Albania Caschi Bianchi

Il gruppo: esercizio al dialogo e strumento di intervento

L’intervento di Patrizia Bettineschi

Scritto da Patrizia Bettineschi, Casco Bianco Oltre le vendette

La traccia dell’intervento

Caratteristica  fondamentale del nostro intervento è stato l’agire in gruppo e il rivolgerci a gruppi.

Il gruppo è stato intesto come una risorsa, come uno strumento e come un’alternativa.

Se intendiamo come risorsa il mezzo che consente di fronteggiare delle necessità o delle difficoltà, possiamo sicuramente affermare che l’agire insieme, confrontandoci costantemente e perseguendo un obiettivo comune è stata la nostra prassi e che questo, nonostante le ovvie difficoltà, ci ha permesso di avere sempre uno sguardo molto più completo e obiettivo su cosa fare e come farlo.

Inoltre l’approccio cooperativo ha portato a diversi risultati.

Ad esempio, il fatto che il gruppi caschi bianchi, facenti parte di tre diverse associazioni, fosse molto unito e avesse degli obiettivi chiari ha portato ad una sempre crescente collaborazione fra gli enti.

Una conseguenza di questo atteggiamento è stata il riuscire a lavorare con ogni membro familiare:

Lvia ha coinvolto gli uomini in alcune formazioni al lavoro, Caritas/Ambasciatori di Pace ha svolto numerose attività con bambini ed adolescenti e Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII/Operazione Colomba ha costruito un percorso volto alla condivisione del dolore e della valorizzazione delle donne.

In questo senso, inoltre, il lavorare con gruppi è stato lo strumento che ci ha permesso di estrarre i singoli dall’ambiente familiare che molto spesso si rivela opprimente e inchioda ognuno nel suo ruolo fisso e tradizionale; ad esempio, alla donna raramente è concesso di sedersi e chiacchierare con gli ospiti poiché solitamente il suo compito è quello di preparare il caffè e le cibarie.

Quello che abbiamo fatto è stato creare un ambiente diverso dove ognuno potesse trovare la libertà di esprimersi e mettersi in gioco nonché confrontarsi con persone che vivono alcune problematiche comuni.

Il lavoro di gruppo è stato essenzialmente di tre tipi, con modalità differenti a seconda dei soggetti coinvolti:

  • Con il cd. ‘Gruppo Uomini’ si è cercato di spezzare il loro senso di isolamento, inutilità ed apatia, dovuto all’impossibilità di lavorare, organizzando delle giornate formative con lo scopo di motivarli nel trovare una via di uscita alla loro condizione, che essi percepiscono come immutabile. Date le numerose difficoltà incontrate (dalla paura dei capi-famiglia a quella che poi diventa l’abitudine a chiudersi in casa), abbiamo organizzato solo due significative  attività relative rispettivamente all’orticoltura ed al funzionamento delle serre in cui abbiamo dato la possibilità a questi uomini di uscire, di non sentirsi soli, e di avvicinarsi a persone che vivono il loro stesso problema o che sono particolarmente sensibili alla loro situazione. Sostanzialmente, gli abbiamo dato – anche se per poco tempo – una boccata di vita civile e pacifica.
  • Con il cd. ‘Gruppo Donne’ abbiamo costruito uno spazio di dialogo e comprensione in cui hanno potuto confrontarsi insieme a noi e tra di loro, in merito al ruolo della donna ed ai diritti che le spettano. Accanto a ciò, abbiamo svolto alcune piccole attività manuali al fine di stimolare la loro creatività ed abbiamo accettato i loro sfoghi riguardanti situazioni di disagio e di dolore, in modo da re-indirizzarle in maniera positiva verso uno slancio al cambiamento. Attraverso l’approccio di gruppo, le donne si sono sentite poco alla volta accompagnate in un percorso che le ha rese più aperte, più coraggiose, più consapevoli delle loro risorse e dei loro diritti, nonché della situazione che stavano vivendo: tutti passi necessari per acquisire la determinazione necessaria per far irrompere in famiglia idee nuove improntate al superamento del dolore e alla riconciliazione.
  • Con il gruppo dei giovani abbiamo realizzato una serie di incontri riguardanti il conflitto ed il modo di gestirlo in maniera nonviolenta, sono stati organizzati vari momenti ludici in cui ognuno doveva cercare di mettersi nei panni dell’altro e capire le motivazioni che lo spingevano ad avere determinati atteggiamenti. I giovani, prime vittime del conflitto e anche prima speranza del cambiamento, si sono dimostrati curiosi, pronti a mettersi in gioco e a collaborare. Grazie all’attività teatrale ed ai numerosi weekend ludico-educativi siamo riusciti a creare non solo un ‘Gruppo Studio’ (come l’abbiamo chiamato in termini progettuali), ma soprattutto un gruppo di amici capaci di confrontarsi in libertà e con rispetto reciproco.

In generale, l’obiettivo di ogni gruppo era volto a migliorare la qualità della vita delle persone soprattutto sottolineando le caratteristiche positive e rafforzando il senso di potere (empowerment) dei partecipanti.

Inoltre, il nostro lavorare in gruppo ha offerto un’alternativa poiché ha mostrato un modello di relazioni paritarie e basate sulla collaborazione.

Da questo punto di vista, ad esempio, abbiamo dimostrato che uomini e donne possono svolgere gli stessi compiti anche se ciò non è previsto dalla cultura albanese. Piccole cose come il fatto che le donne guidassero e che gli uomini cucinassero hanno dapprima sorpreso le “nostre famiglie”  ma con il passare del tempo, anche per loro, sono diventate azioni normali.

I ragazzi sono quelli che maggiormente hanno imparato da questa “palestra del dialogo” che è il gruppo  interiorizzando un nuovo modo di superare i contrasti ed adottando atteggiamenti più cooperativi e meno conflittuali.

Infine, non ho dubbi nel dire che noi siamo stati i primi beneficiari di questo approccio non individuale ma collettivo.

Essere gruppo ci ha aiutato a superare le difficoltà sia progettuali sia ambientali.

Dal punto di vista del progetto, lavorare insieme ci ha permesso di trovare, molte volte, soluzioni creative anche a problemi molto complessi. Il costante confronto è sempre stato teso a valorizzare ognuno di noi e a farci esprimere con le nostre peculiari caratteristiche.

Inoltre, nella creazione del rapporto di fiducia, il fatto che le famiglie, sì, ci riconoscessero prima di tutto come persone diverse tra di noi e con qualità differenti ma che ci percepissero anche come “un solo corpo con una sola voce” ci ha dato maggiore autorevolezza e credibilità nei loro confronti.

Per quanto riguarda, invece, le difficoltà di tipo ambientale legate al contesto e alle condizioni di vita sia dentro casa sia fuori casa, il nostro riconoscerci come parte di un gruppo e non come singoli ci ha reso più forti nell’affrontare il senso di frustrazione dovuto alle numerose morti e alle situazioni di estrema violenza.

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