Caschi Bianchi Cile

“La storia è nostra”, e ce la siamo scritta in casa tua

“Mi porto dietro tantissima determinazione, la consapevolezza che devo mettermi in prima linea, sempre e comunque, e con un progetto ben definito in testa”. Abbiamo chiesto ai Caschi Bianchi che hanno appena terminato il loro anno di servizio civile all’estero, cosa hanno lasciato e cosa si sono portati con sé da questo anno così ricco ed intenso: ecco cosa Roberta lascia in Cile e cosa ha conservato con sé

Scritto da Roberta Tartaglia, Casco Bianco in servizio civile con Apg23 a Santiago del Cile

Siamo su in mansarda che svuotiamo i cassetti, la metà della roba che tiriamo fuori ci sembra perfetta per altri, pare che non possa essere usata fuori da qui, e quindi continuiamo a riempire buste da distribuire in giro. Non mi è mai piaciuta ‘sta mansarda, troppo calda o troppo fredda, sempre piena di polvere invadente e peli di gatto, ma mentre la svuoto mi rendo conto di quanto si sia impregnata della nostra storia.

In Cile, innanzitutto, ho lasciato una scatola di cianfrusaglie, un pettinino di ferro, due sacchi di vestiti e una borsa.

Mi hai dato appena il tempo di arrabbiarmi per le drammatiche disuguaglianze, di realizzare la barbarie di certi modelli di sfruttamento e di quanto questi fossero replicati tali e quali anche a casa mia, che mi sei esplosa davanti, Santiago. Ero lì che contemplavo le tue notti molto poco stellate, che mi interrogavo come si interrogano i viziati europei che si mettono in gioco, ma mai oltre il limite stabilito, e mi si sono incendiate le certezze, insieme alle stazioni metro. E’ esplosa la rabbia collettiva, prepotente come le radici di un albero, e si è via via organizzata, è diventata lotta, è sbocciata come un fiore.

Mi porto dietro tantissima determinazione, la consapevolezza che devo mettermi in prima linea, sempre e comunque, e con un progetto ben definito in testa.

Poi, si sa, i progetti sono fatti per essere stravolti. O anche, le scarpe si indossano per essere lanciate, le tovaglie strappate, gli orari non rispettati, le scadenze prolungate, i film western per imparare le parolacce.

Lascio una borsa piena di insicurezza: mi hai insegnato a pensare molto più velocemente di quanto avrei immaginato, a fare attenzione a troppe cose contemporaneamente e a prendere decisioni, anche poco ortodosse, su due piedi, col beneplacito di compagni di avventura altrettanto confusi.

Mi porto dietro tutta la tua delicatezza quando mi parlavi di diversità: non di quella lampante, tenera, gestibile, ma di quella profonda tra due persone nella stessa condizione, che non hanno motivo per non capirsi, eppure si squadrano da lontano senza essere in grado di avvicinarsi.

Ti lascio tutti i sorrisi che hai saputo far nascere, tu, il deserto, l’oceano, il traffico e le Ande innevate, ripasso a prenderli appena posso.

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