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Caschi Bianchi Indonesia

Donne, madri e lavoratrici – Un esempio

Ina Warni: una storia di lavoro, di lotta quotidiana per se stessa e per le sue figlie

Scritto da Andrea Carla Volpe, Casco Bianco in servizio civile con Caritas Italiana a Gunung Sitoli, Nias

Ina Warni[1] ha 47 anni. Vive insieme a tre delle sue cinque figlie. La sua famiglia e’  beneficiaria  del progetto CBR, Community Based Rehabilitation, un progetto che prevede visite domiciliari costanti, settimanali a famiglie con a carico bambini disabili e con cui si svolgono attività di studio, ludiche e attività  di livelihood rivolte alla famiglia in modo più ampio. Faomasi, alias Ina Warni, e’ vedova, vive  con la sua famiglia in mezzo alla foresta, ma a pochi passi dalle risaie. La località si chiama We’a-We’-a, distante un’ora circa da Gunung Sitoli, in direzione sud. Le figlie di Ina Warni, come anticipavo, sono cinque, ma due di queste sono state date in affidamento alle suore Alma e portate a Malang. Le cinque figlie di Ina Warni, infatti, sono tutte affette da sordità e alcune da mutismo. Malang si trova sull’isola di Java e in questa citta’ e’ presente il quartier generale della congregazione indonesiana delle suore Alma, che gestiscono il progetto CBR a Nias. Le due figlie di Ina Warni ora  frequentano la scuola di Malang che sviluppa un programma per l’inclusione dei bambini affetti da disabilità nelle classi delle scuole statali e vivranno a Malang fino alla fine degli studi. Ina Warni, con la sua famiglia, entra a far parte della rete di beneficiari del CBR grazie alla segnalazione fatta a un membro dello staff CBR  nel 2015, dopo due incontri avvenuti a casa sua. Incomincia a beneficiare di alcune delle forme di sostegno previste dal progetto:  costruzione di un servizio igienico, distribuzione di sementi per l’orto e  sostegno scolastico per due delle sue figlie.

Affiancando alcuni membri dello staff del CBR, come Casca Bianca, mi trovo spesso ad ascoltare le storie delle famiglie beneficiarie di questo progetto. In uno dei nostri incontri chiedo a Ina Warni di raccontarmi di lei, dall’inizio. Mi dice che sa tutto riguardo alla sua vita da circa i suoi due anni, sulla base di ciò che le ha raccontato sua mamma. La prima cosa che mi dice e’ che non sa niente di suo padre. La madre ha cresciuto da sola sei figli e Ina Warni e’ la più piccola dei sei, (due maschi e quattro femmine). Mi dice che sua madre muore quando la prima figlia, Warni, compie cinque mesi. Confronto ciò che Ina Warni mi racconta di sua madre e di se stessa e si evince che vi e’ un parallelismo tra le loro storie. Entrambe sono rimaste vedove, entrambe contadine, entrambe crescono come madri sole i loro figli. La mamma di ina Warni lavorava i campi e si occupava allo stesso tempo dei bambini, solo 2 dei quali hanno potuto andare a scuola. La mamma non aveva terra in suo possesso, lavorava a pagamento la terra per poter avere da mangiare. Così  Ina Warni lavora in una risaia per poter assicurarsi il riso, ma deve pagare il proprietario della risaia per poterla lavorare, un contributo per poter beneficiare del raccolto. Lavora ogni giorno in quella risaia, salvo i giorni in cui lavora come lavoratrice harian, ovvero giornaliera, per poter guadagnare il denaro necessario per pagare il proprietario della risaia. Mi racconta che  il lavoro come harian le fa guadagnare un compenso giornaliero di 50.000 Rupie (poco più di 3 euro) e un pasto. E’ un lavoro che la impegna dalle sei e mezzo del mattino alle cinque e mezzo di sera, per un massimo di due giorni di lavoro alla settimana. Ci tiene a sottolineare che non lavora spesso come lavoratrice harian.

Ina Warni, quando il marito era ancora vivo, lavorava a casa, si occupava delle figlie e dei maiali. Il marito lavorava ogni giorno per raccogliere la gomma, avevano infatti un pezzo di terra che produceva alberi da gomma. Ina Warni mi dice che il pezzo di terra e’ distante e ora non appartiene più a loro, l’ha venduto perché alla morte del marito non aveva altra scelta.  Prima di sposarsi lavorava come contadina, ha frequentato la scuola fino al secondo anno di scuole elementari, perché la scuola era troppo distante da casa e fare la strada a piedi la stancava molto, pertanto sin da piccola ha iniziato a lavorare aiutando la mamma nelle risaie. Ina Warni si sposa poi a ventisette anni con un uomo di  Gunung Sitoli Barat conosciuto a We’a-We’a, dove i genitori di lui vivevano. Sappiamo che a Gunung sitoli e’ inusuale sposarsi a ventisette anni, e’ considerato un matrimonio tardivo, soprattutto se si lavora nelle piantagioni e soprattutto se si tratta di un matrimonio avvenuto a fine anni novanta, infatti  mi confessa

“Non mi volevo sposare, volevo rimanere libera. Quando poi  i miei genitori mi hanno chiesto cosa ne sarebbe stato della mia vita da adulta, se non mi fossi sposata, ho risposto che prima dovevo essere soddisfatta e poi mi sarei sposata” (Ina Warni, Gido, Settembre 2019)

La prima figlia nasce nel mese di marzo del 2003, appunto Warni, così  la madre inizia a portare il suo nome. Le faccio una domanda diretta, personale, tra le tante. Le chiedo cosa ha pensato quando ha capito cosa avevano le sue figlie. Mi risponde che in quei momenti non capiva, che non lo sapeva, che circa al compiere dei due anni delle bambine iniziava a capire che c’era qualcosa che non andava, perché le parole delle bambine non erano “chiare”, non parlavano correttamente.

“Warni non capiva, era distante, ma con il passare del tempo, una volta entrata a scuola, la comunicazione, anche se sempre non in modo chiaro, e’  migliorata. Un pochino sembra che senta. Cosa dire di quell momento in cui ho capito, che cosa provare. Poi e’ nata quest’altra figlia, Eltin. Lei anche. Come era possibile, mi chiedevo e non capivo. L’unica cosa che posso chiedere al Signore e’ che possano farcela queste bambine. Perché se le bambine sono così e’ perché il Signore le ha mandate così. Chissà cosa accadrà in futuro, ci penserà Dio. Però queste bambine, dentro al mio cuore cerco  e mi pongo la domanda, chi ha fatto queste bambine? Dio le ha fatte così, se le avessi create io le avrei fatte belle. Ma dato che sono dati dal Signore, i bambini, io non posso far altro che accettare, cosa posso fare: Karena dia memberikan, Dia juga yang buka jalan, poiche’ Lui e’ colui che ha dato, Lui e’ colui che crea/apre la strada” (Ina Warni, Gido, Settembre 2019)

Il velato  timore di Ina Warni e’ fondato. Una determinata caratteristica umana, di un individuo, come la sordità (come tanti altri fenomeni denominati con il termine di disabilità) viene ritenuta tale a seconda della società in cui si manifesta. Con ciò intendo dire  che sono le condizioni in cui viene messo un individuo con determinate  caratteristiche a renderlo inabile o parzialmente incapace di autosostenersi. Questa idea della disabilità come socialmente costruita e’ stata ripresa da Luh Putu Kim Biesterfeld[2][3], in una ricerca recentemente da lei effettuata relativa alle condizione di genere sull’isola di Nias e in collaborazione con la Caritas diocesana di Sibolga.  Seguendo Biestefeld, nel caso di Ina Warni, si riconosce una doppia fragilità, l’essere donna e l’essere considerata disabile.

La storia di Ina Warni, qui raccontata, non è però affatto una storia di fragilità, tutt’altro. E’ una storia di lavoro, di lotta quotidiana per se stessa e per le sue figlie, che di lei seguono l’esempio. Due delle sue figlie, sebbene lontane, frequentano una scuola. La più grande, con il limite di una parziale sordità e mutismo, e’ stata ammessa alle scuole superiori. Per le altre due, invece, la sfida e’ ancora aperta. Ina Warni ci propone le sue domande, le sue risposte e una richiesta di un coinvolgimento nella sua vita, di una partecipazione alla sua oggettiva difficoltà.

[1] Ina Warni significa Madre di Warni, infatti, a Nias, nel momento in cui una donna diventa madre assume il nome del primo figlio o figlia e così vale anche per il padre, Ama, in questo caso sarebbe Ama Warni, il padre di Warni.

[2] Luh Putu Kim Biesterfeld, Gender analysis in North Sumatra: Nias Island, Caritas Keuskupan Sibolga 2016

[3] Luh Putu Kim Biesterfeld conduce una ricerca di campo a Nias in collaborazione con CKS tra maggio e luglio 2016. Questa ricerca consiste in un’analisi di genere, focalizzata sulla condizione della donna a Nias.  L’obbiettivo della ricerca era esaminare le relazioni di potere che si creano all’interno della questione di genere in tre reggenze a Nias. Uno degli obiettivi principali di questa ricerca, condensata in  questo prezioso documento, era quello di esporre le cause profonde della disuguaglianza di genere e sostenere l’emancipazione femminile per massimizzare il programma di sostegno alle donne.

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