Bolivia Caschi Bianchi

Senza fiato

“Sono arrivata qui che facevo fatica a stare in piedi, ora me ne vado sicura dei miei passi verso un futuro molto incerto”: il racconto di un anno di Servizio Civile in Bolivia

Scritto da Sara Baldelli, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a La Paz

Cara La Paz,

ti osservo per l’ultima volta dal finestrino del minibus e rifletto su quanto, anche dopo 10 mesi che vivo qui, sei in grado di affascinarmi ogni volta.

I colori della frutta e della verdura che riempiono i tuoi mercati, i toni sgargianti degli aguayos delle cholitas con i loro abiti tradizionali, il teleférico che sorvola i tetti in ogni lato della città, il traffico e i clacson dei minbus che sfrecciano e si infilano da ogni angolo della strada e l’Illimani che svetta con le sue tre cime bianche dal grande ammasso di case costruite su ogni cm dell’altipiano, sono tutt’ora cose che sono in grado di stupirmi e riempirmi gli occhi di bellezza.

E allora oggi durante il mio ultimo viaggio dalla città a casa, con un sottofondo musicale nelle orecchie di qualche canzone reggaeton, di cumbia e di musica andina che mi riporta a qualche momento vissuto durante quest’anno, mi godo ogni piccolo dettaglio che i miei occhi sono in grado di catturare, cercando di godermi questo spettacolo per l’ultima volta. E’ sempre stato così per me quando si avvicina il momento degli addii e devo salutare un determinato posto, sento la necessità di ripercorrerlo, di cogliere visivamente quanto più posso, come a tentare di imprimerlo indelebilmente nella mia memoria.

E mentre ti osservo dal minibus fermo tra il traffico e il brulichio della gente che cammina, rifletto su quanto sei così unica nel tuo genere, fin dal primo sguardo lasci senza fiato qualsiasi viaggiatore o passante, una città a 4000 m. costruita minuziosamente su ogni cm di terra libero all’interno di una immensa conca tra le Ande e con la Cordillera a fargli da cornice. Proprio quei 4000 metri, impossibili da dimenticare soprattutto quando ti ritrovi davanti all’ennesima salita e ti manca letteralmente il respiro e allora devi imparare a camminare lentamente, senza fretta e senza correre, anche perchè se arriverai tardi potrai sempre usare la scusa dell’ “orario boliviano” (che è sempre approssimativo).

Senza fiato però è anche come mi ritrovo io ormai alla fine di questo mio anno di servizio civile qui in Bolivia. E’ difficile tentare di tirare le somme e fare un bilancio di un’esperienza che non vorresti si dovesse concludere e alla quale senti di poter dare ancora tanto, proprio ora che si iniziavano a vedere i frutti del lavoro di un anno, è difficile pensare di dover salutare una realtà ed un luogo che ormai è diventato parte di te, che senti tuo perchè è diventato la tua quotidianità, è difficile abituarsi all’ idea che non rivedrai, probabilmente mai più, le persone che hai accompagnato, con cui hai camminato e con cui sei cresciuta assieme durante questi mesi.

Ormai il tempo delle ultime volte è cominciato già da un po’, il tempo di tutti quei momenti che facevano parte del tuo vivere quotidiano e che ti rendi conto che non si ripeteranno più e allora cerchi di assaporarli e di goderteli a pieno per l’ultima volta ma nonostante questo la sensazione è che il tempo scappi via dal mio controllo, che scorra velocissimo senza riuscirlo a trattenere e il gusto che ti lascia tutto questo è dolceamaro.

Mi fa sorridere oggi ripensare a quanto è stato difficile e faticoso decidere di partire, alle paure e alle aspettative di quel momento e se potessi tornare indietro vorrei dire alla Sara di 10 mesi fa di non preoccuparsi, che è stata una delle migliori scelte che potesse fare per sé stessa e che quello che vivrà ogni giorno ne sarà la conferma, perchè tutto sarà molto più semplice e bello e molto meno difficile di quanto lei si aspettava e che andrà mille volte meglio di quanto si potesse immaginare. Perchè si, sono partita sperando di poter vivere un’esperienza forte ma mai avrei pensato che potesse travolgermi in una maniera così intensa e profonda e sconvolgermi, in senso positivo, fino a questo punto.

Se ripenso a questo mio anno forse è stato un po’ come la camminata che ho fatto per arrivare alla Montana de Siete Colores, in Perù, a 5000 mila metri. L’euforia e l’emozione iniziale mischista al timore di come reagirà il tuo corpo a quelle altezze, la partenza in gruppo con la guida che ti dà indicazioni e il cammino poi praticamente in solitaria, perché ognuno ha la necessità di andare al proprio passo ed infine lo stupore nel constatare che non stai facendo tutta la fatica che ti aspettavi e la sorpresa di fronte allo spettacolo mozzafiato che ti ritrovi davanti, che si manifesta però tutto di colpo solo quando giri l’ultima curva e ti ritrovi sulla cima opposta, è solo da lì che si possono percepire chiaramente l’alternarsi di colori che poi si espandono sui crinali e più ti allontani e sali in alto più tutto diventa nitido. All’improvviso quelle tonalità che coloravano le montagne a cui camminavi di fianco si uniscono su un unica montagna e tutto diventa chiaro e bellissimo e ti senti grata per essere lì a poterlo osservare con i tuoi occhi.

Un po’ come me, forse avevo bisogno di allontanarmi da tutte le mie certezze per raggiungere certe consapevolezze personali, facendomi guidare in un inizio e iniziando poi a camminare da sola alla velocità che ritenevo giusta per me, ascoltandomi e ascoltando il mio bisogno di una pausa e di fermarmi o di proseguire più rapida quando si presentava. È stato un  cammino che si è rivelato molto più semplice e naturale di quanto mi aspettassi e che ha spazzato via tutte le mie paure iniziali, non da subito ho colto la sua bellezza ma man mano che andavo avanti è aumentata in me la consapevolezza che stessi vivendo qualcosa di davvero straordinario ed unico ed ora che sono arrivata alla fine, al culmine di questa esperienza mi sento senza fiato per l’opportunità che mi è stata data, mi rendo conto davvero della sua ricchezza e provo un grande senso di gratitudine, nei confronti di chi ci ha accolto, dei ragazzi, di tutti gli incontri che ho sperimentato e del grandissimo scambio che c’è stato con ognuno di essi.

Cosa mi porto? Una valigia piena di ricordi, volti e momenti, qualche abito ed oggetto colorato in più, una nuova passione per la musica reggaeton e andina e di tutti i suoi balli e tradizioni che ormai sento un po’ anche mie, un numero indefinito di braccialetti, bigliettini e pensierini, regali e ricordi di persone che hanno condiviso con me questo cammino, gli occhi pieni di meraviglia dei posti che ho potuto vedere e scoprire perché il mondo è un posto spettacolare; ma soprattutto mi porto a casa una maggior conoscenza di me stessa, una maggiore capacità di ascolto perché spesso c’è più bisogno di questo che di tante parole, la scoperta di nuove parti e aspetti di me che non conoscevo, la capacità di riuscire a trovare il bello ed il positivo in ciò che accade e di lasciarmi stupire e innamorare continuamente della bellezza che ci circonda, l’importanza del tempo e l’arte del saper aspettare, perché lentamente anche i più piccoli semi gettati daranno i loro frutti se ci investi e ci metti del tuo nella relazione con l’altro ed infine la consapevolezza che possiamo sentirci così simili anche a persone  che sono nate e vivono d’altra parte del pianeta, perché la fragilità è ciò che ci accomuna in quanto esseri umani e non c’è chi aiuta o viene aiutato, perché ci si salva insieme.

Cosa lascio? Alcune maschere e sovrastrutture perche ho capito che nella semplicità riesco ad essere più felice, abbandono qui un po’ di frenesia e la mia eccessiva  smania di organizzazione per una vita forse più caotica ed imprevedibile ma più lenta e vissuta a pieno, lascio tante cose superflue di cui ora sento di non avere più bisogno e che ora custodirà qualcun’altro ma più di tutto sicuramente lascio una parte di me, che sento apparterrà per sempre a questo luogo e ai ragazzi che ho visto crescere e cambiare, perchè qui ho trovato una seconda famiglia ed una seconda casa.

Come ho scritto anche ai ragazzi prima di andarmene, sono arrivata qui che facevo fatica a stare in piedi (i 4000m provocano anche questo), ora me ne vado sicura dei miei passi verso un futuro molto incerto ma profondamente ed eternamente grata per la possibilità di aver potuto vivere tutto questo, che custodisco nel cuore.

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