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Colombia Corpi Civili di Pace

Con l’amaro in bocca

Resoconto di una visita alle piantagioni di caffè del Suroeste Antioqueño

Scritto da Riccardo Toso, Corpo Civile di Pace con Prodocs – Focsiv a Medellin

Sto svolgendo il mio servizio come corpo civile di pace a Medellin, seconda più grande città della Colombia e capitale del dipartimento di Antioquia. Qui collaboro con una ONG, la Fundacion Salva Terra, che si occupa principalmente di sviluppo agricolo, mantenendo però un forte focus sociale. Salva Terra è molto conosciuta a Medellin per l’enorme impatto che ha avuto in varie comunità della zona. Negli anni ha sviluppato e implementato una moltitudine di progetti (orti comunitari, orti familiari, centri di ricerca sperimentale, centri di formazione rurale, laboratori di sicurezza alimentare e salvaguardia dell’ambiente) nel dipartimento di Antioquia e sta ora cercando di espandersi anche verso altri dipartimenti del Paese. Obiettivo principale della fondazione è produrre cambiamento sociale. Questo cambiamento è però da intendersi in maniera molto creativa. Per David Villegas, direttore della fondazione, cambiamento significa creare beneficio nella società, non solo a livello di miglioramento di reddito per persone svantaggiate, ma anche di qualità della vita, promuovendo una migliore alimentazione, il rinvigorimento del senso di comunità e l’insegnamento a vivere in modo sostenibile e nel pieno rispetto della natura.

Sia a livello locale, sia internazionale, è stato riconosciuto a Salva Terra un grandissimo ruolo, ma con esso anche enormi responsabilità. Nel 2016 la Fondazione è stata classificata dalle Nazione Unite come una delle poche associazioni della società civile responsabili e garanti del mantenimento degli accordi di pace del 2016, firmati alla Havana (Cuba) tra il governo colombiano e l’ormai ex gruppo guerrigliero FARC-EP e che hanno messo fine ad una guerra civile che durava ormai da più di cinquant’anni. Alcuni dei progetti di Salva Terra prevedono infatti il reinserimento nella società degli ex-combattenti del conflitto attraverso la loro collaborazione, intesa come prestazione di lavoro manuale, nelle ex coltivazioni di cocaina, ora riconvertite in orti comunitari. Questi orti, che rappresentano un rilancio di un progetto già avviato nelle Comunas 1 e 8 di Medellin, puntano non solo a generare reddito attraverso la produzione di frutta e verdura, di cui i produttori possono decidere se disporre per autoconsumo o vendita, ma ha anche molte altre implicazioni. Salva Terra offre aiuto tecnico per creare produzioni di tipo organico e sostenibile, promuovendo così una cultura alimentare sana e nel pieno rispetto della natura. Aldilà di questo, la collaborazione tra ex combattenti e vittime del conflitto, che si ritrovano a lavorare insieme nel campo, definisce processi di riconciliazione del tutto nuovi, in quanto generati attraverso l’uso comune della terra.
Due mesi all’interno della fondazione mi hanno permesso di comprendere, piano piano, tutti questi processi. È stata però quest’ultima settimana che finalmente mi ha fatto sentire “contestualizzato”. Non che prima di questi giorni non sapevo dove fossi, anzi, ma a volte per prendere coscienza di dove si è e cosa si sta facendo ci vuole del tempo. Questo processo di consapevolezza è personale e interiore, ma sono i fattori esterni che ne definiscono il ritmo: esperienze, situazioni, luoghi, persone, storie. La mia settimana è stata formata da tutti questi ingredienti che insieme hanno generato la giusta ricetta per capire un po’ meglio ciò che mi circonda, ma anche quello che attraverso questa esperienza sto cercando.

Restando nella città di Medellin è a volte difficile rendersi conto della tragica storia che ha vissuto la Colombia. Medellin ha avuto un rapido ed enorme rinnovamento sociale e urbano che complica il compito di capire da dove è partita per arrivare a questi risultati e, soprattutto, di intendere la reale portata del cambiamento che ha vissuto. A volte bisogna spostarsi poco più in là per riprendere il contatto con la realtà. Si tratta di un spostamento che può essere fisico, ma anche e più semplicemente mentale.

La mia settimana comincia proprio a Medellin, all’Università EAFIT. Qui viene organizzata una conferenza, all’interno del ciclo “Reincorporazioni che trasformano vite” sul ruolo del settore impresario e delle università nella costruzione della pace in Colombia, organizzato in contemporanea con la celebrazione del giorno internazionale della pace. Io e Melisa, la mia compagna di progetto, partecipiamo come spettatori, ma la fondazione per cui stiamo prestando servizio – Salva Terra – è ospite d’onore e David Villegas, il suo presidente, viene chiamato a intervenire. Questa conferenza è stata la prima spinta alla mia contestualizzazione. Per la prima volta mi sono sentito dentro alla storia della Colombia. Per la prima volta mi sono trovato di fronte a tutti gli attori di quel conflitto di cui ho tanto sentito parlare. Vittime, militari, ex-combattenti: erano tutti lì a raccontare uno dei tanti, seppur piccoli, tentativi riusciti di riconciliazione.

La conferenza è divisa in due parti: nella prima viene raccontata, con i suoi protagonisti, la “famiglia Llano grande”, un esempio di successo di riconciliazione e reintegrazione sociale degli ex-combattenti. Nella seconda, invece, rappresentanti di varie aziende e fondazioni, tra cui l’Agenzia governativa di Reincorporazione e Normalizzazione (ARN), Salva Terra, ProAntioquia, Exito, e l’alleanza EPM-UNDP (Imprese Pubbliche di Medellin e il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite), hanno discusso il ruolo delle imprese nei processi di reincorporazione. Da sottolineare anche la presenza, tramite il portavoce Carlos Ruiz Massieu, della missione di verificazione degli accordi di pace in Colombia della ONU. Ma andiamo per ordine. Negli ultimi 32 mesi la vita dei membri della comunità di Llano Grande è stata trasformata. Da quando questo territorio, situato a 45 minuti dal centro del comune di Dabeida (Antioquia), è stato classificato come uno “spazio di addestramento e reincorporazione territoriale”, si è convertito in un esempio di riconciliazione, sviluppo comunitario e costruzione della pace. Un totale di 30 famiglie hanno abitato questa zona durante il conflitto armato ma oggi, a seguito dei processi di smistamento e reintegrazione degli ex combattenti implementati secondo gli accordi di pace del 2016, ce ne sono più di 200. Si tratta di un progetto di reincorporazione sociale che ha visto l’attuazione di varie iniziative: la costruzione di nuove abitazioni, il restauro di quelle vecchie, l’ampliamento della scuola e vari progetti produttivi come un’impresa di arepas chiamata “La Esperanza” o la cooperativa contadina “Agroprogreso Llano Grande”. Iniziative che hanno preso forma grazie alla collaborazione di persone che solo pochi anni fa si facevano la guerra a vicenda. « […]per molto tempo, l’unica presenza statale a Llano Grande eravamo noi, i professori. La scuola è stata vista come quel luogo di rifugio durante gli scontri armati. Non c’erano strade e le persone non coltivavano perché sapevano che da un momento all’altro avrebbero dovuto lasciare la loro casa a causa dello sfollamento forzato. Per quasi tre anni ci è stato affidato il compito di scommettere sulla pace e da allora i risultati sono arrivati: ci sono più opportunità, le persone sono tornate a casa e siamo stati in grado di iniziare a sognare», racconta emozionata Mariela López, insegnante dell’Istituto Educativo Madre Laura. È accompagnata da Luis Arturo Garcés Borjas, presidente dell’Area di stabilizzazione rurale; María Soleni Higuita, ex combattente e presidentessa della Cooperativa Agroprogreso Llano Grande e alcuni militari. Tutti testimoni di come questo processo abbia trasformato non solo la vita quotidiana delle persone, ma anche i loro progetti di lavoro e di vita.

Appare chiaro dagli interventi dei vari ospiti che il mantenimento dell’impegno di tutte le parti, la priorità dell’approccio di genere nell’attuazione degli accordi di pace e l’importanza di aspetti quali la scuola e l’educazione, il posto di lavoro e la vita familiare, devono rimanere negli anni a venire le sfide e le priorità non solo di questa comunità, ma dell’intero Paese.

Nel secondo Panel Pablo Montoya, rappresentate del Grupo Éxito, sottolinea come il processo di reincorporazione è già una realtà nella strategia di sostenibilità della sua organizzazione. Rimarca, inoltre, quanto una maggiore formazione e rafforzamento delle capacità delle comunità, come avvenuto a Lllano Grande, sia fondamentale affinché i progetti produttivi comunitari possano rispondere alle esigenze del mercato e a garantire elevati standard di qualità. Opinione condivisa anche da Pastore Alape, membro della direzione nazionale del partito nato dallo scioglimento delle FARC, secondo cui la più grande impresa deve essere la formazione delle persone per un efficace reinserimento nella vita civile, democratica, lavorativa ed economica del Paese. Dell’idea che ciò che bisogna costruire oggi siano più opportunità, soprattutto lavorative, è anche David Villegas. Allo stesso modo, Natalia Salazar Espinosa, direttrice dell’Agenzia governativa per la Reincorporazione e la normalizzazione, sottolinea il suo orgoglio nel vedere che per le aziende l’impegno per la pace non è più una questione di riduzione fiscale (il governo ha infatti offerto detrazioni fiscali a tutte quelle aziende che decidono di assumere ex-combattenti), ma una convinzione solida per la costruzione del Paese, indipendentemente da posizioni politiche e ideologie.
Finita la conferenza e dopo questo tsunami di informazioni e racconti David ci invita a partecipare ad AgroFuturo 2019, quello che può essere definito un Expo dell’Agricoltura. Con nostra grande sorpresa l’Italia è il Paese ospite di quest’anno e gestisce il più grande padiglione della fiera all’interno della quale sono presenti rappresentanti di varie imprese agricole da tutto il mondo.

Mentre io e Melisa cerchiamo di orientarci tra i vari stand e le futuristiche macchine agricole esposte iniziano una serie di fortuiti incontri. Prima con l’ambasciatore italiano a Bogotà, poi con i direttori dell’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo (AICS) –Ufficio di Bogotà e dell’Italian Trade Agency (ITA) in Colombia, fino ad arrivare addirittura al Ministro dell’agricoltura colombiano e allo stesso Presidente del Paese Ivan Duque. Se con i primi l’incontro si è limitato ad una stretta di mano e con gli ultimi a uno sguardo intrufolato goffamente tra le varie telecamere, più proficuo è stato il confronto con un altro italiano, Stefano Cavalieri, consulente dell’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana (IILA) e attualmente collaboratore della Fondazione Aurelio LLano Posada, un’altra ONG di Medellin che si occupa di sviluppo rurale.

Dopo aver raccontato chi siamo e cosa stiamo facendo in Colombia e con Salva Terra, Stefano ci invita ad andare con lui a Tamesis per visitare un progetto di sviluppo rurale che sta prendendo forma non solo in quel comune, ma in tutta la provincia di Cartama (un’organizzazione territoriale di cui fanno parte 11 comuni del Sud-Est di Antioquia: Caramanta, Valparaíso, La Pintada, Santa Bárbara, Montebello, Fredonia, Venecia, Tarso, Pueblorrico, Jericó e Támesis).
Il progetto, chiamato “Biosuroeste” e impulsato da una donazione di 1 milione e mezzo di euro da parte di IILA, ci viene descritto come un tentativo di creare una piattaforma di convergenza pubblico-privata per promuovere iniziative volte allo sviluppo sostenibile del territorio. Il progetto, che ha come scopo principale la valorizzazione del territorio e la creazione di nuove opportunità per la generazione di reddito, ha 4 direttrici principali: la commercializzazione di caffè speciale, la commercializzazione di agrumi, il turismo sostenibile e l’educazione tecnica. Hanno partecipato all’investimento, oltre a IILA, anche la Fondazione Hernandez, Confama, la Fondazione Aurelio LLano Posada, ProAntioquia, la Fondazione Argus e Fraternidad Medellin. Salva Terra non è ancora dentro il progetto, ma il nostro compito è stato proprio quello di capire dove e come potrebbe entrare a farne parte. L’idea di fondo del progetto sarebbe quella di incentivare la commercializzazione di produzioni di qualità (in particolare agrumi e caffè), sia nel mercato interno, sia in quello internazionale, cercando di garantire ai contadini un prezzo di vendita equo. Si vorrebbe inoltre dare un valore di mercato aggiunto sottolineando la storia che sta dietro alle produzioni, quindi tutto il contesto relativo al riscatto sociale che i produttori stanno sperimentando dopo intensi anni di conflitto. La zona in questione, infatti, è stata il centro di molti scontri tra guerriglieri, militari governativi e paramilitari, che molte volte hanno costretto i contadini ad abbandonare le loro terre e le loro produzioni nonché, di conseguenza, i loro unici mezzi di sostentamento. Solo recentemente i contadini sono tornati a riabitare le loro proprietà e a riprendere le unità produttive abbandonate, anche grazie alle riconcessioni terriere e agli aiuti finanziari offerti dal governo dopo gli accordi di pace firmati all’Havana nel 2016.

Per quanto riguarda il turismo, come confermato da una lunga chiacchierata con Carlos Andres Lopez Jimenez – segretario della pianificazione e dello sviluppo rurale del comune di Tamesis – si tratterebbe invece di valorizzare ciò che già attira turisti: escursionismo, grotte naturali, cascate, visite alle produzioni di caffè, focalizzandosi in particolare sulla sostenibilità che un tale tipo di turismo può raggiungere.Importante pilastro del progetto è anche il settore educativo che verrebbe rafforzato attraverso l’istituzione di una nuova università di agraria con diverse specializzazioni in linea con le potenzialità del territorio (caffè, agrumi, turismo sostenibile). Si sta valutando la possibilità di creare una sede distaccata di Agripolis (la facoltà di agraria dell’Università di Padova) in un’area che è stata donata dalla Fondazione Hernandez e che si trova tra i comuni di Valparaiso e Tamesis. Il progetto è ancora nella sua fase iniziale, ma a quanto detto da Stefano la cooperazione italiana, attraverso l’IILA e ad alleanze strategiche con organizzazioni del territorio, è pronta a stanziare nuovi fondi per renderlo sempre più concreto.

Durante la nostra visita abbiamo avuto anche il piacere di conoscere una famiglia di produttori di caffè nel comune di Montebello. Si tratta di un’impresa a gestione familiare chiamata “Cafè Sabanitas”. Ascoltare come le piante di caffè vengono curate e trattate e vedere come da un piccolo arbusto si arriva ad una squisita tazza di caffè è stato molto interessante. La mia attenzione si è però focalizzata su quello che sta dietro a queste produzioni, sulla storia di una famiglia che ha sofferto le conseguenze più dirette del conflitto: l’abbandono forzato delle proprie terre, la ricerca di una nuova abitazione, la necessità di reinventarsi per sopravvivere e infine il tanto atteso ritorno a casa. Gustavo ci racconta tutto questo con un sorriso, ma con voce tremolante. Suo padre, un uomo taciturno, è seduto al suo fianco ma non interviene. La madre non è presente fisicamente, ma come sottolinea il figlio è lei il motore di tutto. È lei che ha insistito, poco più di un lustro fa, a ritornare alla terra che avevano abbandonato per riprendere, anzi per ricominciare da zero, quello che la sua famiglia ha sempre saputo fare al meglio: produrre caffè di qualità.

Ci spostiamo poi a Tamesis dove, prima di conoscere Andres Lopez Jimenes, veniamo accompagnati a visitare l’Organizzazione Multisettoriale dei Contadini Imprenditori (OMCE), una sorta di organizzazione di produttori di caffè nata grazie al supporto della Fondazione Aurelio LLano e di Fraternidad Medellin.L’OMCE si occupa principalmente di generazione di reddito per i contadini, sicurezza alimentaria, salute, educazione e protezione dell’ambiente, con un forte focus sul rafforzamento del lavoro comunitario rurale. Ancora una volta assistiamo alle varie fasi di lavorazione del caffè: dalla pulizia del singolo chicco all’impacchettamento del setacciato. I rappresentanti di OMCE ci mostrano un video con i progressi fatti e gli obbiettivi raggiunti nel corso degli anni. Insistono sul carattere comunitario dell’organizzazione, sulla necessità di creare uno spazio aggregativo per condividere buone pratiche produttive ma anche, e più semplicemente, momenti di vita quotidiana per rafforzare il senso di comunità. L’idea è quella di dimostrare ai giovani della zona che il territorio offre opportunità di lavoro e di stabilità per crearsi un proprio futuro senza il bisogno di trasferirsi in città. Se infatti l’abbandono delle terre era prima dovuto al conflitto, oggi le maggiori opportunità che la città offre rispetto alla vita di campagna sembrano il principale motivo dello spopolamento dei comuni della provincia di Cartama.

La presentazione viene interrotta da un incontro imprevisto e curioso. Ci imbattiamo in alcuni italiani, rappresentanti di varie imprese commerciali di caffè. Come da loro descritto, queste imprese comprano il caffè nei luoghi dove viene prodotto, si occupano della sua esportazione, lo processano come piace a noi (torrefazione per caffè espresso) e lo fanno arrivare ai supermercati, ai bar, ai ristoranti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. L’incontro è stato piuttosto insolito e mi ha condotto ad una riflessione che ora qui cercherò di sintetizzare, non potendo però fare a meno di esprimere alcuni giudizi personali. Questi italiani, chi più chi meno, corrispondevano ad un prototipo, quello dell’imprenditore abbagliato dal puro profitto e disinteressato a tutto il resto, alle dinamiche sociali, all’educazione, alle persone e alle loro storie. Una volta assaggiate le diverse qualità di caffè prodotte, non smettendo mai di fare battute sulle scarse condizioni di vita dei produttori, questi individui – a cui non riesco a trovare un titolo più adeguato – hanno iniziato ad appigliarsi a qualsiasi cosa per farsi diminuire il prezzo di acquisto del caffè. Parliamo di discussioni per abbassare il prezzo di pochi pesos al chilo. Parliamo di centesimi, che nel mercato internazionale del caffè e per questi individui non sono nulla, ma per i produttori sono molto. Da sottolineare, inoltre, che questi contadini producono solo caffè, che è quindi il loro unico mezzo di sussistenza. Le loro produzioni sono piccole, ma necessitano sempre liquidità per gli alti costi di mantenimento. I compratori questo lo sanno e lo usano a loro vantaggio.

Assistiamo all’assaggio dei vari tipi di caffè, a giudizi, commenti e ad alcune conversazioni, ma ce ne andiamo prima di capire come proseguirà la negoziazione. Senza bisogno di essere troppo creativi e ricordando che le mie sono semplici supposizioni, immagino che il caffè verrà comprato a prezzi stracciati. Se si pensa alle infinite ore di lavoro che ci sono volute per piantarlo, curarlo, raccoglierlo, processarlo e impacchettarlo, come ci è stato raccontato in questi giorni, mi vengono i brividi. Ancora più raccapricciante (e sempre andando per immaginazione) è il fatto che quello stesso caffè sarà rivenduto a prezzi esorbitanti e a guadagnarci non sarà né il produttore, a cui il caffè viene pagato poco, né il consumatore, che compra il caffè ad un prezzo 100 volte superiore a quello per cui è stato realmente pagato al produttore.

Il paradosso è però un altro. Quello stesso caffè, prodotto in Colombia e veduto a X euro al chilo dal produttore, riapparirà in Colombia poco dopo, al supermercato, ad un prezzo almeno 10 volte superiore. Un colombiano non produttore di caffè e che non conosce caffecultori a cui può comprarlo in maniera diretta e al prezzo di produzione rinuncerà allora a comprare un prodotto fatto nella sua terra per il costo troppo alto che questo tiene, soprattutto se messo in relazione al suo salario medio. Se questo stesso colombiano vorrà caffè sarà quindi costretto a comprare un caffè di scarsa qualità prodotto da un’altra parte (spesso in Vietnam), perché con un prezzo molto più basso. La morale delle favola è la seguente: la maggior parte dei colombiani, nonostante la Colombia sia uno dei maggiori produttori mondiali di caffè di qualità, quasi mai berrà un caffè di origine colombiane, perché il mercato lo ha trasformato in un prodotto di lusso che il colombiano medio non può permettersi. Il problema sta nelle faglie dell’attuale vorticoso sistema (capitalista) del commercio internazionale che attanaglia questi contadini nella povertà impedendogli di essere proprietari e di usufruire delle risorse che gli spetterebbero di diritto.

Ed e proprio per questa ragione che progetti come Biosuroeste sono fondamentali per restituire la dignità, ma soprattutto il giusto compenso economico, ai produttori di caffè della zona e non solo. È inoltre lo stesso spirito che muove l’iniziativa di Salva Terra volta alla creazione di una “comercializadora social” per garantire ai contadini delle aree rurali della provincia di Medellin un equo guadagno dalla vendita dei propri prodotti agricoli. L’idea di base è appunto eliminare tutte quelle spese generate dalla presenza di una moltitudine di intermediari che nel passaggio dal produttore al consumatore portano all’aumento del prezzo del prodotto, disperdendo i profitti a svantaggio dei poli di questa catena.

La visita alla provincia di Cartama si conclude, mentre la mia riflessione su ciò che ho visto e sentito è appena iniziata. Me ne vado colmo di sensazioni contrastanti, di storie, di sguardi, ma con mille nuovi interrogativi aperti. Me ne vado con l’amaro in bocca e non è per tutti i caffè che ho bevuto.

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