Caschi Bianchi Cile

Primo foro sociale Mapuche: rivendicazione nonviolenta del diritto all’autodeterminazione di un popolo

La lotta nonviolenta del popolo cileno dei Mapuche, uno dei pochi sopravissuti all’invasione della conquista spagnola del 1500, per i propri diritti umani. Il popolo Mapuche, non riconosciuto come soggetto dalla normativa, privato del diritto all’autodeterminazione, si riunisce in un forum e sostiene la sovranità alimentare: la possibilità di una vera democrazia spaventa l’elite al potere, che classifica come atti di terrorismo le legittime rivendicazioni dei Mapuche.

Scritto da Davide Ziveri (Casco Bianco a Santiago del Cile)

Il 4 e 5 giugno si è tenuto a Villarica (Cile meridionale) il primo Foro Sociale Mapuche in seguito ad un’autoconvocatoria.

l popolo Mapuche esisteva ben prima dell’arrivo degli spagnoli e il loro territorio si estende a cavallo delle Ande oltrepassando le frontiere tra gli stati cileno ed argentino.
Proprio in quest’ultimo stato una multinazionale veneta, la Benetton, possiede latifondi immensi (circa 900.000 ettari). Quest’appropriazione non rispetta i veri proprietari della terra, ovvero le popolazioni native. La Benetton denuncia infatti una famiglia che nei dintorni di Bariloche non si rassegna ad emigrare nelle città e occupa il proprio campo. In prima istanza il tribunale riconosce loro questo diritto, ma poi un giudice ribalta la sentenza. In questa zona esistono casi simili: alcuni proprietari terrieri hanno appiccato il fuoco alle case dei nativi. Esiste poi il grande problema dell’uso delle risorse: le multinazionali minerarie aprono immense miniere a cielo aperto usando la dinamite, compromettendo in questo modo irrimediabilmente l’ecosistema originario. Inoltre le leggi argentine permettono questo sfruttamento imponendo una tassa non più alta del 2% del profitto.
Ugualmente per l’approvvigionamento idrico per l’energia elettrica, sono state costruite più di sette dighe lungo un solo fiume. Conosciuto è il caso Ralco per cui per la costruzione di una diga è stato inondato un cimitero sacro Mapuche.
I diritti del popolo Mapuche vengono continuamente calpestati, ed essi si oppongono solo con l’interposizione del proprio corpo, solo con la propria vita, mentre li si accusa e criminalizza. La loro lotta politica cammina inseme ad un percorso spirituale verso quegli elementi naturali per cui molti di loro hanno dato la vita. 

Il Cile è un paradiso per le multinazionali minerarie poiché vi trovano condizioni molto vantaggiose. Lo Stato non controlla la situazione piegandosi alle ferree leggi del libero mercato, e in dieci anni la produzione del rame è triplicata: con tanta esportazione i prezzi scendono: l’azienda mineraria statale cilena ha visto diminuire le entrate da circa 2.000 a 300 milioni di dollari nello stesso periodo, a causa della concorrenza delle multinazionali straniere. I danni a livello ambientale si ripercuotono direttamente sull’agricoltura e sul turismo, poiché grazie alle nuove tecnologie è possibile estrarre laddove non sarebbe stato vantaggioso pochi anni fa.
Tuttavia queste metodologie impiegano sostanze chimiche dannosissime, come il cianuro per estrarre oro. Alcuni anni fa gli Stati Uniti avevano bloccato le importazioni della gustosa uva cilena per aver riscontrato tracce di cianuro che le sue imprese usano per lavorare l’oro in Cile: unica occasione in cui ai cileni è stato possibile comprare a prezzi ragionevoli la propria uva.
 Cile e Argentina hanno firmato un trattato per la gestione mineraria delle zone di frontiera, senza però considerare gli abitanti di queste regioni. Inoltre questo trattato comprende zone del sud che di fatto ora sono forestali; non si capisce quindi come si pensi ad uno sfruttamento minerario, a meno che sia stato scritto a tavolino per mano delle stesse imprese straniere. Di fronte a quest’invasione, che non prende in considerazione le realtà locali, la resistenza è necessaria.

Nel discorso pronunciato il 21 di maggio, il presidente Lagos ha sottolineato l’importanza del paese come potenza agroalimentare, visto che il Cile basa la propria ricchezza principalmente sulle esportazioni delle proprie risorse. Il Cile possiede circa 4.000 km di coste: anche le risorse marittime sono quindi fondamentali: il Cile è il quinto paese al mondo per il mercato del pesce, terzo per le farine di pesce (tristemente note in Europa per i casi di mucca pazza), e primo al mondo per l’allevamento del salmone. La pesca generale fornisce alimento al salmone di allevamento, con il solo dettaglio che 6 kg di pesce si trasformano in 1 kg di salmone, senza contare il massiccio uso di additivi chimici e antibiotici. In questo lavoro l’influenza spagnola è fortissima; si ricordi tra l’altro che la Spagna possiede una delle più importanti compagnie cilene di acqua potabile ed una telefonica). Risulta infatti che mentre il Giappone consuma 72 kg di pesce pro capite annuali e la Spagna 40, il Cile solo 4, dovendosi accontentare per l’alimentazione della sua gente dei prodotti monomarca (Nestlè) dei supermercati.
Di fronte a tutto questo Lagos chiama alla privatizzazione del mare, aumentando le quote di utilizzazione e di pescato per le aziende straniere: infatti, come detto, il frutto della pesca nei mari cileni è destinato quasi totalmente a Giappone, Europa, Usa, Canada, Corea. In mezzo a questa politica si costruiscono porti e moli nel mare dell’undicesima regione dove vivono i Mapuche. Il cemento ruba spazio alla tradizione. Inoltre i salmoni allevati spesso in vasche, in quanto specie esotiche e predatrici, alterano l’ecosistema locale. Dati gli stretti vincoli tra governo ed imprese, le leggi vengono confezionate per il mercato, non a misura di natura o di persona (lavoratori). A fornire i dati di impatto ambientale sono le stesse imprese che paradossalmente non riescono nemmeno a rispettare i propri parametri interni.
Una soluzione a queste problematiche risiede nel concetto di sovranità alimentare: ovvero gli stessi produttori locali dovrebbero stabilire cosa produrre e in che modo e soprattutto se e quanto esportare. Questo protagonismo della gente, questa democrazia dal basso spaventa l’elite, al potere che classifica come terrorismo le legittime rivendicazioni dei Mapuche.

All’interno del quadro legislativo la normativa è volutamente insufficiente per riconoscere il popolo Mapuche come soggetto, e quindi non ne riconosce il diritto all’autodeterminazione come stabilito nelle convenzioni internazionali. Il popolo non ha potere sulla terra e sulle sue risorse, al limite sulla proprietà privata: questa logica è eccessivamente limitata e restrittiva poiché utilizza lo stesso linguaggio e logiche del mercato, concetti estranei e dannosi ai popoli nativi.
Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad un processo di forestazione in 1,5 milioni di ettari a sud del fiume BioBio; in questo modo circa 50.000 ettari di territorio Mapuche sono stati invasi da specie estranee per il solo beneficio delle imprese di cellulosa…questo il risultato dei nobili intenti di ecologisti di mercato poco convinti!
La reazione diretta dell’esecutivo segue invece la linea dura della repressione attraverso il ricorso alle forze di polizia sino alla morte di un attivista, 200 processati e 31 accusati secondo la legge antiterrorismo. Per il futuro purtroppo non vi sono che previsioni di conflittualità.

Il territorio Mapuche si è ridotto dal 1881 da 10 milioni di ettari a circa 300 mila. I vari governi non hanno mai voluto ascoltare le domande e le proposte dei Mapuche, calpestandone i Diritti Umani. Una cultura di violenza, di potere, di autoritarismo tipica delle democrazie moderne chiuse alle differenze, aprioristicamente contrarie alla possibilità di alternative, non ammette eccezioni nelle linee di comando, non ammette perdite. Così il dialogo con il popolo Mapuche, una delle poche etnie sopravissute all’invasione dalla Conquista spagnola del 1500, si chiude fermamente.

I temi che emergono dalla tavola rotonda nel Foro Sociale Mapuche riguardano una maggior integrazione tra i gruppi etnici della campagna e della città, e propongono un candidato Mapuche per il governo centrale, per far fronte alla mancanza di reale rappresentazione della propria causa. Si avanza inoltre l’ipotesi di Obiezione di Coscienza, poiché non riveste alcun significato prestare servizi per uno Stato che non si riconosce e che non riconosce i Mapuche, e che anzi li reprime con forza. Un caso limite si è verificato in Messico, dove i ribelli si iscrivevano al Servizio Militare per apprendere l’uso delle armi e poi fuggivano con i guerriglieri per combattere militarmente lo stesso Stato. Emerge inoltre la somiglianza delle rivendicazioni dei Mapuche e delle lotte tra la popolazione cilena dei Wincha e gli Yankee, ugualmente sfruttati dal sistema. Non si manca di ricordare il coraggio del popolo Mapuche che ha resistito per 350 anni all’invasione straniera, senza dotarsi di armi, e di instaurare un doloroso parallelo tra la situazione dell’oppresso popolo Mapuche e quella del popolo Palestinese.

A noi settentrionali (nel senso di abitanti dell’emisfero nord del mondo, visto che in Cile il concetto di occidentali perde rilevanza) interessa il folklore etnico. Siamo talmente immersi nel nostro monopensiero che chiudiamo ogni possibilità all’Altro. In questo senso la ricca cittadina di Pucon, che si trasforma in una Davos blindata per accogliere i ministri dei paesi del Pacifico (APEC), organizza uno stand per promuovere la cultura Mapuche: il (mancato) rispetto per i popoli antivi si trasforma in marketing. E noi pensiamo di essere diversi? Perché allora ci stupisce un Mapuche con un cellulare? Forse perché lo vorremmo ignorante lavoratore del piccolo orto che gli abbiamo gentilmente concesso dopo avergli rubato la montagna. Non è forse maggiore la nostra incoerenza?

Note:Per saperne di più:
http://www.mapuexpress.net

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