Brasile Caschi Bianchi

Il Brasile e la terra: storia, lotta e pensiero

In un paese dove, di fatto, la Riforma Agraria non è stata mai ralizzata, la concentrazione delle terre nelle mani di pochi fazenderos continua a essere la causa principale dell’enorme disparità sociale.

Scritto da Davide Marco Giachino

“Quella brasiliana è la società più iniqua del mondo. In nessun altro luogo c’è tanta disparità tra poveri e ricchi. E tutto questo ha un’origine storica, nella concentrazione della proprietà terriera. Appena l’1% dei proprietari, circa 40 mila famiglie, possiede la metà di tutte le terre, mentre il resto è distribuito su 5 milioni di fondi agricoli di medi e piccoli proprietari; altri 4,5 milioni di famiglie vivono sulla terra, ma senza terra”.

Fino a 500 anni fa, prima dell’arrivo degli europei, i 5 milioni di indigeni che abitavano il Brasile praticavano la proprietà comune della terra. Il colonialismo, invece, iniziò a organizzare la produzione agricola in grandi fazendas con monocolture di caffé, cotone, canna da zucchero, bestiame e cacao, interamente destinata all’esportazione. La manodopera era composta da schiavi indigeni o importati dall’Africa.
Due secoli e mezzo più tardi, la corona portoghese promulgò la Legge n.601, che concedeva la proprietà del fondo a chi fosse stato in grado di pagare enormi quantità di denaro: questa legge è stata rivista in maniera parziale, ma non è mai stata abolita. Nel XX secolo, la capitalizzazione delle terre si inferocì ancora di più: i latifondisti acquistavano le terre dei piccoli proprietari e, con l’inganno o con la forza, si appropriavano pure delle terre libere occupate per anni dai contadini senza terra. Un tipico esempio di infamia è la grilagem, all’epoca largamente usato per la sua viscida semplicità: si produceva un falso attestato di proprietà di un certo terreno, firmato da un notaio corrotto. Poi veniva chiuso in una bottiglia di vetro insieme ad alcuni insetti che, in poco tempo, davano al foglio l’aspetto di una carta antica: ecco un atto ufficiale che attestava l’acquisto del fondo prima dell’occupazione da parte dei contadini.
Nel XX secolo, il Brasile ha conosciuto sia l’orrore della dittatura che un veloce processo di sviluppo industriale. La modernizzazione del paese ha spinto milioni di contadini senza terra a lasciare le campagne per seguire il miraggio della città: il risultato fu la selvaggia favelizzazione delle periferie e il mantenimento della concentrazione delle ricchezze e della terra.

Negli anni ’80, l’economia brasiliana precipitò nella recessione e sia le masse di contadini che migravano da una parte all’altra del paese in cerca di una terra da coltivare, sia i nullatenenti licenziati dall’industria in declino, si convinsero che era necessario resistere sulla terra, nella campagna.
È in questo contesto di presa di coscienza che nascono i primi movimenti di lotta popolare: uno dei più significativi è senza dubbio l’MST, ovvero il Movimento dei lavoratori rurali Senza Terra. Il movimento organizza occupazioni di grossi latifondi non produttivi che, secondo la Riforma Agraria mai realmente attuata, dovrebbero essere espropriati e concessi al popolo. Se i contadini riescono a resistere alla violenza della polizia, privata o federale, e ad attirare l’attenzione del Governo, allora questo interviene e concede loro la terra occupata. L’MST accompagna poi il processo di distribuzione dei lotti, l’organizzazione sociale e l’educazione dei sem terrinha, i figli dei contadini. Ma quello che vuole fare l’MST non si esaurisce nella conquista della terra. I veri obiettivi sono compiere una vera rivoluzione culturale, pedagogica ed ecologica del paese e di porre fine alla sottomissione dell’economia brasiliana al capitale finanziario internazionale.
All’interno della lotta di liberazione dal modello economico e sociale imposto, un ruolo fondamentale è svolto da quelle entità cattoliche legate alla Teologia della Liberazione, rinnegata dall’oligarchia vaticana. Si tratta di una teoria che esalta la presa di coscienza degli oppressi della propria povertà e la lotta contro questo stato. Il compito della Chiesa, secondo la TdL, dovrebbe dunque essere aiutare i poveri a prendere il loro destino in mano, perché la salvezza non si avrà solo dopo la morte, ma va ricercata in questo mondo, qui ed ora. Leonardo Boff, uno dei massimi teorici della corrente, sostiene che “la Chiesa cattolica sta diventando, nell’ottica della liberazione materiale e spirituale dei poveri, sempre più irrilevante. L’approccio delle gerarchie vaticane al problema è “feudale” e si concepisce la Chiesa come chiesa del ricco per il povero, ma non con il povero.”

E questo tipo di falsa generosità, di assistenzialismo dall’alto, è uno dei principali oggetti di studio di un altro grande pensatore brasiliano: Paulo Freire. In uno dei suoi libri più radicali, “La pedagogia dell’oppresso”, egli sottolinea come questo tipo di generosità, tipica non solo della Chiesa, ma pure dell’assistenzialismo europeo e nordamericano ai paesi “sottosviluppati”, contribuisca a mantenere lo stato sociale ingiusto già presente e “si disperi di fronte a qualunque minaccia, seppur lieve, diretta contro la fonte della sua esistenza. La vera generosità, invece, consiste nel lottare affinché spariscano le ragioni che alimentano il falso amore; la vera solidarietà non è lottare per i poveri credendo di essere gli agenti del mutamento, ma lottare con i poveri, perché è dagli oppressi che scaturisce la vera liberazione.”Ecco dunque il ruolo storico e culturale degli oppressi: liberare se stessi e i loro oppressori, e farlo con un dialogo e una ricerca costante, perché “la libertà è una conquista, e non un’elargizione, esige una ricerca permanente. Nessuno possiede la libertà, come condizione per essere libero; al contrario, si lotta per la libertà perché non la si possiede. E la libertà non è un punto ideale, fuori dagli uomini, di fronte a cui essi si alienano, non è un’idea che si fa mito: è una condizione indispensabile al movimento di ricerca in cui gli uomini sono inseriti.”

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