Caschi Bianchi Cile

In piazza per la terra del fuego!

Il progetto HidroAysen prevede la realizzazione di un complesso idroelettrico in Patagonia. El pueblo cileno manifesta contro un progetto che rischia di contaminare una terra che è patrimonio naturale mondiale

Scritto da Valentina Circhetta, Casco Bianco Apg23 a Santiago del Cile

HidroAysen: è il nome del progetto che prevede la costruzione di cinque dighe nella zona della Patagonia.
Patagonia: è un’area al sud del mondo che si estende tra il Cile e l’Argentina.
Molti libri raccontano di questo bellissimo posto incontaminato dove chiunque metta piede ritrova magicamente se stesso.
La regione dell’ Aysen si trova proprio in questa area del mondo, area che interessa non solo la popolazione cilena ma tutti noi, perché tutti siamo coinvolti nell’ ”aria che gira”, nei respiri di ogni essere umano.

Popolazione cilena: ”El pueblo”. La sua storia è fatta di violazioni, sofferenze, lotte continue che si propagano fino ai giorni nostri. Stessi oppressi, stessi oppressori, stesse manifestazioni: nonostante i tempi, la storia si ripete. Per secoli “el pueblo”,  è stato sottoposto a numerose violazioni dei diritti umani: le popolazioni indigene che un tempo vivevano pacificamente, sono ormai estinte e quelle superstiti si difendono come meglio possono,  determinate ad affermare il loro semplice diritto ad esistere;  studenti, operai, cittadini senza cariche particolari che nel periodo della dittatura si sono opposti alle prepotenze dei potenti che hanno fatto, di questa sottile striscia di terra, uno stuzzicadenti da tenere in bocca, per solleticare un palato sempre più affamato di potere.

13 maggio 2011: i figli e nipoti di questo pueblo, si sono riuniti in piazza Italia per dirigersi di fronte alla casa del Governo per dire la loro opinione rispetto a questa decisione, con la loro presenza, con la loro voglia di riprendersi la terre dei loro padri, di fronte ad un governo che appare impassibile, distaccato, incurante delle continue manifestazioni.

Mi trovo in piazza della Moneda, in via  Bulnes. [1]
Ci sono radunati un migliaio di studenti, mi sorprende la loro giovane età, ma ci sono anche degli anziani e delle mamme e dei papà con i loro bambini in spalla.
È una tiepida serata autunnale, arriva la folla e si siede per terra sul prato di fronte alla Moneda, armati di candele accese, di striscioni che documentano la loro volontà a non far costruire questo obbrobrio che deturperebbe uno dei pochi angoli di mondo ancora incontaminato.
Un gruppo di manifestanti aspetta che arrivi un altro gruppo che è partito da piazza Italia ma che qui non arriverà mai; la polizia ferma il loro arrivo lanciando lacrimogeni e gettando acqua con i loro potenti Guanaco[2] sui manifestanti  che si inginocchiano mostrando il simbolo della pace con entrambe le mani. Inizia un fuggi-fuggi generale, la gente si salva come può rifugiandosi in strade secondarie o in parchi dove le camionette della polizia non possono arrivare. L’aria è irrespirabile, gli occhi pungono, sembra di soffocare, gira la testa e sembra ci sia poco tempo per fare un altro respiro e poi un altro ancora. Quelli che scivolano per terra vengono accerchiati e picchiati  con manganelli, i gruppi di amici si separano per poi ritrovarsi dopo qualche ora, telefonate per raggiungere i familiari e i compagni di questo triste evento.

Tutto questo dura  all’incirca  40 minuti, minuti che sembrano giorni, mesi, anni, come negli anni ‘70 e  ‘80 in cui pronunciare la parola “pace” ti costava molte volte la vita.
Camionette, guanaco, giovani che scappano, lacrimogeni, ho già visto questa scena in un video su youtube che documenta i giorni dell’attacco alla Moneda, mi ricordano scene che ho sempre visto nei film stando comodamente seduta a casa. Adesso si ripetono sotto i miei occhi e mi chiedo se sia ancora possibile, in questo paese, avere la libertà di pensiero, di opinione, di parola, mi chiedo se tutto questo sia un privilegio di pochi, e mi sento tristemente privilegiata perché posso scrivere e pensare liberamente, e con questa preziosa consapevolezza,  mi chiedo: “ ma la dittatura in Cile, non era finita?”

Hidroaysen: un progetto che se non verrà fermato, distruggerà uno dei pochi incantevoli angoli di mondo, luogo che ha fatto la storia della nostra umanità con le sue civiltà, le sue culture. Molti secoli fa gli europei denominarono questa zona la tierra del fuego [3], dove si supponeva vivessero dei giganti; oggi, dopo 2 secoli, quei giganti rischiano di essere sostituiti  da  più di 6.000 torri alte 70 metri che graffieranno questa splendida terra senza cicatrici.

Sabato 21 maggio, alla stessa ora e nello stesso luogo, si terrà un’altra manifestazione: si prevedono molti studenti, molti ragazzi,  giovani e non giovani, allo stesso tempo molta polizia, camionette, lacrimogeni e molti guanaco. Un’altra manifestazione che dimostrerà che “el pueblo”di questa tierra del fuego, possiede un fuego che nessun guanaco riuscirà mai a spegnere.

Note:

[1] Palacio de La Moneda è la sede ufficiale del Presidente della Repubblica del Cile
[2] Veicolo della polizia attrezzato per lanciare un getto di acqua ad alta pressione e disperdere le manifestazioni.
[3] Terra del fuoco

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