Caschi Bianchi Perù

Pensieri “sconclusionati” da questa parte di mondo

“Il Perù è un paese meraviglioso” che allo stesso tempo sa farti sentire a casa e lontano da casa; che ti fa capire che “tutto il mondo è paese” ma che ovunque tu vada ci sarà sempre un “noi” e un “loro”. Che il tuo paese è solo un puntino in questo mondo e che sei fortunato ad essere nato dalla parte “giusta”.

Scritto da Laura Vicini, Casco Bianco in Servizio Civile con Focsiv

Chi mi conosce bene sa quanto poco io ami scrivere. Ciononostante, data la circostanza, credo sia mia responsabilità raccontare un po’ di questo Perù che sto vivendo: perciò ecco a voi i miei pensieri “sconfusionati” da questa parte di mondo.
Il Perù è un Paese meraviglioso. Anzi forse sarebbe meglio dire che sono Paesi dentro al Paese, Paesi dove oltre allo spagnolo si parlano altre lingue: quechua, asháninka, aimara, dove le tradizioni, i balli, i piatti tipici, i vestiti, il clima, la vegetazione, cambiano dalla sierra, alla costa, alla selva.
Un Paese dove l’antico si incontra con il moderno. Dove puoi vedere donne vestite in abiti tradizionali portare i figli sulle spalle dentro la tipica tela multicolore, fianco a fianco a uomini in giacca e cravatta. È un paese che va a velocità diverse, e per capirlo basta spostarsi solo di qualche km, nelle periferie o zone rurali, per accorgersi che lì certi agi non sono ancora arrivati.



Qui il concetto di distanza cambia e ti rendi conto che “spararsi” 8 h per la ida e altre 8 per la vuelta in bus per un week end si puó fare. E sorridi pensando all’idea che tutto è relativo e che quando vivevi in Belgio tutto ciò che era a più di 1 h di treno era considerato “distante”.
Sorridi quando il taxista ti domanda “Que tal el Perù?” e inizia a parlarti di comida (cibo), dicendoti cosa dovresti provare assolutamente. E pensi all’Italia dove faremmo e diremmo esattamente lo stesso, e ti senti a casa. Ma capisci di essere lontano da casa quando dici di essere italiano e ti chiedono “è in Europa vero?”. E rispondi di sì con un cenno della testa, riflettendo sul fatto che il tuo Paese è un puntino in questo mondo ed è “solo in Europa”.
Sei lontano quando ordini un espresso e il cameriere torna da te trafelato, chiedendoti se l’espresso è il caffè in tazza piccola; o quando le tue colleghe ridono, perché la tazza è proprio piccola, e rimangono di stucco quando dici loro che in Italia è normale prenderlo così.
Capisci che la frase “tutto il mondo è paese” è vera e che ci sarà sempre lo straniero di qualcun altro. Da noi se vieni dal mare, qui se sei venezuelano. Anche qui si dice che “Loro”, gli stranieri, rubano. Rubano il lavoro o rubano in generale. E questo mi ferisce, perché pensavo che qui fosse diverso. Pensavo che fosse diverso per il fatto di essere America latina, per il fatto di parlare la stessa lingua e sentirsi per questo più vicini, più fratelli. Pensavo che fosse diverso per un Paese che fino a 20 anni fa è stato emigrante e è emigrato anche in Venezuela. Ma ero ingenua. In fondo noi italiani, che da sempre emigriamo, non facciamo lo stesso?
Capisci di aver vinto alla “roulette della vita” quando parlando con i tuoi coetanei, ti accorgi che la maggior parte di loro non è mai uscita dal Perù e quasi sempre non per scelta. O quando, parlando con una ragazza venezuelana che non ha potuto finire l’università, tu ingenuamente le domandi il perché. E lei ti risponde che se n’è dovuta andare per forza e che qui non le vengono riconosciuti i suoi studi. Allora ti senti privilegiata, perché tu nella vita hai sempre bene o male potuto scegliere chi essere, cosa diventare, dove viaggiare e lavorare senza doverti preoccupare di una Visa e con la certezza di poter tornare a casa in qualunque momento.
Ti accorgi di essere l’unica a camminare veloce per strada, mentre intorno a te il mondo si muove lentamente, senza fretta. E capisci che il tuo voler tenere tutto bajo control (sotto controllo) qui non può funzionare, perché quasi tutto si fa all’ultimo e c’è sempre un imprevisto dietro l’angolo. Mi è stato detto che il Perù è un paese che va “a pressione”, un Paese dove devi spingere per ottenere le cose, dove devi chiedere 1, 2, 3…10 volte prima di avere una risposta. Una cosa che va contro il mio carattere e che mi fa fare una fatica atroce, facendomi domandare alcune volte chi me lo faccia fare.
Il Perù è un Paese “violentato” dal punto di vista dei diritti e dell’ambiente e spesso le due cose sono collegate. Nel territorio andino una miniera si sussegue all’altra e lo sfruttamento viene per lo più operato da aziende straniere che pagano una cifra irrisoria allo stato peruviano in cambio dei minerali. La selva è sfruttata da aziende petrolifere, anch’esse multinazionali straniere.
Mi piacerebbe potervi raccontare le storie che ho ascoltato e mi piacerebbe potervele riportare con la stessa intensità con cui le ho sentite, ma non so se ne sono capace…

Immagina una donna. Potrebbe essere tua madre, se solo avessi qualche anno in più. E immagina la figlia al suo fianco – siedono entrambe su un divano rosso in una stanza con il pavimento di legno grezzo, una stanza povera adibita a ufficio. La donna anziana piange raccontando come abbia dovuto lasciare la sua casa nell’Antigua Morococha, perché il marito stava male e aveva bisogno di cure. Quando sono tornati, tempo dopo, hanno trovato la casa occupata da un’altra famiglia. E ora immagina che questa stessa cittadina, l’Antigua Morococha, sia stata tutta delocalizzata, perché una miniera di rame a taglio aperto di proprietà cinese doveva espandersi e per legge peruviana le abitazioni devono trovarsi ad una distanza superiore ai 500 mt. dalla miniera stessa. Allora immagina che questa donna, con questa figlia, non abbia avuto nessun diritto ad una nuova proprietà nella nuova città, proprio perché le era stata occupata la casa. Ora è costretta a vivere in una catapecchia al lato della miniera, che trema tutte le volte che esplode una mina nel taglio aperto.
Immagina ora 50 famiglie che ancora vivono nell’Antigua Morococha con la quasi totale assenza di servizi. Immagina padri e madri senza lavoro, perché la miniera non li assume visto che hanno rifiutato di spostarsi nella nuova città. Ah dimenticavo, la nuova città è stata costruita su un territorio definito inabitabile da studi tecnici precedenti la delocalizzazione, in quanto luogo soggetto a liquefazione del suolo e inondazioni. Ma in fondo a chi importa?

E così ascoltando queste storie, ti senti piccolo e impotente e con una grande rabbia dentro, perché quello che è successo qui, sarebbe potuto succedere anche a te, se solo fossi nato da questa parte di mondo…
E così, come ha detto Gianni all’inizio di questo Servizio Civile, “l’importante è rimanere nella domanda”: quale tipo di mondo vuoi costruire, chi vuoi essere.

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