È il 24 febbraio, in Ucraina, nella notte l’esercito russo dà il via a quello che si temeva ormai da settimane. È il 24 febbraio, noi siamo già in Italia, alle otto di mattina ricevo un messaggio da Agnese la mia compagna di viaggio ed ormai cara amica, che scrive “Amos” senza aggiungere altro… lasciando intendere tutto.
Quando leggo mi ero appena svegliato ed immagino subito il peggio. Immediatamente scorro le notizie che confermano la paura che da settimane ci attanaglia, Putin ordina l’attacco ed inizia un conflitto che mina l’integrità e la pace di un intero popolo. Un senso di frustrazione ed angoscia immediatamente penetra nelle viscere lasciandomi sgomento ed impotente. Nella mia mente scorrono in maniera confusa e disordinata le immagini di tutti i volti che ho incontrato e che evidentemente in maniera inconscia mi hanno segnato: le signore anziane che sistemano il giardino di casa con il loro tipico fazzoletto in testa, i visi degli operai a lavoro sul ponte, i bimbi che giocano con i loro slittini sulla neve, la gentile signora da cui andavamo a comprare spesso dolci e caffè ed ogni volta che ci vedeva in giro ci salutava sorridente, Costantin ragazzo di vent’anni sposato da poco che con orgoglio ci mostra le foto del suo matrimonio e poi, in maniera ben più lucida, il pensiero va subito agli amici, Ivan, Kristina, Liudmila e suo figlio Ilià e tutte le operatrici del Centro Campanellino. Mando subito un messaggio e fortunatamente rispondono di stare tutti bene.
Adesso provo a riavvolgere un attimo il nastro.
Sono stato poco meno di un mese nel Paese, ma le persone che ho avuto modo di incontrare mi hanno colpito subito per la loro accoglienza, sempre pronte ad aiutarti e pazienti nell’affrontare le difficoltà di comunicazione per via della lingua. Si fermavano quando necessario a spiegarti la giusta pronuncia di una parola, facendosi grosse risate quando tentavamo di ripeterla (io non ne azzeccavo una!). Un po’ come quando da bambini e da poco capaci di leggere, ci cimentavamo, come un gioco, a leggere appunto qualsiasi cosa si incrociava con lo sguardo, anche camminando per strada, insegne stradali, cartelloni pubblicitari, scritte sui muri, etichette di prodotti e chi ne ha più ne metta…
L’ultima settimana poi abbiamo vissuto momenti di festa e sorrisi smisurati festeggiando i compleanni di Daniela (Operatrice del campanellino) ed Agnese, lasciandoci trascinare da quell’uragano di gioia e positività che è Liudmila (Direttrice del Centro), forza della natura che ama i momenti di convivialità e festa più di chiunque altro. Inoltre, si era felici perché stavamo lavorando per preparare delle sorprese ai bambini che presto avrebbero ricominciato a frequentare il centro dopo una pausa dovuta al covid, riportando una normalità che purtroppo, visti gli eventi, tarderà ancora ad arrivare.
Tutti sono stati davvero bravi a trasmettere serenità e calma in un periodo critico e per questo li ringrazio e stimo molto, ed in fondo le giornate passavano davvero serene fin quando, tornati a casa dopo il lavoro, davanti alla solita e puntuale tazza di infuso tipico a base di frutta essiccata e affumicata passavamo in rassegna le notizie del giorno dalla stampa internazionale, le quali avevano l’effetto immediato di scoppiare la bolla di pace in cui tentavamo di rifugiarci, facendoci precipitare nella precarietà e nello sconforto, avendo l’effetto di una doccia gelida paralizzante, ma che per fortuna non ci ha mai dissuaso nell’andare avanti col progetto.”
Per me questa non è soltanto una guerra abominevole e stupida che spazza via vite, sogni, speranze e gioie e futuro, che semina odio e raccoglie violenza e morte come qualsiasi altra guerra… ma è una guerra che mette in pericolo i nostri così cari ormai, amici ucraini, persone con cui abbiamo scambiato affetto e collaborato con l’intento di fare del bene, nel nostro piccolo, nella loro realtà; che ci hanno accompagnato alla scoperta della loro cultura insegnandoci cos’è l’amore verso la propria terra ed il proprio popolo e che ci hanno riempito d’affetto e quest’ultimo l’ho già detto, lo so, ma è stato così tanto che è giusto scriverlo due volte.
Sabato 12 febbraio riceviamo la notizia che ci costringe a tornare a casa, siamo confusi “oh ma magari è solo per precauzione e non succede nulla… ma certo che non succede nulla, vedrai pure che ritorneremo.” ci dicevamo; “speriamo… speriamo…speriamo…” continuavamo a dirci e ci speravamo davvero con tutto il cuore, anzi ne eravamo quasi convinti, perché l’idea di una guerra ci sembrava così assurda, che non riuscivamo a crederci davvero fino in fondo, seppure spesso ci ritrovavamo a contemplarne l’eventualità… Domenica 13, Ivan e Kristina, che sono stati un po’ gli angeli custodi in questo percorso, ci aiutano a sistemare le ultime cose prima della partenza per l’Italia programmata per l’indomani, portandoci anche da Liudmila e la sua famiglia per un ultimo saluto.
Ed ecco che inizia la giostra di abbracci, strette di mano e pacche sulle spalle e poi sorrisi amari e parole di buon auspicio e nel frattempo comincio a sentire il cuore impazzire, come se ad ogni battito urtasse contro le pareti di una scatola che via via si faceva sempre più piccola, ammaccandosi sempre di più… Con la coda dell’occhio mi accorgo anche che Agnese trattiene a stento le lacrime, questo non fa altro che catalizzare questo strano processo che vede le due velocità, quella dei battiti e quella con cui la “scatola” riduce le sue dimensioni, aumentare vertiginosamente e mi pareva anche cominciare a sentire lo stomaco al cappio quando ad un tratto, Ivan disse che era ora di andare, salvandomi appena in tempo da questa situazione che non stavo più riuscendo a controllare. Forse è stato in quel momento che ho cominciato a realizzare tutto davvero.
Si sente parlare di perdite economiche, crolli delle borse, aumento dei prezzi, crisi energetica e politica a volte mettendo questo davanti alla più grave perdita umana. Vite spezzate e famiglie distrutte dalla cupidigia di pochi, da una depravata fame di potere e da sterili idee nazionaliste. Viviamo un momento storico dove Oriente ed Occidente dovrebbero lottare, Si!… ma insieme, per contrastare un futuro impervio che rischia di portarci alla sesta estinzione di massa, invece ci si concentra sul bisogno malsano di prevaricare ancora sull’altro.
I concetti di confine dovrebbero essere aboliti, le barriere distrutte. Dovrebbe finalmente espandersi a macchia d’olio l’idea che esiste un unico grande popolo, che deve cooperare per sottrarsi da un potenziale destino catastrofico, che non fa nessuna distinzione tra bandiere o colori. Bisognerebbe capire, che forse oggi, l’unico modo per andare avanti è tornare indietro sui propri passi…
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