Caschi Bianchi Italia

La serenità di una scelta vissuta fino in fondo

Marta, in attesa di partire come Casco Bianco in Kenya, ci racconta la sua storia: la scelta di abbandonare le certezze di una vita sicura per rincorrere un sogno più grande, che proprio nel momento in cui si stava per concretizzare è stato “congelato” a causa dell’epidemia COVID-19.
“Nell’assurdo di questo periodo è stata proprio questa strana e inaspettata calma forzata a regalarmi la possibilità di toccare con mano quanto è reale e grande il mio sogno”.

Scritto da Marta Perotti Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23

La vita è una storia fatta di scelte a cui tutti siamo chiamati. Oggi provo a raccontarvi quelle che mi hanno portata ad essere un Casco Bianco.

Sono Marta, ho 25 anni ed ho scelto di partire per il Kenya con il progetto di Servizio Civile Universale – Caschi Bianchi Corpo Civile di Pace 2019 – Africa.

Quasi un anno fa si insinuò in me un pensiero, quasi un tarlo, difficile da scacciare. Di lì a poco sarebbe uscito il bando per il servizio civile ed io avevo un contratto a tempo indeterminato che aspettava di essere firmato. Ero di fronte ad una scelta: fare la firma, decidere di continuare a lavorare come educatrice in quella comunità per minori che fino ad allora mi aveva donato già tanto. Oppure non farla, quella firma. Non firmare non implicava soltanto smettere di lavorare lì; significava concludere un percorso per sceglierne un altro, uno però più ignoto ed insicuro. Già, perché quando partecipi ad un bando il posto non è assicurato e tu devi prendere il coraggio a quattro mani e decidere. Decidere di lasciare quello che hai, anche se sai quanto è prezioso per te, anche se ti senti di aver trovato il tuo posto, in un certo senso, anche se non sai se troverai quel che speri oppure no.

In quei momenti sembra che la vita ti chiami e ti dica di seguirla nella strada che appare più impervia e scoscesa. La ragione ti dice che la scelta migliore sarebbe la strada larga ed asfaltata che ti trovi di fronte, ma la pancia ti guida verso quel sentierino nascosto a lato, dietro i cespugli.

Ti chiedi perché, ma poi se guardi bene basta poco per riconoscerlo: il perché è lì, chiaro e lampante.

Guardandomi dentro, nella confusione che caratterizzava il momento, la scelta, mi resi conto che quella stradina in realtà era la risposta a un sogno, un sogno grande che proveniva da molto lontano, non era una voglia passeggera.

Avevo visto nascere il mio desiderio di partire tanti anni fa, dopo un’esperienza di volontariato in Brasile, lo avevo coltivato, lo avevo fatto crescere. Dopo essere tornata da quel viaggio avevo come interiorizzato in me la partenza, che non era solo un muoversi fisicamente verso un mondo lontano ed estraneo, ma era piuttosto un cammino interiore, che avevo cominciato e non volevo interrompere. Per me la partenza non fu mai una fuga da qualcosa; sapevo che non avrei potuto costruire la mia vita su un susseguirsi di partenze e ritorni, per questo nel frattempo ho portato avanti un percorso universitario, per costruirmi una professione. Ho lavorato in tanti contesti diversi nel mio ambito, l’educazione, e sono consapevole che queste scelte mi hanno restituito un bagaglio unico che mi ha permesso di essere la persona che sono oggi, professionalmente e personalmente.

Però negli anni non ho mai perso quella spinta a partire, ho continuato appunto a nutrire il mio sogno, gli ho dato una struttura più solida; soprattutto ho atteso il momento giusto, propizio.

Scegliere è complesso, implica che qualcosa venga tagliato fuori, smetta di esistere. E quando ciò porta via una cosa per te preziosa la scelta può creare ancora più dolore.

Quando mi accorsi che il richiamo a percorrere quella stradina aveva voce così antica in me, mi resi conto che la mia scelta, pur non priva di sofferenza, non sarebbe stata poi così difficile, perché era tutto ciò che potevo fare per me stessa.

Nella ricerca spasmodica della “giusta” soluzione, ad un certo punto, tutto si era placato e immediatamente avevo riconosciuto la strada: non quella giusta in generale, ma quella giusta per me.

Era arrivato il momento per avere coraggio e dare voce a quella (ri-)partenza che avevo desiderato per anni, ad uno dei sogni più grandi della mia vita.

Una volta deciso di partecipare al bando del servizio civile fui chiamata ad una nuova scelta, quella rispetto al progetto per cui fare domanda, potendo optare per una sola destinazione tra le tante possibili dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Anche qui, questa volta non so bene il perché, dopo un lungo periodo di indecisione, di lettura delle molteplici possibilità, ad un certo punto tutta la confusione in me si zittì, letteralmente da un momento all’altro. Avevo scelto il “mio” progetto, quello per cui volevo fare il colloquio, quello per cui volevo spendere le mie energie.

Il colloquio andò bene e fui selezionata proprio per il progetto che avevo scelto.

Iniziato il percorso di formazione mi sono resa conto che con me c’erano tante persone, chi con motivazioni simili chi molto diverse, tutti con percorsi di vita peculiari. Ma tutti lì, tutti insieme per cominciare questo cammino.

La formazione è durata pochi giorni, ma a noi è sembrato un periodo molto più lungo e in molti ci siamo meravigliati per la sintonia che sessanta persone così diverse potessero costruire in un lasso così breve di tempo.

Sono stati giorni preziosi perché hanno dato un inizio più tangibile al progetto e, per le persone pragmatiche come me, quella concretezza è impagabile.

Poi il tutto si è interrotto a causa dell’emergenza Coronavirus, bruscamente e senza preavvisi perché quei giorni insieme sono stati una bolla senza spazio e senza tempo in cui era difficile percepire cosa stava succedendo nel mondo fuori, mentre noi eravamo in formazione residenziale.

All’inizio della formazione non lo sapevo, e forse troppe volte l’essere umano compie l’errore di dimenticarsene, ma la vita non aveva smesso di mettermi davanti a delle scelte. In realtà non smetterà mai.

Come volontari sospesi dal servizio per “cause di forza maggiore”, siamo stati chiamati ad una nuova scelta. Abbiamo dovuto decidere se congelare o rimodulare il servizio civile.

Il congelamento implica che venga fermato il servizio e che si attenda un tempo in cui sarà possibile la partenza, per come era stata pensata, comunque entro il 31 luglio.

La rimodulazione permette di continuare il servizio civile qui in Italia e poi concluderlo eventualmente all’estero.

Ecco una nuova scelta. Ecco nuovamente due strade di fronte a me egualmente dignitose, egualmente nobili rispetto ai vari punti di osservazione.

Io ho scelto il congelamento. Ho scelto di aspettare perché nel mio cuore il desiderio di fare il servizio civile all’estero ha saputo attendere anni. È come se avesse preso vita, letteralmente: è cresciuto, è diventato grande e adulto con me e per questo sa aspettare.

Il sogno vive tutt’oggi nel mio cuore, è allegro al pensiero che prima o poi possa vedersi realizzato.

Sono consapevole che le cose potrebbero non andare come erano state pianificate, ma ho scelto di tenere acceso il lume della speranza finché potrà essercene la possibilità. E se le cose andranno diversamente, allora farò in modo di costruire una nuova strada. Fino ad allora però voglio continuare a sperare.

Nell’assurdo di questo periodo è stata proprio questa strana e inaspettata calma forzata a regalarmi la possibilità di toccare con mano quanto è reale e grande il mio sogno e questo mi ha dato la spinta per continuare a desiderare, mentre ho portato avanti il mio percorso qui.

Credo fermamente che la vita sia gentile e ci dia sempre degli ottimi percorsi alternativi, se solo sappiamo guardare dietro ai cespugli, a lato della strada principale, e avere il coraggio di intraprenderli, nonostante il timore per il salto nel vuoto.

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