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Argentina Caschi Bianchi

L’audacia e le scarpe sporche

Martina e Sergio stanno svolgendo il loro Servizio Civile a Salta, in Argentina. Hanno incontrato Suor Gregoria, ed insieme ci raccontano la nascita e lo sviluppo di un progetto dedicato all’infanzia, a Villa Asunción

Scritto da Martina Mondaini e Sergio Grossi, Caschi Bianchi Apg23 a Salta

Abbiamo avuto la fortuna di conoscere suor Gregoria mentre stavamo esplorando la baraccopoli di Villa Asunción, nella periferia di Salta, in Argentina, dove svolgiamo attualmente servizio civile nazionale come Caschi Bianchi.

Suor Gregoria gestisce un asilo in questo zona, fondato assieme a Padre Ernesto Martearena. Padre Ernesto è conosciuto a Villa Asunción per le sue opere sociali e per il suo impegno verso i più bisognosi: i bambini, gli anziani, i malati di AIDS e gli aborigeni, ai quali ha sempre offerto protezione ed assistenza.
Al centro della loro vita, racconta suor Gregoria, ci sono sempre state le idee di Papa Francesco: lavorare con i poveri, sporcarsi le scarpe per stare al loro fianco. Non era possibile concentrarsi sulla spiritualità, si dissero, quando i bisogni primari restavano insoddisfatti. Padre Ernesto le ripeteva spesso di non avere paura. Il loro è sempre stato un lavoro duro e pericoloso, ma se ci fosse stata la possibilità di condannarlo a morte, lo avrebbero già fatto. Come temuto, la sua opera sociale fu brutalmente interrotta nel 2001, quando morì ammazzato a soli 50 anni.

Abbiamo fatto qualche domanda a Suor Gregoria, per scoprire un po’ di più la nascita e lo sviluppo di questo progetto:

Qual era la situazione iniziale di villa Asunción, quando il progetto non era ancora stato pensato?

Villa Asunción, al nostro arrivo nell’anno 1985, era una delle zone più povere di Salta: un lembo di terra poteva essere abitato anche da più di 5 famiglie. La maggior parte degli abitanti era costituita da campesinos, contadini provenienti da zone più isolate, emigrati verso la città in cerca di fortuna, spesso in condizioni estreme e senza documenti. Rimanemmo colpiti dal grande numero di bambini che tutte le mattine andavano a chiedere cibo porta a porta nelle zone più ricche.

In che modo lei e Padre Ernesto avete iniziato il progetto?

Bussando casa per casa, iniziammo un censimento per contare quante persone vi abitavano e per comprenderne i bisogni.
La prima idea, ritenuta necessaria, è stata quella di attivare un comedor – una mensa. Forse, mangiando vicino a casa, i numerosi bambini della baraccopoli avrebbero avuto abbastanza tempo a disposizione per andare a scuola. Inizialmente siamo arrivati a coinvolgere 70 bambini, ma la richiesta era molto più ampia. Tutto era molto precario: si mangiava fuori, in uno spazio ristretto, dato in comodato dalla Provincia. Si cucinava solo con l’utilizzo della legna per il fuoco, perché il gas ancora non era arrivato in quella zona della città.
Non era presente un dirigente di quartiere che potesse chiedere alle istituzioni interventi di supporto rivolti alla mensa, eravamo quindi costretti a procedere nel progetto in modo precario, domandando spesso alimenti in regalo al mercato di frutta e verdura. Il mulino regalava dei legumi e qualche panetteria donava il pane avanzato dal giorno prima. Poteva accadere che la mensa non aprisse per insufficienza di cibo.
Padre Ernesto era avvocato, conosceva molte persone ed era molto costante nella continua ricerca di aiuti e supporto. Lentamente, grazie al domandare insistente, ci vennero donati prima i tavoli, poi il terreno. Con anche un contributo in denaro da parte della Provincia, potemmo assicurare un servizio permanente.
Tuttavia molti bambini continuavano a dormire in strada, erano talmente abituati a questa vita che quando gli si offriva una camera e un letto, non era raro trovarli accovacciati a dormire sul pavimento.

Come si è sviluppato nel tempo il progetto?

Nel 1993 il progetto si è ampliato con l’idea e la realizzazione del jardin, un centro di sviluppo infantile. Inizialmente i bambini – di età differenti – erano circa 20 e venivano assistiti da alcuni volontari e due maestre. Successivamente ad una convenzione con lo Stato, la struttura venne professionalizzata e riconosciuta ufficialmente dalle Istituzioni e dal Governo. A seguito di questo riconoscimento, si aggiunsero allo staff altre maestre, questa volta laureate, ed i bambini vennero raggruppati per età. Il Municipio pagò l’allacciamento del gas e l’asilo fu la prima struttura del quartiere ad esserne fornita.

In cosa consiste oggi centro?

Con fatica e tenacia, a seguito di un lento e paziente cammino, il progetto oggi fornisce a più di 350 bambini la possibilità di essere accompagnati e formati, oltre a due pasti al giorno da poter condividere con le relative famiglie.

Un buon progetto cosi è nato e cresciuto, individuando bisogni e cercando risposte concrete alle necessità incontrate sul cammino, anche se sprovvisti di risorse, Suor Gregoria e Padre Ernesto hanno proceduto passo a passo, con insistenza e costanza. E’ questo il modo in cui potrebbero anche nascere nuovi progetti. Il coraggio e le scarpe sporche possono irrigare anche il deserto.

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