Caschi Bianchi Perù

Il Perù dalla crisi istituzionale ad oggi

La destituzione del Presidente Castillo, avvenuta ad opera del Parlamento peruviano nel dicembre 2022, ha portato a scontri e proteste che sono giunte fino al centro della capitale, Lima. In questo scenario di forti tensioni appare chiaro che la lotta ha radici molto profonde e la popolazione è stanca e frustrata di uno Stato che non considera i suoi interessi e diritti.
Arianna ed Eleonora provano a raccontarci quanto sta accadendo nel paese latinoamericano.

Scritto da Arianna Piccinini ed Eleonora Apicella, Caschi Bianchi in Servizio Civile con FOCSIV a Lima.

La dura repressione delle forze armate contro le manifestazioni pacifiche causa più di 50 morti

“Dina traidora!” – “Dina traditrice!” – gridano a squarciagola i manifestanti in Perù dall’11 dicembre 2022, giorno nel quale si è registrato il primo morto nel paese dopo la destituzione di Pedro Castillo, ex presidente della Repubblica. Da questo momento si è assistito ad una vera e propria escalation di proteste e disordini, dapprima fuori dalla capitale, concentrate nel Sud del paese, per poi proseguire nel centro della stessa Lima. La polizia sta reprimendo le manifestazioni in modo sempre più brutale, come testimoniano le immagini eloquenti di soldati che fanno fuoco sulla folla[1].

In questo contesto di forti tensioni ci siamo trovate a fronteggiare uno scenario inaspettato: la mobilitazione di migliaia di persone, coprifuoco notturno in 15 province di 8 regioni, un numero sempre più crescente di morti e feriti. La situazione è complessa ma una cosa appare chiara: questa lotta ha radici profonde e nasconde frustrazioni che hanno origine ben prima della destituzione di Castillo. La popolazione è stanca e le richieste di una nuova Costituzione e Assemblea Costituente derivano dall’assenza dello Stato in molte regioni del paese. Di fronte a tanta ingiustizia anche noi Caschi Bianchi, impegnati in progetti di promozione dei diritti delle popolazioni indigene, non potevamo rimanere indifferenti. I valori che abbiamo sposato con la scelta del Servizio Civile ci portano ad essere costruttori di pace contro ogni tipo di violenza e soprusi.

La giustizia deve esistere per tutti, non solo per alcuni: crediamo e speriamo che questo articolo possa aiutare alla comprensione di contrasti sociali e politici molto complessi, cercando di dare voce ad un paese la cui verità non viene ascoltata.

Com’è cominciato tutto?

Pedro Castillo, nato a San Luis de Puña, nel distretto di Tacabamba, è il terzo di nove figli di contadini analfabeti. Dopo essere riuscito a pagarsi gli studi lavorando come venditore di gelati, esercita la professione di insegnante ed attivista sindacale, iniziando ad avere un certo seguito.

Castillo si propone alle elezioni presidenziali come una rottura con il passato, il suo motto recita: “Non più poveri in un paese ricco”. L’ex presidente della Repubblica, maestro e sindacalista, si è insediato il 28 luglio 2021 battendo al ballottaggio Keiko Fujimori, leader della destra peruviana e figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori.

Rappresenta il voto antisistema, di rivendicazione contro i gruppi di potere: fin da subito riceve il forte sostegno delle regioni andine, che si identificano e lo riconoscono come “rappresentante legittimo”. Per la prima volta, si sentono rappresentate da un programma elettorale e riversano nella sua figura tutta la loro speranza di rivendicazione sociale.

Il 7 dicembre dello scorso anno si sarebbe dovuto votare per la terza volta la destituzione dell’ex presidente, ma Castillo, in un discorso pubblico alla Nazione, minaccia di sciogliere il Congresso.

Il Parlamento, con una procedura d’urgenza, vota la sua destituzione con larga maggioranza. Viene convocata Dina Boluarte, vicepresidente in carica, per la cerimonia di successione, diventando la prima donna presidente della Nazione.

Dal momento dell’insediamento del nuovo governo, il paese è in uno stato di agitazione costante caratterizzato da manifestazioni e proteste delle comunità più colpite che hanno visto persa l’opportunità di far valere le loro rivendicazioni storiche[2].

Le forze dell’ordine, la cui violenza ha provocato più di 50 morti e migliaia di feriti in tutto il paese, hanno commesso attacchi indiscriminati contro la popolazione civile.

Il 29 gennaio 2023 si è registrata la prima vittima nella capitale del paese, deceduta a seguito di un grave trauma cranico riportato durante le tensioni con le forze dell’ordine[3].

Perché le proteste? Una crisi strutturale

È arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza: le proteste nate dalla recente vicenda di Castillo si inseriscono nel contesto di una crisi molto più ampia.

Le insurrezioni trovano la loro origine nell’antico conflitto sociale tra zone rurali ed élite bianca del paese, profonda frattura generata dall’esperienza coloniale. I territori di provenienza della maggior parte dei manifestanti, regioni andine, non a caso registrano i più alti tassi di povertà a livello nazionale. La vittoria di Castillo aveva comunicato per la prima volta qualcosa di davvero importante: finalmente era ora di governare a favore di coloro che storicamente sono sempre stati esclusi, mettendo in mano al presidente le rivendicazioni sociali più urgenti (accesso alla salute, al lavoro dignitoso, all’istruzione).

Le zone rurali sono le più ricche dal punto di vista delle risorse. Qui si concentrano le imprese estrattive, motore trainante dell’economia peruviana e al tempo stesso causa di effetti devastanti sulle popolazioni indigene: terreni espropriati grazie a semplificazioni amministrative volte a ridurre gli obblighi procedurali e la garanzia del diritto di proprietà delle comunità sui territori interessati, falde acquifere contaminate, percentuali di metalli pesanti nel sangue altissime e bambini che nascono con malformazioni

Il contesto pandemico ha ulteriormente inasprito i rapporti tra le parti, intensificando i conflitti socio ambientali nell’industria mineraria e petrolifera. Nonostante fosse stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria le imprese non hanno chiuso, costringendo i propri dipendenti a lavorare in condizioni pericolose. Numerose le denunce da parte dei sindacati e lavoratori che non sono stati dotati di adeguati dispositivi di protezione personale contro il virus, oltre all’assenza di misure di prevenzione necessarie per evitare il contagio da Covid-19.

Il 19 maggio 2020, più di 30 organizzazioni sociali della provincia di Santiago de Chuco, La Libertad, allertarono lo Stato e la società civile rispetto allo stato di abbandono nel quale versavano le comunità della provincia. Qualche giorno prima, infatti, alcuni lavoratori del “Consorcio Minero Horizonte”, impresa peruviana, affetti da Covid-19, erano stati sistemati in una stanza con solo delle coperte con le quali riscaldarsi ed abbandonati a loro stessi, senza ricevere medicinali e senza assistenza medica. Una situazione simile viene denunciata dai lavoratori della “Shougan Hierro Peru”, impresa cinese, ai quali è stato chiesto di firmare un documento giurato dove l’impresa responsabilizzava il lavoratore nel caso in cui avesse contratto il virus, scaricando su di lui tutti i costi derivanti dalle cure mediche eventuali[4].

L’aumento di progetti estrattivi, favorito dalle recenti riforme d’impronta neoliberista che cercano di velocizzare il processo di industrializzazione del paese, specialmente nelle zone meridionali e centrali, ha avuto un impatto diretto non solo a livello economico, ma anche sociale, ambientale e culturale compromettendo il rispetto dei diritti individuali e collettivi delle popolazioni che vivono nelle zone di influenza. I gruppi sociali sentono che i loro interessi e diritti non vengono presi in considerazione e percepiscono lo Stato come una entità chiusa, illecita e faziosa.

La sfiducia nei confronti dello Stato: il conflitto armato interno

“In tutto questo tempo il Congresso si è conquistato la sua stessa delegittimazione, al punto che quasi nessuno lo rispetta o è in accordo con lui” dice Keylin Leonela Labra Panocca, Presidente della Federazione Universitaria di Cusco.

Sono stati numerosi i tentativi da parte delle comunità indigene di instaurare un dialogo con lo Stato che quasi mai ha accolto adeguatamente le loro richieste e l’attenzione che meritano, rispondendo invece con una criminalizzazione delle popolazioni rurali.

A questo si somma una situazione politica instabile dal 2016: si sono succeduti 6 presidenti da allora. Sono stati incriminati per corruzione, violenza domestica e omicidio: Kuczynski ha trascorso 3 anni agli arresti domiciliari, Vizcarra fu accusato di impeachment, Merino si dimette a seguito dell’uccisione da parte delle forze di polizia di alcuni manifestanti. In questo panorama di già forti disuguaglianze e povertà, le vicende politiche degli ultimi anni hanno condotto a un populismo diffuso e a una diffidenza generale nei confronti dell’élite politica.

Un altro fattore che ha fortemente contribuito alla costruzione di una cultura di timore e sfiducia è il frutto di anni di violenza politica nelle Ande, i cosiddetti anni del conflitto armato interno. Dal 1980 al 2000 infatti il paese ha dovuto affrontare “l’episodio di violenza più intenso e più prolungato nel tempo di tutta la storia della Repubblica”[5]. Sendero Luminoso, partito comunista rivoluzionario del Perù, ha dato inizio alla lotta armata contro lo Stato: gli episodi di violenza tra le due fazioni, Sendero da un lato e le forze di Polizia dall’altro, hanno causato più di 70.000 mila vittime[6], provenienti per lo più dalle regioni andine, dove il movimento è nato come forma di sviluppo alternativo di impronta marxista-leninista.

Il conflitto armato interno ha lasciato conseguenze profonde su tutti i livelli della vita della Nazione, accentuando squilibri preesistenti, esasperando la povertà e aggravando forme di discriminazione ed esclusione. Le sue tracce le troviamo nella stessa lingua Quechua, parlata sulle Ande prima dell’invasione spagnola e tuttora utilizzata da numerose comunità: “Yzhiyatha” significa “Vivere fuggendo”, ed è un termine introdotto nel linguaggio proprio durante gli anni del conflitto, a simboleggiare la difficile condizione delle popolazioni rurali, strette tra due fuochi.

Cosa succederà?

Abbiamo avuto il piacere di conoscere il punto di vista di un esponente della comunità andina sui recenti avvenimenti che hanno sconvolto il paese. Originario di Andahuaylas, città delle Ande meridionali nella regione di Apurímac, Rolando Willems Delanoy, docente e coordinatore del MNNATSOP (Movimiento Nacional De Niños, Niñas Y Adolescentes Trabajadores Organizados Del Perú), di fronte alla domanda “Come pensi si evolverà l’attuale situazione politica del paese?” risponde: “Come conseguenza della sempre più crescente pressione internazionale, Dina sarà costretta a dimettersi”.

L’organizzazione degli Stati Americani (OSA) mostra infatti le sue preoccupazioni a causa dell’uso di forme repressive e violente durante le proteste antigovernative. Gli Stati Uniti decidono di sospendere l’assistenza di sicurezza al Perù finché non si avrà conferma della fine delle repressioni.

Il governo di transizione deve reagire e adottare misure urgenti, che non si limitino a “ripristinare l’ordine”. La stagione delle riforme è ad un passo, anche perché le dimissioni di Boluarte e l’anticipo delle elezioni rappresentano solo un palliativo.

Durante gli anni della dittatura di Fujimori sono state introdotte numerose modifiche antidemocratiche dall’allora presidente volte a facilitare il suo incarico. Queste riforme tutt’oggi in vigore sono uno dei tasselli fondamentali che impediscono il corretto svolgimento del mandato elettorale. Un primo problema riguarda l’equilibrio tra esecutivo e legislativo, poiché il Presidente della Repubblica può essere destituito per “supposte” attività illecite. Inoltre, non c’è bicameralismo in Perù, ma solo un Congresso composto da 130 congressisti a rappresentare 30 milioni di abitanti, fattore che contribuisce ad una ulteriore centralizzazione del potere nelle mani di pochi.

È chiaro agli occhi di tutti che la complessità di quello che sta succedendo nel paese non si limita ad una risposta di fronte alla destituzione dell’ex presidente Castillo: sopite sotto le ceneri sono tante e antiche le problematiche, principalmente legate al non riconoscimento dei diritti delle popolazioni rurali. Soprattutto chi proviene dalle periferie non ha altro strumento per ottenere visibilità se non la protesta, ultima risorsa rimasta per farsi ascoltare.

Occorre dare voce alle rivendicazioni regionali, e questo avviene solo attraverso la conoscenza della realtà e la stretta comunicazione con gli attori sociali dei diversi territori. Bisogna ricostruire la fiducia con la cittadinanza, in un quadro di rispetto ed inclusione di tutti e tutte.

[1] Lorenzo Drigo, “Peru, Castillo condannato 18 mesi/Scattano le rivolte, militari sparano sulla folla” Ilsussidiario.net, 16/12/2022

[2] Cynthia Cienfuegos, “Las dos crisis”, Noticias SER.PE, 24/01/2023

[3] Carlos Noriega, “La represión se cobra su primera víctima en Lima”, pressreader, 30/01/2023

[4] Red Muqui, “Debida Diligencia y Empresas Mineras en el Perú”, 1°ͣ edizione agosto 2021, p.39

[5] Commissione verità e riconciliazione, “Perú 1980-2000-Rapporto finale”, 15/10/2003

[6] Ibidem

Per approfondimenti:

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