Questo mese appena trascorso è stato per me un reale inizio di un nuovo percorso personale di crescita e messa in discussione. Arrivare in Kenya, la mia prima volta in Africa, mi ha portato all’interno di un contesto umano e naturale differente nel quale la mia curiosità si nutre di ogni singolo stimolo che incontra.
Il progetto del quale faccio parte ha sede a Nanyuki, una città situata alle pendici del Monte Kenya, a 200km a nord di Nairobi e luogo dove passa anche la linea equatoriale. L’associazione si chiama “Tumaini Children’s Home – Casa Tumaini” ed è una casa di accoglienza per bambini e adolescenti orfani HIV positivi di cui 45 sono ospitati nella struttura mentre altri 50, affetti dallo stesso virus, vengono sostenuti a distanza nei villaggi e nelle zone rurali della contea di Laikipia. Il nome “tumaini” in swahili, la lingua parlata in Kenya, significa “speranza” e infatti il senso della casa è appunto quello di dare speranza a questi bambini che nascono già segnati dal virus.
In origine l’idea di iniziare questo percorso un po’ mi spaventava vista la mia poca esperienza con i bambini e avevo il timore di avere difficoltà nel relazionarmi adeguatamente ma da loro, per quanto il tempo assieme sia stato solo una settimana in vista delle loro vacanze, ho imparato tantissimo. Per certi versi ho imparato a disimparare vivendo con loro il presente, grazie ai loro sorrisi stupendi, la loro energia, la loro simpatia, la gioia di vivere e il loro essere creativi nel giocare con gli stimoli più differenti presenti nell’ambiente circostante: macchinine create dai barattoli di detersivi, tappi e penne; chapati, un tipo di pane locale di origine indiana, creati dal fango e offerti insieme a un’ottima tazza di chai, la loro bevanda tipica a base di tea unito al latte e a diverse spezie, servito in un tappo di bottiglia pieno d’acqua; giocare con un copertone di ruota, riempito di acqua e poco sapone giusto per fare schiuma, spingendolo e correndo con due bastoni in ogni tipo di terreno (devo ancora fare molta pratica per farlo anche io con apparente fluidità); gare di corsa con i sacchi oppure cercando di non far cadere una patata sbucciata adagiata su un cucchiaio senza usare le mani qualora cadesse; con un filo ho visto creare un sacco di figure usando solo le mani e la bocca; giocare a calcio nel prato o con qualsiasi oggetto sferico da lanciarsi anche con le mani a qualsiasi distanza; ballare, cantare e fare musica con trasporto e semplicità. Semplicità, questa la parola per definire la bellezza di questo mio primo approccio, una sensazione che mi ha reso parte del tutto nel minor tempo possibile.
Arrivare a Nanyuki mi ha fatto sentire accolta anche da parte del personale locale e da una comunità della quale sono orgogliosa di fare parte e grazie alla quale mi sono cimentata nelle arti più disparate: lavorare la terra iniziando a conoscere le caratteristiche specifiche di ortaggi e frutti differenti; pitturare imparando nozioni sulle diverse tinte, dalle lavabili a quelle ad acqua; guidare a sinistra nonostante il primo giorno sia riuscita in un sorpasso a far fuori proprio il vetro dello specchietto sinistro senza per fortuna ulteriori danni. In questo ringrazio la pazienza di Davide Cadeddu, un volontario ormai da anni presso l’associazione e che con tanta pazienza sta facendo da istruttore di guida, calmo e pacato, a me e Sara Massidda, la mia compagna di “avventura”.
La città sta diventando giorno dopo giorno sempre più leggibile e in questo mi ha aiutato la creazione di una mappa personalizzata. Inoltre, grazie alla lingua Swahili che sto imparando e alle non poche occasioni che ho di parlare con le persone locali tra cui il personale stesso, i bambini, ma anche i lavoratori nei supermercati, i negozianti e a volte anche i passanti, mi sento sempre più immersa in questa diversità e unità relazionale che è e che dovrebbe essere la base dell’essere umano ma di cui spesso, a causa dei troppi stimoli e delle false esigenze primarie di cui è promotore il nostro mondo “occidentale”, ci dimentichiamo affranti per via dei nostri falsi ideali e obiettivi irraggiungibili.
Per me questo è solo l’inizio di un percorso dal quale avrò modo di crescere esplorando le più differenti sfaccettature: dalle più dolorose quali la povertà reale dove ci sono tanti uomini, donne e bambini soli che vivono alla giornata, per strada o in baracche di fortuna, spesso abusando di sostanze stupefacenti per non sentire gli stimoli fisiologici di base quali la fame e la sete, per cui ho avuto modo di conoscere diverse associazioni nel territorio che fanno tanto nel loro piccolo attraverso la tanta passione e determinazione; alla meravigliosità della natura ancora in certe parti protetta e incontaminata nella quale perdersi nei colori e negli animali conosciuti solo attraverso i tanti documentari di cui mi sono nutrita fin da piccola.
Sono grata e felice di quest’esperienza di Servizio Civile Nazionale all’estero, così intensa, così nuova e così arricchente e per cui cercherò di dare giorno dopo giorno il mio contributo, seppur piccolo come una goccia d’acqua nell’Oceano (… Indiano), con energia e positività.
Grazie Tumaini Children’s Home e Grazie Osvic Oristano per questa opportunità.
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