollati e macerie. “Il terremoto mi ha scosso! Ho temuto il peggio. Ma qualcosa mi ha detto che dovevo contribuire in qualsiasi modo a cercare di alleviare le sofferenze di chi non è stato fortunato come me. E allora ho chiamato un amico, ho chiesto l’aiuto di Naticchio e gli ho proposto di mettersi in gioco, di donare sorrisi e regalare abbracci.”

Scritto da Donato Santoro, Casco Bianco in servizio civile con Engim Focsiv a Fier

Ciao, io sono Naticchio, sono un clown. Forse molti di voi non mi conoscono e non sanno nemmeno cos’è un clown. Forse sarete abituati ai mostri dipinti nei film di paura, o ai classici personaggi da circo ma oggi voglio raccontarvi una storia, la mia storia, di come sono nato e di come vivo ma non voglio spaventarvi.

La mia vita vi appartiene, lo fa quando siete tristi e vi ricordate di un profumo che vi rendeva felici quando eravate piccoli.

La mia vita vi appartiene quando siete spaventati e il pensiero di vostra madre vi culla, quando guardate un bambino, ora che siete adulti e vorreste saltare sull’altalena insieme a lui, quando correndo al parco vorreste scivolare sulla riva, rotolare, coccolarvi della brezza di tiepido autunno.

La mia vita vi appartiene e ve ne sono grato.

Io non ho paura perché ci siete voi a rendermi vivo, perché nulla sarei senza i vostri sorrisi e i vostri abbracci e nulla farei senza sapere di aver asciugato, anche per un solo istante, le vostre lacrime. Donarmi a voi è il mio principale obiettivo, so che anche voi vi donate a me, mi affidate le vostre più intime riflessioni e a volte penso che se ognuno di noi fosse in grado di concentrarsi sull’altro, dedicandogli tempo, attenzione e gentilezza forse questo mondo sarebbe migliore.

“Tumtum, tumtum, tumtum …” questo è il rumore del mio cuore, lo stesso identico rumore del vostro, la colonna sonora più affascinate delle nostre vite.

Lo vedete? Non siamo così tanto diversi. Il mio naso rosso è solo uno strumento, un veicolo, con il quale riesco ad esprimermi, a donarmi, ad amare senza paure e senza costrizioni, solo in libertà, in spensieratezza, in naturalezza, senza dover temere un giudizio, un rimprovero o un castigo.

Ma andiamo avanti con la storia.

Questa storia è ambientata in Albania, precisamente a Durazzo, nei giorni che vanno dal 3 al 7 dicembre. Questo è un racconto che non inizia sotto la migliore delle luci ma che, come tutti i racconti, conserva tanto di bello. È solo di questo bello che voglio parlarvi. Dall’Italia mi hanno raggiunto degli amici, alcuni di vecchia data e altri nuovi, tutti dottori come me. È stato bellissimo.

Perché sono venuti? Beh, come saprete la terra ha tremato il 26 novembre e ha portato con sé 51 angeli che ora brillano in cielo. I miei amici sono venuti proprio per questo, grazie alla missione “Terabithia”, nome omonimo di un film, dove un mondo ideale viene costruito dall’immaginazione di un bambino e ne diventa la realizzazione dei sogni contro l’annichilimento dei problemi che la vita ci pone davanti.

E se è vero che il popolo albanese, da decenni, vede nell’Italia quella vicina di casa capace di accoglierli come fratelli e sorelle, è altrettanto vero che Terabithia ha significato quel ponte che di due popoli ha fatto una famiglia.

Dott.ssa Stellina, Dott. PepPolo, Dott. Pastrocchio, Dott.ssa Cri Cri, Dott.ssa Priscilla, Dott. Play, Dott.ssa Cleo, e Luca con il suo spazio per le arti circensi, sono anche la mia di famiglia, una di quelle stravaganti, bizzarre, dove non si parla con la bocca ma con gli occhi, le mani, le gambe. Ah forse non ve l’ho detto, noi non abbiamo una lingua, un alfabeto così come lo conoscete voi o come quello albanese! 36 lettere non vi sembrano troppe? Noi di lettera non ne abbiamo neanche una ma abbiamo tanti “numeri”. 2 mani, come dicevo prima, 2 gambe, 2 occhi, a volte anche 4, tanti cuori che battono in sinergia, allo stesso ritmo, allo stesso secondo e con lo stesso scopo. Abbiamo 1000 abiti divertenti, colorati, ci rappresentano!

Per non parlare dei nomi, nessuno è stato scelto per caso, c’è una storia dietro ognuno di loro. Sapete il mio cosa significa? “Naticchio” è il diminutivo di “Nato”, rievoca la nascita e nasconde in sé il concetto di “infanzia” e “fanciullezza”, è una voce nascosta nel profondo di ciascuno di noi, quella misteriosa ed autentica che l’uomo adulto dimentica di avere.

Come vi accennavo prima, parte del team della cooperativa Naukleros Onlus è arrivato ad aiutare tutti gli sfollati che questo terremoto ha causato. Abbiamo vissuto i giorni tra numerose attività e peripezie. Non vi nego che non sia stato facile! Fra le attività che abbiamo posto in essere, quella dell’animazione è stata una costante insieme ad alcuni workshop di disegno, di giocoleria e bans che si sono alternati fra di loro. Colonna portante della missione è stata senza dubbio la clownterapia, ovvero laboratorio di coccole e abbracci liberi, sorrisi, carezze, confidenze, condivisione, sfogo.

Ho incontrato tante persone che nella tragedia intima di chi ora ha paura e non sa quali scelte prendere, mi ha lasciato uno spazio per penetrare ed ascoltare, anche solo ascoltare. Ho incontrato donne e uomini che ora si sentono soli, abbandonati anche dalla speranza di poter ritornare a casa, dalla speranza di un futuro da programmare. La casa, rappresentazione fisica di certezza, calore, amore, serenità, per molti ora non c’è più e ho letto in alcuni dei loro occhi lo smarrimento per non avere più quel qualcosa che non sapevi di amare tanto fin quando non lo hai perso.

Ve lo immaginate? Cosa fareste se veniste svegliati nel bel mezzo della notte da qualcosa che neanche capite immediatamente cosa sia? Quali sarebbero gli oggetti che riuscireste a portare con voi? Forse nulla, non potete saperlo! Ed ecco, molta gente è con quel nulla che si ritrova, ospitato da strutture alberghiere, religiose e centri di prima emergenza, che seppur meravigliosamente ospitali, non sono casa loro. Sono molte le organizzazioni che si prendono cura delle migliaia di sfollati e che con pazienza e dedizione dedicano il loro tempo, soprattutto volontariamente, ad alleviare le giornate che sembrano essere infinite.

Naticchio in questi giorni si è nutrito della felicità dei bambini, di tanti fanciulli che sono comunque riusciti a giocare, a trovare uno svago, lì dove nessuno sarebbe riuscito a costruire un mondo fantastico loro ci sono riusciti, hanno saputo affidarsi alle braccia di un clown arrivato per interrompere il silenzio, il buio e la paura. Lì dove le macerie hanno restituito il nulla, sopra il nulla siamo riusciti, tutti, a colorare un mondo fantastico. Non ci siamo arresi al nulla ma di questo abbiamo fatto arcobaleno, paracadute in caso di emergenza. Ed è il momento del paracadute ludico a cui voglio prestare particolare attenzione in questo racconto, è libera espressione, è gioco di squadra, dove ognuno si fida dell’altro, durante l’attività fingevamo di riprodurre il movimento del mare, le onde che inesorabili si alzano, nonostante tutto, nonostante la tempesta o la siccità.

Sapete un’altra cosa? Guardo spesso il mare, lo amo, è grande, immenso, sconosciuto, il suo colore varia a seconda della posizione del sole e della luna. Amo il blu, mi rappresenta, suscita in me l’idea della spensieratezza, della tranquillità, della pace interiore, che caratterizzano l’infanzia, e sono proprie del fanciullo di cui vi parlavo prima. Sul mio camice, il mio nome è tinto di due sfumature di blu, chiaro come il cielo quando è limpido e bello da guardare e scuro quando è calmo ed è possibile ammirarne le profondità. Non è un caso, tutto ha il suo significato quando sei un clown.

Il clown alcune volte ha bisogno di riposare però e lasciare spazio alla persona, fragile, emotiva, bisognosa del suo tempo, riflessiva e ponderata.

Donato.

Sono Donato, ho 25 anni e sono un volontario in Servizio Civile per Engim. Sono a Fier, Albania da 10 mesi, svolgo quotidianamente attività di educazione e tutela all’infanzia con la comunità Rom. Mi sono innamorato gradualmente di questo Paese, la terra delle aquile, assaporandone ogni bellezza, a poco a poco, piano piano. Con costanza e fermezza ho sempre partecipato alle dinamiche del progetto che mi è stato affidato e, con la sensibilità che mi caratterizza ho sempre messo il cuore nelle mie azioni.

Il terremoto mi ha scosso! Ho temuto il peggio.

Ma qualcosa mi ha detto che, al di là del progetto dovevo contribuire in qualsiasi modo a cercare di alleviare le sofferenze di chi non è stato fortunato come me. E allora ho chiamato un amico, non lo vedevo da un anno, ho chiesto l’aiuto di Naticchio e gli ho proposto di mettersi in gioco, di donare sorrisi e regalare abbracci.

Naticchio non ha avuto paura! Mai. Ora è qui con me, mentre vi scrivo, ripensa ai suoi amici clown e quanto di bello ha fatto.

Vi augura di non dimenticare mai il bambino che è dentro di voi!

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