Caschi Bianchi Perù

Dalla sierra peruviana alla periferia di Lima: la testimonianza della Señora F. sulla violenza politica

Un progetto rivolto a persone prive di documenti e vittime della violenza politica che ha coinvolto il Perù tra il 1980 e il 2000. La signora è attualmente la presidentessa di un’associazione di famiglie ”desplazadas”, Mama Quilla.

Scritto da Annalisa Bianchin, Casco Bianco ASPEM

Ho conosciuto la Señora F. quando ho cominciato a lavorare all’interno di un progetto nella comunità di Huaycàn, quindi subito dopo il mio arrivo a Lima, a ottobre del 2006. Si tratta di un progetto rivolto a persone prive di documenti e vittime della violenza politica che ha coinvolto il Perù tra il 1980 e il 2000. La signora è attualmente la presidentessa di un’associazione di famiglie ”desplazadas”, Mama Quilla. È stata anche responsabile di una mensa parrocchiale in passato ed ora è una donna riconosciuta a livello comunitario soprattutto per la sua lotta per la difesa dei diritti delle persone vittime della violenza politica all’interno del processo di riparazione stabilito dalla Comisión de Verdad y Reconciliación. F. è originaria della Sierra Sud (provincia di Huencavelica), zona maggiormente colpita dal terrorismo e come molte altre persone di quelle regioni ha dovuto migrare forzatamente a Lima per sottrarsi alla violenza causata dallo scontro tra Sendero Luminoso e l’esercito e la polizia peruviane. Qui riporto la sua testimonianza: ne emerge un racconto della violenza politica e dell’impatto che questa ha avuto sulla sua vita. Mi preme puntualizzare che la vita delle signora F. non si limita a questo, vi sono infatti stati momenti piacevoli e gioiosi in cui attraverso l’organizzazione con altre persone della comunità F. è riuscita ad ottonere risultati soddisfacenti che pongono le basi per un possibile cambiamento nella direzione della pace, della giustizia e del rispetto reciproco.

”Nella Sierra i problemi cominciarono nel 1975. Fino a quel momento stavamo bene, conducevamo una vita tranquilla coltivando i nostri campi e con i nostri animali che ci garantivano tutto ciò di cui avevamo bisogno per vivere. Le domeniche andavamo alle fiere a fare del piccolo commercio con le eccedenze di ciò che producevamo, poi c’erano le fiestas costumbristas del paese dove disponevamo di qualsiasi tipo di cibo (feste paesane con le quali anticamente si veneravano elementi naturali, quali il sole, la terra, la pioggia e attraverso le quali oggi si celebrano i santi e il patrono del paese). Ad Ayacucho i comunisti – come li chiamavano in un primo momento – apparvero proprio in quell’anno, nel 1975. Ricordo che una domenica come tutte le altre andammo alla fiera di Culcamarca e vedemmo delle persone incappucciate con degli zaini alle spalle, portavano gli scarponi, erano uomini e donne… Chiusero tutte le strade per evitare eventuali fughe e radunarono tutti gli uomini e le donne presenti nella fiera. Avevano una lista di tutti i milionari della zona e cominciarono a nominarli uno ad uno e ad umiliarli dicendo che mentre i contadini venivano sfruttati nei loro campi, loro si portavano a letto le loro spose e le loro figlie. Ogni milionario era padrone di vari negozi di alimentari e gli incappucciati si portarono via tutto ció che avevano e obbligarono la gente del paese ad aiutarli a svuotare i magazzini e a portarsi via le mercanzie: si portarono via tutto per il popolo. Tutto successe nel giro di un’ora e alla fine restava solo il vuoto: morti ovunque e case bruciate. Cinque giorni dopo arrivarono al mio villaggio (Angaraes, comune della provincia di Huancavelica, vicino ad Ayacucho, nda) tre ragazzi e una ragazza dell’Universitá di Ayacucho. Dicevano di venire a parlare per rafforzare l’insegnamento, mandati dal MINDES (Ministero della Donna e dello Sviluppo Sociale). Impartivano delle lezioni nel patio della scuola e ripetettero le stesse cose nelle diverse scuole delle varie comunitá circostanti. A quel punto ci rendemmo conto del fatto che si trattava di terroristi. Ci parlavano delle inguistizie di cui eravamo vittime per il fatto di essere poveri, per non essere padroni delle nostre terre e per dover dipendere da padroni sfruttatori e violenti. Reclutavano i giovani i quali cercavano invano di scappare, di nascondersi e le autoritá locali erano obbligate a collaborare e a soddisfare le richieste del terroristi. Noi donne quando venivamo interpellate, quando ci chiedevano qualcosa dovevamo fingerci tonte, fare le umili…solo cosí potevano evitare problemi. Perché le persone che non obbedivano ai loro ordini venivano ammazzate: non tolleravano la gente de mal vivir, la gente pigra….Nel 1979 arrivarono i Militari. A quel punto non era piú vita: avevamo paura tanto degli uni come degli altri. Per i militari tutti erano terrucos (terroristi) e si portavano via tutto: animali, provvigioni, donne e molte persone risultavano desaparecidas (scomparse)…. Nel 1982 i militari erano i padroni di tutti i villaggi della zona. La situazione era decisamente peggiore che prima, eravamo costantemente controllati. I militari consegnarono delle credenziali (tessere) per conoscere l’identitá di ognuno e per uscire dalla comunitá c’era bisogno di lettere speciali da parte di coloro che accoglievano le persone nei luoghi di destinazione, in cui si spiegava il motivo della visita o del viaggio. In questo modo controllavano tutto e tutti. Nel 1985 ci furono le elezioni presidenziali…quando poi venne eletto per la prima volta Alan García. I terroristi dissero che a chi andava a votare gli sarebbero state tagliate le dita; la maggior parte non votó. Ma, allo stesso tempo, coloro che non votavano erano puniti dai militari. Mia cugina allora per fare in modo che votassimo portó le schede elettorali dal comandante del Cuartel per farle timbrare, perchè fungessero da voti validi. Venne peró scoperta dai terroristi che andarono a casa sua, torturarono molti dei miei parenti e li fecero scomparire. A mia cugina le tagliarono le dita, era il tipico castigo per le persone che non obbedivano all’ordine di non votare, poi le tagliarono la lingua perché si rifiutava di parlare, di fare nomi e alla fine la testa… Trovarono il corpo abbandonato e solo settimane dopo trovarono la testa… La riconobbero per l’orecchino che indossava…. I terroristi nascondevano i corpi in fosse comuni e a volte ci finivano anche persone ancora vive. Un giorno il mio padrino di battesimo stava lavorando nel suo campo quando sentí una voce provenire da una fossa, un fossato molto profondo dove da piccola giocavo con i miei amici a tirarci i sassi. Si trattava di un uomo che chiedeva aiuto… Allora la notte stessa, di nascosto, per non farsi scoprire, andó con altre persone per salvarlo e ci riuscirono. Il signore era rimasto lí dentro 4 giorni e diceva che c’erano 16 cadaveri in quella fossa. Di lí a pochi giorni i senderisti lo scoprirono e lo uccisero: con el batan para moler el maiz le golpearon la cabeza (Il batán é una pietra allungata usata per schiacciare il mais. Con il batan gli colpirono la testa fino ad ucciderlo, nda) … Poi scrissero sulla parete di casa sua: cosí muoiono i traditori. Io ho avuto la fortuna di andarmene 4-5 giorni prima che ció accadesse. Mio padre piú volte mi aveva detto di partire ma l’idea di dover lasciare la mia famiglia e la mia terra mi terrorizzava. Arrivammo peró a quel punto in cui la sitauzione diventava insostenibile e realmente rischiosa che mi decidetti a partire. Arrivai cosí a Vitarte dove mia zia mi mise in contatto con il Padre Marcelo, il quale mi fece conoscere il gruppo di famiglie ayacuchane. Pochi parlavano lo spagnolo, quasi tutti parlavono solo il quechua, la nostra lingua indigena. Il padre fin dall’inizio ci spronó a parlare in pubblico, nelle assemblee e nelle riunioni…cosí in poco tempo quasi tutti imparammo lo spagnolo. …. Restava poi il problema della casa… Cosí il Padre nel 1987 richiese al Comune di Vitarte – al quale Huaycán appartiene – un terreno per edificare case che sarebbero state destinate alle famiglie desplazadas. Noi donne cominciammo a fabbricare mattoni per la costruzione delle case, mattoni fatti di terra, cemento e calce che in parte scambiavamo con bidoni d’acqua. Era l’unico modo per poter avere l’acqua visto che il camion-cisterna nei primi anni della nostra presenza a Huaycán non saliva fino alla parte media della comunitá, invasa dai terrucos, secondo loro. Ci trovammo cosí a dover fare i conti con la discriminazione e il timore da parte degli altri abitanti della comunitá che per il fatto di venire da Ayacucho, centro del movimento terrorista, ci consideravano tutti terroristi… Ma fabbricando i mattoni potevamo barattarli con i bidoni per l’acqua che andavamo a riempire al fiume, nella parte bassa della comunitá: 120 mattoni per 6 bidoni. Poi il Padre, grazie a dei finanziamenti provenienti dall’Italia, compró degli stampi di ferro per migliorare e velocizzare la produzione di mattoni. In seguito peró aumentó il prezzo del cemento e non era piú vantaggioso produrre in quel modo. Allora chiedemmo prestiti alle banche e cosí potemmo terminare la costruzione delle case. Alcune banche poi condonarono i prestiti perché chiusero e certe persone riuscirono a costruirsi i tetti o a fare l’allacciamento all’acqua e alla luce praticamente gratis. Penso che una mia cugina debba ancora pagare il tetto di casa sua… Seguirono poi gli anni in cui si costruí l’immagine di Huaycán come zona roja: il resto degli abitanti di Lima temevano la zona e pensavano che tutti fossimo terroristi.

Cominciarono i rastrellamenti dei militari che stabilirono una base antisubversiva all’entrata di Huaycán per controllare i movimenti di entrata e di uscita dalla comunitá e per scovare i possibili terroristi. Cercavano delle prove e a qualsiasi minimo sospetto si portavano via le persone e le mettevano in carcere. Poi a differenza della Sierra in cui i Senderisti erano visibili ed identificabili, qui a Huaycán non si vedevano peró senza saperlo potevi ritrovarti a parlare proprio con uno di loro. Non si poteva avere fiducia in nessuno, ci sentivamo costantemente controllati. Poi con l’arrivo dei militari aumentó anche la delinquenza. Se prima funzionava la giustizia popolare e i ladri avevano paura di rubare perché venivano bruciati o impiccati vivi nella Plaza de Armas, poi con i militari c’era impunitá: ai ladri non gli facevano nulla, li portavano in commissaria e dopo 2-3 ore te li ritrovavi di nuovo dietro l’angolo. … Dopo alcuni anni arrivarono anche i miei genitori. Io mi ero sistemata a Huaycán e visto che nella Sierra era sempre piú pericoloso restare si convinsero a venire. Hanno resistito 6 anni qui a Lima, ma dopo hanno voluto far ritorno alla loro terra. Nonostante la vita lí nella Sierra sia completamente diversa, riuscirono a riabituarvisi. Anch’io un paio di volte ho provato a tornarci e a restare ma diventava impossibile riabituarmi a quei ritmi, al clima, a tutto. Lo stesso clima ti colpisce: le labbra, la faccia, le mani ti si seccano… Lí lavoravamo molto duro, non era possibile riposare la domenica, tutti i giorni bisognava andare al campo e lo si faceva, eravamo abituati. Ma poi uno perde il ritmo, perde l’abitudine e non ce la fa piú. Poi quei posti per me sono pieni di ricordi, belli ma soprattutto brutti, ho ancora paura ad andare a rivedere certi posti per le cose che ho visto e che ho vissuto in quegli anni…. A partire dal 1990, con il Presidente Fujimori, la presenza di Sendero a Huaycán cominció a diminuire. Questo non significa che non vi fossero attentati… In quegli anni vennero infatti uccisi un segretario generale che aveva raccolto delle firme per l’apertura della base militare e la dirigenta Pascuala. Pascuala si opponeva apertamente alla violenza di Sendero, esortava la popolazione a difendersi e a rifiutare le azioni di Sendero. Alcuni la accusarono di essere troppo compromessa con il governo, di essere una cabeza negra. Ma io non lo so, in quegli anni non ero sveglia come adesso, stavo cominciando ad assumere incarichi e responsabilitá ma ancora non capivo molte cose… Comunque i terroristi la uccisero travesititi da venditori ambulanti. Si erano messi con un banchetto al mercato: venne uccisa in pieno giorno e poi il suo corpo venne fatto saltare con la dinamite. A Huaycán non si riusciva ad identificare i terroristi: si nascondevano tra le persone qualunque; non era come nella Sierra dove erano tutti incappucciati e visibili….

Una volta mi é capitato di ospitare per una settimana una signora. Diceva di venire da Huancayo e di essere venuta per curarsi un tumore alla pelle. Diceva di avere dei parenti a Lima ma siccome non era riuscita ancora a rintracciarli mi aveva chiesto ospitalitá. Io che di natura sono sempre disposta ad aiutare il prossimo non ci pensai due volte. La signora stava sempre chiusa in casa, non usciva mai…non veniva neanche al Comedor per pranzare e dovevo portarle il pranzo a casa quando finivo di lavorare. In quei giorni avevano cattuarto Feliciano (Feliciano faceva parte della cupola di Sendero. Se Abimael Guzman era il teorico del gruppo terrorista, Feliciano era l’uomo d’azione. Venne catturato nel 1999, sette anni dopo il suo leader massimo). … mi ricordo una sera che tornata a casa stavano trasmettendo la notizia alla tele. Lei era lí con me e mi aveva colpito perché mi sembrava che piangesse. Di lí a pochi giorni mi ringrazió e se ne andó. La settimana dopo alla televisione riconobbi il suo volto: era la moglie di Feliciano ed era stata catturata anche lei. La trovarono in un appartamento che aveva preso in affitto a Lima. A volte ringrazio Dio perché non la scoprirono quando era a casa mia… Che paura presi quella volta e capii che alla fine nessuno è liberlo da niente. Me ne ero andata dalla Sierra perché volevo una vita tranquilla, per crescere i miei figli lontano dalla violenza e dalla paura, ma mi accorsi che alla fine ovunque si é esposti al pericolo.Ora che non ci sono piú i terroristi lo stesso me ne sono successe: ho avuto i ladri in casa e mi hanno portato via tutto e due mesi fa sono stata aggredita alla Parada (La Parada é uno dei mercati piú grandi di Lima, dove arriva frutta e verdura proveniente dal resto del Paese e dove i piccoli venditori vanno a rifornirsi) mentre andavo a comprare la verdura da vendere al mercato. Sembra che piú sacrifici uno faccia peggio vadano le cose. L’unica cosa che mi da forza ora sono i miei figli: é per loro che faccio tutto quello che faccio, é per loro che oggi sono ancora qui che lotto per una vita migliore, senza violenza e senza ingiustizia”.

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