Brasile Caschi Bianchi

Nessuno vuole starli a sentire: il paradosso dei sordi

Oggi, dopo aver avuto la fortuna di convivere pochi mesi in una casa famiglia con Cida, sordo-muta e microcefalica, e con Santina che ora le fa da mamma e ha fondato il “Centro Diurno para surdos” a Cel. Fabriciano, posso finalmente dare voce a chi non ne ha… perchè nè Cida, nè i suoi amici del Centro Diurno sanno parlare, pur avendo tanto, troppo da dire!

Scritto da Laura Milani, Casco Bianco a Coronel Fabriciano

“A Coronel Fabriciano, città di circa 100.000 abitanti, situata nello stato di Minas gerais, Brasile, si stima che i sordi si aggirino intorno al migliaio.
Attualmente ne conosco 50, e di questi soltanto 20 sono immatricolati nella scuola comunale.
Grazie a Cida, una ragazza con handicap uditivo che abita con me da 13 anni, ho conosciuto le loro condizioni di vita. Ho percepito, quindi, la loro necessità di ricevere aiuto: necessità che coinvolge anche le famiglie dei sordi. Per questo ho pensato al Centro Diurno per Sordi…
L’obiettivo generale è di incentivare un lavoro che renda possibile ai sordomuti e alle loro famiglie di organizzarsi e inserirsi nella società come cittadini, a cui venga riconosciuta una dignità…”
Dal progetto presentato da Santina al comune di Cel. Fabriciano, 2004

Intervista a Santina

Santina Cedri è membro dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII a Coronel Fabriciano, nello stato di Minas Gerais, Brasile. Arrivata nel ’91, ha vissuto dapprima ad Araçuaì e a Itaobim, infine a F. “Quando si giunge in un paese straniero, dapprima si osserva e si ascolta per capire cosa fare”.  E così, dopo un po’, nel ’92 ecco i primi accolti, tra cui Cida, sordomuta e microcefalica.
Oltre a vivere la vocazione della casa famiglia, la convivenza con Cida l’ha portata a conoscere in prima persona i problemi dei sordi. Dal momento che a F. non esisteva nessuna struttura per loro, nel 2004 Santina ha fondato, in uno dei quartieri della città, il bairro Còrrego Alto, il Centro Diurno para surdos irmãos Vitor e Cida.
Com’è nata l’idea di realizzare nel bairro Còrrego Alto il Centro diurno? Quali le motivazioni che ti hanno spinto e quali gli obiettivi preposti?
Nel 2003, dopo la morte di Vitor, l’altro bambino che accoglievo, ho iniziato a seguire di più Cida, accompagnandola a scuola. Qui aiutavo la sua insegnante, Sonja, con i sordi: questo mi ha dato la possibilità di conoscerli di più, di venire a contatto con le loro famiglie, con i loro bisogni…ho cominciato a pensare, allora, a un luogo dove potessero incontrarsi, al di là della scuola. Il sogno si faceva sempre più concreto, finchè mi sono convinta a cercare una casa per metterlo in atto. Ho pensato a Sonja, che nel frattempo era diventata disoccupata, e lei ha accolto la sfida.
Dopo aver avuto la conferma dalla comunità, grazie soprattutto all’aiuto economico dei miei amici di Cremona, nell’agosto del 2004 è stato aperto il Centro Diurno para surdos irmãos Vitor e Cida.
Il comune di Fabriciano ha appoggiato concretamente il tuo progetto, o ti sei dovuta arrangiare?
All’inizio si viveva di donazioni. Il progetto è stato avviato con l’appoggio della provincia di Cremona, che stanziava soldi per le cose indispensabili. Nell’aprile del 2005 la Cenibra, una grande fabbrica che lavora il legno, ci ha donato 6 computer.
Inizialmente non abbiamo avuto aiuti da parte del comune. Fortunatamente, però, nel 2004 è cambiata l’amministrazione comunale, la quale ha deciso di appoggiare il Centro per sordi, non essendoci altre realtà simili nella zona. Dal 2005 ha mandato un’insegnante 4 ore al giorno, ha messo a disposizione una logopedista e una psicologa e, infine, ha contribuito donando alimenti e alcuni materiali. Si è creata, dunque, una collaborazione: da parte sua, il centro si impegna ad offrire corsi gratis di libras alla logopedista e alla psicologa. 
L’integrazione dei ragazzi sordi nella società soprattutto attraverso la scuola è una realtà concreta? Quali sono le difficoltà nel realizzare questa integrazione e qual è la posizione dell’assessorato all’educazione in merito?
Fino allo scorso dicembre, esisteva un’unica classe “speciale” per i sordi di tutte le età. A partire da febbraio, invece, l’assessorato all’educazione ha realizzato un cambiamento per favorire l’integrazione dei sordi. Una psicopedagoga ha effettuato dei colloqui per collocare questi ragazzi nelle classi “normali”, in base alle capacità. Questi colloqui, però, si sono limitati a valutare le loro capacità di apprendimento, e non i problemi familiari o altri handicap al di là di quello uditivo. In poche parole: vi è stata, certo, un’integrazione, ma solo di quei sordi più intelligenti, che hanno ricevuto più stimoli. E così, per chi ha già superato i 14 anni, non resta che frequentare i progetti di alfabetizzazione che si tengono di sera. Per chi presenta un qualche ritardo e non sa nè leggere nè scrivere, viene proposta l’APAE (Associazione dei genitori e degli amici dei ragazzi con handicap), dove i ragazzi possono svolgere varie attività pratiche, dalla lavorazione del legno, a quella dei tappeti…tuttavia, nessuno sa comunicare col linguaggio libras. Resta, quindi, solo il centro diurno come momento di socializzazione.
I genitori comprendono quanto sia importante che i figli riescano a comunicare tramite il lingiaggio dei sordi, ovvero il Libras? Quali sono le principali difficoltà nel rapporto genitori/ figli?
I genitori spesso provano paura, vergogna per l’handicap dei loro figli: non sono preparati ad affrontare il problema e non l’accettano. L’unica soluzione è relegarli in casa, senza alcuno stimolo. Di conseguenza i figli vivono senza regole, senza potersi relazionare coi loro coetanei. Non hanno nozioni, non sanno cos’è il bene e cosa il male; succedono le cose e non sanno il perchè…per non parlare della rabbia che cresce in loro.
Crede che i sordi possano contare concretamente su persone che fanno valere i loro diritti o non c’è nessuno che li rappresenti, facendo sentire la loro voce?
Solo le persone che conoscono i segnali possono aiutarli a rappresentare i loro diritti, ma purtroppo non sono molte. In una riunione in cui si discuteva del loro futuro scolastico, non c’era nessun interprete che potesse dare loro voce. Per fortuna io ero presente, anche se mi trovavo là in quanto madre di Cida…
Ritiene che il Centro sia una proposta concreta al bisogno degli accolti? Permette un’effettiva integrazione?
Credo che il loro bisogno principale sia quello di comunicare: il Centro ha proprio l’obiettivo di permettere di imparare il linguaggio Libras. E comunque è già importante il semplice fatto di ritrovarsi, di stare bene insieme, superando l’isolamento a cui spesso si è costretti.
C’è anche la volontà di compensare l’assenza della scuola: stimolare alla lettura e alla scrittura, perchè le poche nozioni apprese non vengano dimenticate.
E’ chiaro che c’è ancora strada da percorrere, bisogna evolvere in tutti i sensi per dare dignità a queste persone, accoglierle e favorire il loro sviluppo.

Intervista a Sonja

Sonja Pereiro Firmino è sempre vissuta a Fabriciano. Dopo una prima formazione in magistero, piú o meno le nostre vecchie magistrali, si è laureata in storia. Attualmente lavora come insegnante nel Centro diurno para surdos, a Corrego Alto.
Cosa ti ha spinto a lavorare con i ragazzi sordomuti, dapprima a scuola e poi nel Centro per sordi? Perchè accettare la sfida di Santina: realizzare un centro per sordi praticamente dal nulla?
Tra il ‘94 e il 2000 ho lavorato come insegnante a scuola; qui il primo contatto con i sordi…2 bambini sordomuti, infatti, frequentavano la classe di una collega. Creavano molti problemi perché, non riuscendo a comunicare con gli altri bambini, cercavano a loro modo di attirare l’attenzione.
Una professoressa di Ipatinga, sensibile al problema, nel 2001 ha avviato un progetto con i sordi, creando una classe a parte. Fu proprio lei a invitarmi a fare un corso di libras, anche se allora ero ben lontana dal pensare di lavorare con loro.
Proprio in quell’anno, dato che non c’erano altre persone disponibili, mi hanno chiesto di occuparmi di questi ragazzi. Nel 2003, però, non riuscendo a vincere il concorso pubblico indetto dallo stato per gli insegnanti, mi sono trovata disoccupata. Tuttavia, ho continuato a mantenere i contatti con i sordomuti attraverso la pastorale dei sordi. Una domenica, mentre stavo traducendo la messa, Santina mi ha visto e, siccome già ero stata professoressa di Cida, mi ha parlato della sua idea di realizzare il Centro diurno. Ho accettato la sfida.
Quali sono le tue mansioni all’interno del Centro?
E’ difficile spiegarlo. In realtà il mio ruolo non si riduce a quello di semplice insegnante: mi rendo disponibile nelle attività pratiche, se ce n’è bisogno, ma soprattutto cerco di conversare con i ragazzi, di farli sfogare, di risolvere i loro dubbi, specie per quanto riguarda gli adolescenti.
Quali sono le principali difficoltà che un ragazzo sordo incontra oggi? Quali le sue esigenze? 
Quello che percepisco nella maggior parte di loro è una grande solitudine, derivata dal fatto di non riuscire a esprimersi. Desiderano conoscersi, ma non ricevono risposte; spesso non conoscono la lingua libras, che permetterebbe loro di comunicare col mondo, di parlare anche di ciò che sentono dentro. Alcuni di loro reagiscono a questa situazione con rabbia, altri con rassegnazione.
Il centro per sordi è una buona risposta ai bisogni di chi è sordomuto? Ne favorisce l’integrazione nella società?
In questo senso, il centro per sordi si pone come un appoggio, una possibilità di comunicare, di sentirsi parte di un gruppo, cosa che dovrebbe trasmettere forza. Il centro favorisce l’integrazione, a patto peró che ci siano altri luoghi in cui sia possibile incontrarsi con persone che non hanno lo stesso handicap, come la scuola. Se questi spazi mancano, come integrarsi nella societá?
Come si pongono le famiglie nei confronti dei ragazzi sordi?
Nella maggior parte dei casi manca comunicazione, i genitori non sanno come relazionarsi con i figli: sono troppo assorbiti dai molteplici problemi derivati dalla loro povertá. Spesso non sono in grado di garantire loro cure mediche necessarie e adeguate. Ma l’aspetto piú preoccupante é che la famiglia non fornisce stimoli di nessun tipo, provocando un ritardo nello sviluppo dell’individuo, in tutti i sensi, sia mentale che emozionale.
Per dare un’idea del grado d’interesse manifestato dalle famiglie, basti pensare che alla riunione in cui si decideva la sorte di quei ragazzi allontanati dalla scuola e invitati a frequentare l’APAE, c’è stata una partecipazione quasi nulla. E agli incontri mensili predieduti da una psicologa con lo scopo di essere d’aiuto alle famiglie, sono presenti circa 8 persone su 20.
Tuttavia, assieme a Santina, insistiamo nel fare visita anche alle famiglie di quei ragazzi che non frequentano il centro, per conoscere la loro realtá e la loro vita in casa; per stimolarle e far capire loro che possono contare su un aiuto sincero.
Molte sono le difficoltà che incontri nel tuo lavoro…che forse è più di un lavoro. Cosa ti spinge a continuare nonostante l’indifferenza in cui ti imbatti così spesso?
Nonostante le difficoltá, mi piace lavorare con questi ragazzi, che necessitano di tanto. Se dovessi rinascere in un’altra vita, rinascerei sorda! Scherzo, ovviamente.
Cerco di fare quello che posso, anche se é poco: se le famiglie non li accolgono qualcuno dovrá pur farlo. E di certo l’affetto che ricevo da loro compensa la fatica!

E l’assessorato all’educazione prospetta dei grandi passi in avanti…

Rosa Maria Montero è pedagoga, 35 anni di professione alle spalle, e lavora all’interno dell’assessorato all’educazione. Ci riceve sciorinando i numerosi progetti in cui il comune di Cel. Fabriciano è impegnato, soprattutto nel campo dell’infanzia. Mentre parla sfoggia un sorriso raggiante, fiduciosa nei confronti di un domani sempre più roseo, in cui finalmente si valorizzi la cultura. Parlando dei progetti riguardanti l’alfabetizzazione, accenna lei stessa alle condizioni dei ragazzi che presentano handicap fisico o mentale. 350 di questi non sono riusciti ad essere alfabetizzati: un progetto del comune ha previsto la formazione di una equipe specializzata formata da una psicologa, una logopedista e un’assistente sociale, per valutare la causa di questa mancata alfabetizzazione. Quelli che presentano un ritardo tale da non poter “avanzare ulteriormente” vengono incamminati nei laboratori artigianali dell’APAE, in cui si lavora il legno, si realizzano tappeti, sottopentole… Nel caso dei sordi con grave ritardo, poi, c’è il Centro Diurno para surdos. Quelli alunni che presentano solo handicap uditivo, vengono inclusi nelle classi regolari, con un interprete.
Davvero valido il lavoro dell’APAE e del Centro per sordi.
Tuttavia, due sono i dubbi avanzati. Il primo: l’APAE è un’associazione privata di genitori e amici dei disabili, mentre il Centro per sordi è stato fondato da un membro dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII; ma il comune, da parte sua, come si impegna nei confronti di quei sordi con problemi di apprendimento? Il secondo dubbio è: come favorire l’integrazione, senza relegare queste persone in una sorta di isola che, per quanto felice, resta sempre un’isola?
Certo, ammette la sign.ra Montero, l’ideale sarebbe fare in modo che possano socializzare anche con i loro coetanei frequentando la scuola comunale. Con un certo imbarazzo ammette che quell’integrazione di cui parlava orgogliosa all’inizio della conversazione è ancora ben lontana dall’essere realizzata. Il problema è che il municipio non possiede le risorse, mancano la preparazione dei professori e le condizioni adeguate nella scuola. “Stiamo lavorando a piccoli passi”, sostiene: per prima cosa è necessario che i professori apprendano la lingua libras. Al di là delle risorse, il problema è soprattutto culturale…e cambiare una cultura ben radicata da anni nella società è un processo che richiede tempo. La gente non è ancora pronta ad effettuare un passo così grande come quello di accogliere nelle classi cosiddette “normali” ragazzi con handicap mentale. Non si è ancora creata la mentalità adatta: le stesse famiglie tendono ancora a nascondere con vergogna i figli che nascono con qualche problema fisico o mentale.
Mah…usciamo un po’ perplesse dall’ufficio, con la sensazione che la signora abbia parlato di tanti progetti, senza, però, voler approfondire il discorso.
Di certo il fattore culturale può costituire un freno per l’integrazione…
In conclusione, siamo ancora lontani da quel progresso di cui tanto si parla o che, forse, tocca solo alcune fasce della popolazione discriminandone altre, come nel caso di Cida e dei suoi amici del Centro per sordi. Oppure, adottando un punto di vista più positivo, c’è da dire che l’integrazione è un processo molto lento e, a Fabriciano, si è solo agli inizi e la strada da percorrere è ancora lunga…

Anche chi é sordomuto si racconta…
Agostinho
Agostinho, poco piú di 40 anni. Figlio di un povero lavoratore mineiro di canna di bambú, abituato a sudare nei campi e a costruire case col fango per poter sfamare i suoi 9 figli. Dopo la morte del padre, alcuni dei figli andarono a vivere con la zia; solo Agostinho, che all’epoca aveva 10 anni, rimase con la madre. Era costretto a mendicare per strada chiedendo da mangiare, tanto era povero. Poi qualcosa cambiò: cominciò a darsi da fare lavorando prima come muratore, poi come falegname, costruendo mobili e imparando a trattare il legno.
Fu allora che incontrò quella che sarebbe diventata sua moglie. Ma come comunicare con lei? Come corteggiarla? Nessuno gli aveva mai parlato dell’amore…bisognava avere tanta pazienza e, soprattutto, superare la vergogna. Un amico lo aiutò e gli insegnò un po’ di segnali per comunicare. A poco a poco cominciarono a frequentarsi, finché si fidanzarono. Agostinho ricorda ancora il giorno del loro matrimonio, quando entrò in chiesa portando la madre in braccio, tanto era ubriaca.
Cominciò la vita coniugale: l’affitto da pagare, l’arrivo della prima bambina, poi un bambino…
Con il tempo Agostinho riuscì a creare assieme alla moglie un linguaggio speciale, che solo loro conoscono: non sente alcun vuoto comunicativo, quindi, anche perché l’amore compensa qualsiasi parola.
Nel ’90 si trasferì a Ipatinga, cittá industriale nella Vale do Aço, nello stato di Minas. Qui comprese che era necessario per lui andare a scuola e, soprattutto, imparare i segnali libras, perché questo gli permetteva di comunicare col mondo, gli apriva nuove possibilitá…ogni giorno imparava qualcosa… e impara, perché Agostinho sta recuperando ora il tempo perduto; sta diventando piú intelligente, racconta, ma ci vuole pazienza, tanta pazienza!
Come ci é voluta pazienza per contrastare il sentimento di rivolta contro la propria condizione di sordo e la rabbia nei confronti di una famiglia che non gli dava risposte, ma soprattutto nei confronti di una madre che non sapeva nulla. Nulla. Tantomeno si sforzava di comunicare con lui.

Da parte della societá, poi, non c’é concretamente nessun interesse nei confronti di questo popolo silenzioso. Nessuno si impegna per aiutarlo a leggere e a scrivere e, quindi, ad affrontare il problema piú grande: comunicare col mondo.
Il sogno nel cassetto di Agostinho é quello di fondare un’associazione per sordi, affinché possano avere dei momenti di aggregazione, uno spazio ricreativo aperto anche al pubblico e dove possano imparare il libras, visto che, attualmente, i libri e i corsi disponibili sono pochi e cari.Quando, peró, ha tentato di concretizzare questo sogno, le autoritá municipali hanno promesso solo formalmente il loro aiuto. Burocrazia, burocrazia… Aspetta, aspetta….stanno solo giocando, racconta con amarezza.
Finora soltanto la Chiesa sembra dimostrare un qualche interesse per i sordi, attaverso la Pastorale dei sordi, avente l’obiettivo di comunicare con loro, di tradurre le celebrazioni nel linguaggio libras, di passare loro quelle notizie che la famiglia in primo luogo e la societá non passano.
Qui a Coronel Fabriciano, dove attualmente vive, l’unico spazio che offre le opportunitá che la societá non si impegna a offrire é il Centro Diurno para surdos. Non é sicuramente una risposta esaustiva al problema; tuttavia, Agostinho non sa spiegare cosa manca a questo centro, sembra davvero che per lui solo il fatto che esista un luogo d’incontro e di dialogo destinato ai sordi sia qualcosa di grandioso!
E per il futuro? Bisogna avere pazienza, ripete ancora. E soprattutto, tra i sordi ci deve essere qualcuno che prenda in mano la situazione, che capisca che é importante studiare, servirsi di una buona cultura per far valere i propri diritti!

Sirlene
Sirlene è una ragazza trentenne, nata e vissuta in campagna. Il padre lavorava in fabbrica e, a causa dei suoi numerosi cambiamenti di lavoro, era costretto a viaggiare molto: partiva solo alla ricerca di occupazione; una volta trovatala e sistematosi in una casa, la famiglia lo seguiva.
Con i genitori e i suoi 7 fratelli, Sirlene riusciva a conversare, non con segnali libras: avevano creato dei segnali particolari, una sorta di linguaggio tutto loro. La madre la lasciava uscire con le poche amiche che aveva: anche con loro riusciva a comunicare, ma i numerosi spostamenti del padre la condizionavano, impedendole di avere amicizie stabili.
A scuola non capiva nulla: era presente alle lezioni ma non c’era un ritorno di informazioni…diventava rossa, confessa: per la timidezza, per la rabbia, rabbia che la riempiva ogni volta che si sentiva isolata.
Per chi nasce sordo, non c’è nulla, nessuna struttura sostenuta dal comune o dal governo. Lei ha frequentato un corso di libras gratuito a Ipatinga, vale do Aço; ma a Fabriciano non esiste neppure questa opportunità.
L’unica struttura a servizio di chi è sordo è il Centro diurno per sordi. Alla domanda “il Centro diurno è una risposta valida ai tuoi bisogni?”, Sirlene risponde senza esitazione, con lo stesso entusiasmo di Agostinho…sembra davvero che questo luogo d’incontro sia una risorsa preziosa per chi, come loro, avrebbe tanto da dire, ma nessuno che li sta a sentire!

Marta
Marta si vergogna un po’ quando le chiedo di presentarsi. Timidamente racconta di vivere a Fabriciano e di avere 5 fratelli, tra i quali uno sordo, come lei. Finora ha sempre trascorso una vita tranquilla a fianco dei genitori: il padre, operaio in una delle principali fabbriche della Vale do Aço, l’Ausi Minas, beveva spesso, ma non era aggressivo.
Marta dapprima cominciò a frequentare l’APAE, Associazione dei genitori e amici dei portatori di handicap: ma oltre ai laboratori artigianali, non c’era nulla che potesse soddisfare le esigenze di chi era sordo.
Poi ha iniziato a studiare nella scuola municipale di Ipatinga, in cui era presente un’associazione per sordi e proprio a Ipatinga, con l’amica Sirlene ha cominciato ad apprendere il linguaggio libras.
Una tempo provava rabbia. Rabbia per la sua condizione, rabbia perchè non riusciva a comunicare. Suo padre non conosceva il linguaggio libras, sua madre e il fratello solo un poco: anche loro avevano creato un codice linguistico personalizzato.

Con Agostinho e altri ogni domenica si reca al Collegio Angelica, Fabriciano, per incontrarsi con gli amici: a casa è sempre nervosa…per lo meno è un’occasione per uscire e “parlare”.
Da parte del comune di Fabriciano non c’è il minimo interesse per il disagio provato da chi è sordomuto. Non vengono indetti, per esempio, corsi di libras come nella vicina città di Ipatinga. La scuola stessa, sostiene Marta, finora non ha risposto alle loro esigenze.
Lei provava difficoltà, aveva paura. La preside parlava parlava, ma era lontana dal mantenere le promesse: non permetteva ai sordi di partecipare assieme agli altri ragazzi alle varie attività, tra cui quella di teatro. Già il fatto che la preside non conosca i segnali libras, commenta Marta, è un chiaro segno che non c’è un sincero interesse a favorire l’integrazione di chi non sente.
I loro diritti non vengono rispettati e, quel che è peggio, le famiglie per prime non si interessano del problema.
Il centro diurno per sordi rimane, ancora una volta, l’unica alternativa. “Noi sordi” dice” dovremmo approfittare di più della presenza del centro. Purtroppo molti si allontanano per invidia nei confronti di chi tra loro è più emancipato. C’è bisogno di tutti, di tutti i sordi! Dovremmo chiamarci l’un l’altro, convincerci l’un l’altro a partecipare. E poi i genitori devono imparare…perchè il problema è che sono loro stessi a volte a nascondere i figli!”.
Come migliorare le condizioni di chi è sordo? Come far valere i loro diritti se chi vive con loro non ha neppure l’interesse di partecipare ai corsi di libras gratuiti organizzati dal Centro?
L’intervista finisce qui, lasciando questi interrogativi sospesi nell’aria…

“Bisogna ascoltare gli appelli che echeggiano nell’anima delle persone”

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