Bolivia Caschi Bianchi

Di elettronica, Elvis e resilienza

R. vive a La Paz da quando è nato, prima e dopo un grave incidente che l’ha lasciato sulla sedia a rotelle. Una storia di volontà e di rinascita, un incontro che vissuto e raccontato crea seme di cambiamento, ce lo fa arrivare Gugliemo, che incontra R. due domeniche al mese.

Scritto da Guglielmo Rapino, Casco Bianco con Apg23 a La Paz

“Si quieres, puedes. No importa lo que pasa, lo que importa es lo que quieres”. R. mi guarda dal basso con gli occhi leggeri di chi sussurra una ovvietà. Le rughe della fronte si schiudono in piccole onde. La voce limpida lascia un alone fragrante nell’aria. Volge qualche istante lo sguardo attorno, assaporando il sole fresco e torbido del primo pomeriggio. Poi tamburella piano le palpebre, come fanno i bambini la mattina di Natale, e torna a fissarmi, questa volta con un sorriso largo che nasconde le labbra fini. “Esto he entendido, lo importante es querer. El resto no cuenta”.

R. vive a La Paz da quando è nato. Ne conosce ogni angolo, ogni marciapiede, ogni dirupo, ogni salita. Proprio a La Paz ha lavorato con passione e dignità come operaio sin da bambino, fin quando un giorno la carrucola a cui era appeso si rompe e cade dal quarto piano dell’esile impalcatura di legno a cui era appeso. Si salva, ma perde completamente l’utilizzo delle gambe. Dall’ombelico in giù diviene una pietra fredda. Troppo anziano per rassegnarsi all’attesa, troppo giovane per scoprire una nuova vita, decide di rifugiarsi nel nascondiglio buio della propria casa, segregato nella condanna di una sedia a rotelle. Passa così cinque anni. Lontano da tutti, attaccato al mondo da un filo sottile, sottile quanto lo stretto necessario per tenersi in vita.

Un giorno come altri quel filo sottile porta dentro le mura del proprio limbo un giornale su cui è scritto che in un quartiere lontano avrà inizio un corso su come riparare oggetti d’elettronica. Ricorda che prima che divenisse statua appassita quella fosse una sua grande passione. Basta il pensiero per riaccendere la scintilla di una vita mai morta. Ci pensa su quanto basta per convincersi che dietro la porta di casa qualcosa ancora merita di essere vissuto. Così, dopo centinaia e centinaia di giorni ammuffiti nella solitudine, esce di casa, verso un quartiere lontano, senza mani diverse dalle sue ad aiutarlo, diretto alla volta di un corso di elettronica.

Il tempo trascorso però ha cambiato le strade, o forse la prospettiva dalla sedia a rotelle fa sembrare tutto diverso. Si perde tra i vicoli ammaccati della città, a fatica sale su autobus privi di passerella scarabocchiando tragitti a zonzo, come un adolescente alla sua prima fuga serale. Alla sera torna a casa avvilito, senza essere riuscito ad arrivare al corso tanto agognato. Guarda fuori dalla finestra, il riflesso ne rimanda indietro le rughe e i capelli bianchi, mentre il traffico indifferente prosegue il suo vociare poco più in là. Stanco, si perde nei pensieri della propria immagine sbiadita quando una certezza inaspettata sopraggiunge alle pupille: non ha perso tempo, ha solo scoperto che può farcela, il mondo fuori non è una fiamma inestinguibile dalla quale scappare ma semplicemente un paesaggio che si è fatto più basso.

Ecco che allora la mattina seguente apre la porta e si butta nel via vai insensato di quella stessa strada, riscoprendone il piacere come un giovane alla sua prima esperienza d’amore. Tutto è nuovo, tutto è diverso, tutto riaffiora in piccole gocce da un angolo polveroso della memoria riprendendo colore. La Paz è una delle città più faticose della terra, fatta di salite e strapiombi, dislivelli e buche, dove i diritti dei disabili sono fili d’erba secca in un prato su cui campeggia il divieto di camminarvi. Le leggi contro le barriere architettoniche abbondano, nella pratica tutto soffia per ingrossare il mare delle difficoltà. Questo non ferma il cuore di R., che ha appena ricominciato a battere al ritmo scostante delle sue braccia vive. Spingendo le ruote scopre che può ancora muoversi liberamente. Quello che è cambiato è solo l’arto: sapeva camminare sui propri piedi, ora conta unicamente sulle mani che non hanno perso la forza e i calli della vita da operaio. Da quel giorno, grazie ad un corso d’elettronica mai cominciato, riprende ad assaporare l’ordinaria libertà di una vita come tante.

Si quieres, puedes”. Così R. termina il racconto dei suoi ultimi anni, con lo sguardo calmo che nasconde lo sforzo di essere salito fin alla chiesa di Tembladerani per partecipare all’incontro del gruppo di amici disabili. È li che ci incontriamo due domeniche al mese. Quel giorno si festeggia il dia del niňo. Dopo avermi soffiato addosso un ultimo sguardo sereno, mi chiede scusa e si nasconde nella folla del salone centrale. Pochi minuti dopo lo ritrovo sulla pista in parquet ballando il r’n’r anni ’50 di Elvis Presley, tentennando le mani a ritmo mentre le ruote disegnano i passi a zig-zag. Negli occhi il brillio sornione di chi è tornato a giocare con la propria libertà.

Lo guardo trasognato per qualche istante. Leggo in quella libertà il prezzo di una scelta che si rinnova ogni giorno, lo stemma di un orizzonte che ogni mattino si allontana invitando a raggiungerlo col suo canto di sirena e la volontà profonda che lo rincorre, credendo nelle proprie mani e plasmandone il cammino. Vi scopro una preghiera di ringraziamento a tutto ciò ch’è vita, nulla escluso. Poi avverto sulla pelle il fremito caldo del cuore che si scioglie al ritmo del r’n’r di Elvis. Come R., non ci penso su e mi butto nei balli scatenati.

Oggi pomeriggio rincontrerò R.. Non so se parleremo ancora di elettronica e di come farcela. Quello che so è che lo guarderò ancora con lo stesso sguardo, ringraziandolo per essere lì, emblema di uno spirito inarrestabile e di una fragilità che ha scelto di farsi opera d’arte. In silenzio lo benedirò per l’insegnamento dell’essere vita oltre il turbinio del giorno, scoglio indifferente alle mareggiate dell’inverno. E poi spero che balleremo ancora insieme, così da imparare una volta di più che “si quieres, puedes”, anche ballare un r’n’r forsennato seduto su un seggiolino di lana. E che nella vita bastano cose piccole per capirne il senso grande.

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