Caschi Bianchi Timor

Ma la terra non è rotonda?

Dilli e la sua gente. Ritratto di una città attraverso gli occhi sopresi di una volontaria in servizio civile

Scritto da Francesca Beninati Casco Bianco a Dilli

È una scelta, una precisa decisione, dettata da un qualcosa di indefinito ma allo stesso tempo voluto, maturato dentro te che ti spinge a prendere il volo e metterti in gioco…

Ed ecco che ti ritrovi ad atterrare in una terra completamente nuova per te, lontana da qualsiasi concezione geografica, mentale e fisica che ti eri potuta creare prima di mettere piede in Timor Est. Proprio quello che è successo a me arrivando a Dili alla vigilia di un nuovo anno…in tutti i sensi! Ad accoglierti c’è il caldo tropicale asfissiante e l’aria annebbiata dalla polvere che sale da terra e che circonda la città, rendendola tutta un po’ velata e caratterizzandola, insieme alle centinaia di persone, volti dagli occhi incuriositi, che siedono ai bordi dei marciapiedi o camminano per strada. È tutto davvero nuovo per me, non sono mai stata in un Paese fuori l’Europa, e quindi al di là di quello che viene chiamato mondo occidentale e occidentalizzato…anche se questa, al di là di meridiani, paralleli e concezioni geograficamente studiate, è un’espressione data dal punto di vista che assumi! Che non è affatto un dettaglio indifferente, soprattutto in contesti internazionali.

Ma la terra non è rotonda? Perché, sotto un’accezione culturale che molto spesso porta a dividere piuttosto che a con-dividere, deve esserci un mondo occidentale ed uno orientale? una occidentalizzazione ed un Oriente che ha sapore di terre lontane…e non invece un mondo rotondo dove tutto può essere occidentale ed orientale insieme?! Sarebbe bello uscire da tale concezione per assumere un punto di vista “mobile”.

Mi ha fatto maturare questa osservazione le diverse mappe geografiche e cartine che mi capita di vedere qui a Dili: non c’è l’Italia e l’Europa al centro, ma il punto di vista è quello dei timorensi e quindi al centro della mappa c’è Timor e l’Indonesia, e tutto il resto dei continenti è spostato: qui diventa l’Europa l’Oriente! Ma il mondo che abitiamo è sempre lo stesso, anche se decisamente diverso per costumi, persone, tradizioni, religioni, comunicazione, cibo, pensiero, volti, lingua, ma è bello proprio per questo! Lo stupore che vivi nel vedere alcune cose per la prima volta, che ti sorprendono o deludono, dipende quanto belle e brutte siano, è quello stupore che insieme ti arricchisce e ti fa riflettere. Lo stupore che può avere un bambino quando vede per la prima volta un nuovo gioco, ma può essere anche quello di un occhio critico che non ammette certe condizioni di vita manifeste in questa capitale.

Dili è bella per i suoi colori, per l’aria di vita rurale e primitiva, ma vera, che respiri al mercato ricco di profumi e prodotti tipici; per la sua vita attiva e anche trafficata del centro città e per il Mikrolet, il minibus di qui, al cui interno trasporta 16 persone, benchè ci sia posto per 10 e alla porta se ne appendono altri 5! È bella per il suo mare, i suoi pesci e gli animali di campagna che incontri fuori da ogni casa ed in ogni vialetto; è caratteristica per la sua gente che ti viene incontro per venderti di tutto. Ma soprattutto è bella per i suoi bambini che ti chiamano fino a quando non ti giri per dirgli semplicemente “Bondia” e farli sorridere…con così poco! Il Malae, la persona straniera, che loro continuamente chiamano per strada appena ti vedono da lontano, è ancora vista come una sorta di “divinità” da salutare, provare a toccare e se sei fortunato riuscire a parlarci.

“Ba nebè ?”(dove vai?) ti chiedono tutti. Fondamentalmente non interessa a loro dove stai andando, o forse si per la curiosità di sapere che vita conduce il Malae; ma sopratutto lo chiedono per iniziare una conversazione con te, per sentirsi onorati di aver interagito con uno straniero e provare il loro inglese, che spesso fa davvero ridere! Ma ci provano e ne sono contenti. Quella contentezza che poi si riflettesu di te, non perché ti senti quella divinità che purtroppo ancora nella loro mente persiste come condizione di differenza superiore che ha l’uomo bianco, ma perché la possibilità di creare un’interazione, anche solo con un sorriso, un semplice gesto di saluto o qualche piccola conversazione, magari in tetum (lingua locale tanto rustica quanto sonora che provo ad imparare), con persone nuove e lontane da te, è qualcosa che ti riempie lo spirito, arricchendolo sicuramente.

C’è però anche quell’altra parte della vita di Dili che ti fa riflettere più profondamente, ti blocca il sorriso con un po’ di amarezza, ti fa vedere dal vivo quelle scene che finora avevi visto nei film o che ti eri figurato leggendo qualche bel libro. La gente sui bordi della strada con un tavolino e qualche prodotto dell’orto che prova a venderlo; donne in abiti tipici che portano un carico in testa sotto un sole cocente di 38 gradi di media; bambini “business man”, secondo loro, che ti vendono uova, dolcetti tipici, frutti caricati sulle spalle per tutta la città, ricariche telefoniche; e i bambini più piccoli, vestiti di abiti sporchi, semi vestiti o completamente nudi che giocano con delle macchinette, con la palla, con le lucertole e le rane in strada, nelle acque stagnanti delle fogne, con le ruote delle macchine e con le montagne di sabbia, con le fionde e le pietre….con nulla. Queste sono le cose che mi colpiscono di più di questa città mentre la percorro e la fotografo con occhi spalancati di sano stupore!

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