Oggi è il 23 maggio e sono passati nove mesi da quando sono arrivata in Zambia per iniziare il mio servizio civile all’estero. Proprio in questi giorni stavo pensando: lascerò qualcosa alle persone qui? Sono riuscita a fare qualcosa di significativo durante i miei dieci mesi che rimarrà nei loro ricordi e nei loro comportamenti? Questi pensieri sono nati nel momento in cui ho iniziato a salutare le prime persone.
Clement, il responsabile della parte educativa del Cicetekelo Youth Project, ossia il progetto dei bambini di strada, mi ha abbracciata calorosamente dicendomi che il contributo che i Caschi Bianchi danno ogni anno è fondamentale affinché non solo i bambini ma anche gli educatori e lo staff abbiano uno scambio tra culture diverse, nuovi modi di vedere e di gestire le situazioni che si creano quotidianamente. Il Casco Bianco, anche se penso non sia un volontario vero e proprio per via del rimborso che riceve, comunque spende 10 mesi della sua vita per essere presente e aiutare dove e se necessario. Lui con poche parole e un abbraccio mi ha fatto capire tutto ciò.
Ho, invece, salutato una volontaria che si trova in Zambia ormai da tre anni e che il 25 maggio sarebbe partita e non l’avrei più rivista. La sua reazione è stata distaccata e fredda. Li’ ho percepito l’altra faccia della medaglia, ossia che il Casco Bianco sembra quella persona che arriva e poi se ne va, non lasciando nulla di diverso rispetto a tutti gli altri Caschi Bianchi prima di lei/lui, che un mese dopo la partenza viene rimpiazzata/o dal prossimo di turno. Per la mia esperienza, ho avuto la sensazione che i volontari qui da più tempo ed i responsabili, vedano più spesso questa parte, e questo mi è dispiaciuto, mi fa riflettere sulla necessità che sento di lasciare un segno.
Arrivando al dunque, cosa lascio qui a Ndola? A livello caratteriale mi lascio sicuramente alle spalle atteggiamenti di impazienza, di intolleranza, di incomprensione verso ciò che mi ha circondato in questi mesi. Abbiamo dovuto fare infatti molti meeting per comprendere la cultura zambiana prima di capire che non stiamo qui per capire per forza atteggiamenti culturali che non ci appartengono, e che dobbiamo semplicemente accettare che certe cose avvengono. Mi lascio alle spalle la costante importanza che le persone danno all’apparenza, molto più che alla sostanza (dalla famiglia, al lavoro, all’aspetto personale …). Mi lascio alle spalle la sensazione di “razzismo” che ho percepito dagli abitanti di Ndola, non abituati al contatto con persone occidentali, la poca tolleranza che ho avvertito verso di noi e la poca accoglienza. Un contatto più frequente con il “diverso” potrebbe aiutare. Come è successo a me in primis: sono cresciuta molto durante questi mesi di contatto con un’altra cultura e per questo ringrazio infinitamente il servizio civile.
La persona a cui penso di aver lasciato di lasciato di più è il maestro del centro con cui ho condiviso ogni giorno per i primi cinque mesi. Ribadisco anche qui che secondo me è fondamentale avere un contatto con un altro modo di vedere la vita, di organizzare le giornate, di valutare i bambini in ambito scolastico, di approfondire ciò che c’è scritto sui libri e non soltanto di limitarsi a leggere senza capire.
Anche al team con cui ho collaborato per le adozioni penso di aver lasciato qualcosa, in particolare a Bernard. Abbiamo condiviso tanto durante le passeggiate sotto il sole africano ed è sempre stato piacevole e divertente lavorare insieme. Lui è uno dei pochi zambiani organizzati, metodici, precisi e puntuali, quindi abbiamo trovato l’uno nell’altro il collega perfetto.
Cosa porto con me? Porto con me i sorrisi dei bambini che ti rallegrano anche le giornate più buie, porto con me delle amicizie che spero durino a lungo e un amore che mi ha cambiato la vita. Porto con me un nuovo modo di vedere e analizzare la realtà, oltre il primo sguardo superficiale e “critico”. Mi porto dietro un carattere attento e osservatore, che preferisce ascoltare e guardare prima di aprire bocca e, se non trova nulla di costruttivo o utile da dire, tace. E mi porto dietro anche una maggiore sicurezza nell’esprimersi in una lingua diversa dall’italiano e una maggiore estroversione nei confronti di tutti. Porto con me tante cose e per la maggior parte di esse capirò quanto mi hanno arricchito solo una volta tornata a casa e dopo aver metabolizzato questo anno lungo e intenso.
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