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Bolivia Caschi Bianchi

Il mio pezzo di cuore rubato

A chi oggi mi chiede “Com’è andata?” rispondo “bene”, perché nonostante tutte le difficoltà vissute a Camiri, sento che la Vita mi ha regalato il dono più bello” Marta ci racconta come l’incontro con Pedro, e la sua storia, le abbiano fatto lasciare a Camiri un pezzetto del suo cuore.

Scritto da Marta Bergamin, Casco Bianco Apg23 a Camiri

Il rientro a casa mi ha costretto ad affrontare la classica domanda “Com’è andata?”, tanto temuta e allo stesso tempo tanto usata da amici, parenti e conoscenti, a volte come formula di cortesia da parte di chi non ha tempo né voglia di andare più a fondo. È una domanda temuta, perché non si possono riassumere 10 mesi di servizio civile in un banale “bene” o “male”.

Come rispondere allora?
L’unico modo è guardarsi dentro, scegliere di raccontare ciò che più è rimasto nel cuore, prime fra tutto le persone incontrate e con le quali si è camminato. Se io mi guardo dentro, mi accorgo che c’è stato un qualcuno che ha rubato un pezzo del mio cuore, vi è entrato in tutta tranquillità senza chiedere permesso e ha deciso per chi sa quale motivo di restarci. Quel qualcuno ha un nome e un volto, che per me sono chiari ma per voi forse un po’ meno…per questo voglio raccontarvi qualcosa di lui!

Pedro nasce nel dicembre del 1994 in una famiglia molto povera, in un piccolo paesino nel sud della Bolivia, nella cosiddetta zona del “chaco”. Nei suoi primi anni è un bambino, scusate il termine, normale. Corre, gioca e va a scuola… non sappiamo se fosse un bambino felice, quel che sappiamo è che i genitori, vittime dell’alcolismo, spesso erano violenti con lui.
All’età di 5 anni è coinvolto in un brutto incidente: un auto non lo vede e lo investe. Viene portato all’ospedale, dove i medici indicano ai genitori la necessità di un immediato trasferimento a Santa Cruz, una città molto più grande e sviluppata rispetto a Camiri, ma la famiglia molto povera non può farsi carico del viaggio e tanto meno delle spese mediche. Da quel giorno Pedro rimane su una sedia a rotelle, con un trauma cranico che arresta il suo sviluppo cerebrale. Non solo, lì iniziano anche i suoi attacchi epilettici, che con il tempo diventano sempre più frequenti e debilitanti.
Per diversi anni continua a vivere nella casa in cui è nato, in condizioni di quasi totale abbandono, fino a quando la Comunità Papa Giovanni XXIII viene a conoscenza della sua storia, scegliendo di accoglierlo in una delle Case Famiglia che l’associazione aveva a Yacuiba, una cittadina situata a pochi chilometri di distanza.

Oggi Pedro vive nella Casa Famiglia “Esperanza”, che dal 2013 si trova a Camiri. È il classico ragazzino che appena lo vedi ti fa paura: l’andatura barcollante, i vestiti sporchi, il viso pieno di cicatrici e i denti fragili. Ma vivere con lui ti insegna ad affezionarti, a volergli bene, ad accettare i suoi momenti felici e i suoi momenti arrabbiati. Oggi Pedro cammina con le sue gambe, corre, gioca a calcio e a basket, balla, canta, fischia e ride.
Miracolo, dedizione, fortuna… ciascuno lo chiami come vuole.

Nel tempo in cui sono stata lì, l’ho visto fare grandi passi in avanti: a luglio dello scorso anno faceva la pipì addosso in media 4-5 volte al giorno, verso la fine gli succedeva di rado. Lo vedevo correre per il corridoio nel tentativo di raggiungere il bagno in tempo; lo guardavo, sorridevo, e pensavo che davvero fosse possibile. Pensavo che quel ragazzino avesse delle grandi potenzialità e che potesse imparare molte altre cose. Un giorno lo vidi per la prima volta tenere in mano una matita e disegnare dei piccoli cerchietti su un foglio. Da lì mi nacque la convinzione che potesse iniziare a disegnare, colorare e, chissà, forse anche scrivere. Cominciai a fargli fare dei piccoli esercizi, semplici pallini e cerchietti, affinché gli si ammorbidisse un po’ la mano. La verità è che non avevo idea di quale fosse il limite, forse nessuno di noi l’aveva capito. Non sapevamo fin dove sarebbe riuscito ad arrivare questo ragazzino, ma il bello era continuare a spingersi oltre e stupirsi dei progressi che riusciva a fare.

Nella mia memoria ci sono tanti momenti vissuti con lui, alcuni belli, fatti di gioia, risate, danze… altri più difficili. Vi racconto di quando lo incontravo nel corridoio del centro, mi afferrava le mani e mi diceva “Quiero bailar” – Voglio ballare – o quando felice mi abbracciava e mi diceva “gracias”- grazie. Lo diceva con semplicità ogni volta che lo aiutavo a fare qualcosa, senza rendersi conto che ero io a dover dire grazie a lui, per avermi dato sempre quel qualcosa in più e avermi permesso di amare davvero.

Ma vi racconto anche dei momenti difficili, in cui Pedro mi allontanava, non mi voleva, alcune volte gli era volato pure qualche calcio. Non importava, io avevo scelto di esserci anche in quei momenti, accogliendolo e amandolo come meglio potevo, forse a volte in modo sbagliato. Il responsabile della Casa Famiglia un giorno mi aveva detto: “I ragazzi come Pedro hanno le porte del Paradiso aperte, siamo noi che ci dobbiamo guadagnare questo privilegio”. Mi ripetevo questa frase ogni volta che mi trovavo in difficoltà con lui perché ero certa del fatto che il suo ruolo fosse quello di modellare tutti noi, chi più chi meno, sulla base di quanto ognuno sceglieva di starci e di lasciarsi cambiare. Beh, con me ci è riuscito molto bene!

A chi oggi mi chiede “Com’è andata?” rispondo “bene”, perché nonostante tutte le difficoltà vissute a Camiri, sento che la Vita mi ha regalato il dono più bello: la possibilità di incontrare quel povero che mi ha letteralmente sconvolto, costringendomi a rivedere il mio modo di essere, le mie aspettative e convinzioni… a coinvolgermi di più! Pedro ha fatto nascere in me delle domande importanti, che ancora non hanno una risposta e forse non ce l’avranno mai: perché io sono nata qui? Perché io ho tutto e altri non hanno nulla? Quante volte ho pensato che se Pedro fosse nato in un altro contesto culturale e sociale o semplicemente se fosse nato in una famiglia ricca, in quel lontano 1999 sarebbe stato operato e avrebbe riacquistato le sue funzioni motorie e cerebrali nel giro di pochi mesi… ma non è andata così.

Nonostante ciò credo che Pedro sia una ricchezza per com’è oggi, un dono che ha incrociato il mio cammino in modo tutt’altro che tranquillo e silenzioso e accoglierlo nella mia quotidianità non è stato facile. Auguro a ognuno di voi, che avete letto la sua storia, di incontrare il vostro Pedro, di lasciarvi coinvolgere completamente da lui e magari lasciarvi anche rubare un pezzo di cuore… farà un po’ male ricordare e guardare vecchie foto, ma ne varrà sicuramente la pena!

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