• Cb Apg23, 2008

Caschi Bianchi Romania

L’avventura di un cristiano palestinese in Romania. Percezioni di un conflitto

Ventisei anni, Palestinese cristiano di Betlemme, in Romania da dicembre. Elias compie un lungo viaggio attraverso la Siria, la Turchia e la Romania, percorso che dovrebbe condurlo in Italia, più precisamente a Milano, sua destinazione finale ma l’itinerario cambia alla frontiera con l’Ungheria dove viene fermato dalla polizia di frontiera e rispedito indietro in Romania. La sua testimonianza.

Scritto da Marianna Ponticelli

Quello di Elias è il percorso che molti immigrati irregolari compiono con la speranza di richiedere asilo, e la Romania da qualche anno a questa parte sembra essere il paese “recipiente” di tutti coloro che vengono respinti alla frontiera con l’Ungheria(1),1ciò soprattutto a causa delle politiche restrittive di quest’ultimo Paese in merito al diritto d’asilo. Così la sua rotta viene spostata verso la Romania, dove arriva il 20 dicembre e decide di chiedere asilo.

Ben chiari sono i motivi che spingono un abitante della Palestina a fuggire altrove e a chiedere asilo, ma più raro sembra essere incontrare un Palestinese di religione cristiana.

Puoi tracciarmi un quadro generale della situazione dei cristiani in Palestina?

Storicamente in Palestina prima dell’occupazione era presente il 70% dei cristiani, di cui il 50% solo in Gerusalemme. Oggi invece i cristiani in Palestina costituiscono soltanto il 2% della popolazione locale. Ciò fa sì che quella dei cristiani in Palestina sia percepita come una presenza straniera o quanto meno fantasma; se si guarda a un qualsiasi canale islamico ad esempio, ci si può rendere conto che si parla soltanto di un conflitto tra Israeliani e musulmani, come se i cristiani non fossero mai esistiti lì.
L’origine di tutto ciò è da cercare nella guerra del 1967, quando Israele tentò di conquistare l’Egitto, parte della Siria e parte del Libano. La percezione della realtà e del conflitto in tal caso, venne deviata dall’informazione araba che immaginò fosse una guerra tra ebrei e musulmani, non una guerra per il territorio e di conseguenza da tale data abbiamo cominciato a sentir parlare di Hezbollah in Libano e di Hamas in Palestina.

Credo che esistano forme di resistenza organizzata tra Cristiani e musulmani contro Israele ma non ne conosco esempi concreti. Amiamo la nostra terra e dobbiamo difenderla, in Palestina puoi vedere cristiani e musulmani che lanciano insieme pietre contro i soldati israeliani. Se non lo facessimo non ameremo la nostra terra. Anche io l’ho fatto tante volte, e tante volte i soldati sono venuti a cercarmi a casa.
I cristiani in Palestina continua,benché siano stati discriminati per una sorta di assimilazione con gli Ebrei hanno sempre dichiarato di voler difendere la loro terra dagli attacchi degli israeliani.
D’altronde prima che l’annosa questione del conflitto Israelo-Palestinese avesse inizio, i cristiani e i musulmani vivevano pacificamente in Palestina da centinaia di anni, cioè sin da quando l’Islam arrivò in quei territori mettendovi radici tanto profonde che oggi l’Islam pervade anche l’ambito culturale e sociale della Palestina, ”contaminandone” la percezione riguardo l’identità di chi vive in quei territori e musulmano non è. A Gaza ad esempio, le ragazze Cristiane sono costrette ad indossare il costume islamico chiamato Hegab, ed al contempo gli Israeliani dal canto loro non operano alcuna distinzione tra cristiani e musulmani in Palestina.
Per di più la guerra che Israele ha cominciato contro la Palestina ha generato l’odio dei musulmani
contro i cattolici. Un mio amico di Gaza che lavorava nell’ambito delle pubblicazioni della Sacra Bibbia è stato ucciso dai musulmani. Ancora, cinque anni fa venti uomini di Hamas inseguiti si erano rifugiati nella Chiesa della Natività. Trascorsi circa venti giorni, una giornalista entrata all’interno della Chiesa ha potuto constatare che gli uomini di Allah avevano profanato il luogo sacro strappando via le pagine della Bibbia e dando fuoco all’altare, mentre Israele al contempo aveva dato inizio ai bombardamenti sulla Chiesa.

Come hai vissuto finora la quotidianità dell’essere cristiano?

Avevo la possibilità di recarmi in Chiesa, ma non di poter parlare pubblicamente del mio credo, né in Palestina né in Egitto o in Siria, i posti nei quali ho vissuto. E non ho mai avvertito il desiderio di farlo perché sono convinto che nessuno di fede diversa possa essere in grado di capirlo.

E quale tipo di motivazione hai addotto nella richiesta per ottenere lo status di rifugiato in Romania?

È noto in tutto il mondo il motivo per cui una persona che scappa dalla Palestina può chiedere asilo in un altro Paese, cioè basterebbe considerare il fatto che c’è una guerra in corso. Ma il motivo principale per il quale ho deciso di chiedere asilo sta nel fatto che appartengo a un gruppo religioso, quello dei Cristiani, che può essere considerato anche gruppo sociale in virtù del fatto che negli stati arabi non viene operata differenza tra religione e società.(2).

Pensi che cattolici e musulmani possano abitare una stessa terra?

A Gerusalemme vivono Palestinesi, cristiani e musulmani, ma la convivenza spesso genera problemi.
Gli Israeliani insegnano ai bambini a odiare i Palestinesi, altrimenti come potrebbe quest’astio provenire in modo spontaneo da un bambino di dieci anni? Allo stesso modo i musulmani nelle moschee. Solo i cristiani chiedono e insegnano ad amare il nemico, ma io stesso, tuttavia, mi sono spesso trovato nella condizione di verificare quanto questo sia difficile.

Qual è la tua opinione riguardo alla modalità di lotta che i cosiddetti fondamentalisti musulmani spesso usano contro gli Israeliani e delle quali spesso si sente parlare?

Non mi trova d’accordo, non mi piace. Abbiamo bisogno della pace con Israele, ma loro non la desiderano. Quando Hamas ammazza anche un solo soldato israeliano, gli Israeliani rispondono ammazzando un centinaio di soldati palestinesi.
Credo che Israele non andrà mai via dalla Palestina, ha le armi, le bombe, l’America dalla sua parte. È meglio per noi lasciare che vivano anche loro in pace, ma loro non vogliono, pensano che quella terra sia stata data loro da Dio. Una volta ad esempio, un giovane di Tel Aviv mi ha detto che se crediamo nelle Sacre scritture come loro stessi dicono di credere, dobbiamo accettare che questa terra sia stata data loro da Dio. E in conclusione del discorso, mi ha mandato all’inferno. Io ho risposto affermando che quanto aveva detto corrisponde a verità, ma che tuttavia non bisogna dimenticare il fatto che quando il popolo degli Ebrei è giunto lì da tutte le parti del mondo nelle quali era disperso, vi ha trovato i Palestinesi, e che per tal motivo non è ammissibile la presunzione che quella terra sia di fatto solo di loro proprietà.

Speri di ritornare?

Ci sono due possibilità per noi: restare per morire o andare via. Io ho scelto la seconda ma un giorno, se non riuscirò ad ottenere di restare qui né in altro posto, e dopo aver esaurito tutte le possibilità, preferisco tornare a morire nel mio Paese.

Per quanto riguarda gli Ebrei, non sento questa vicinanza per cui non vivo questa contraddizione, per il semplice fatto che non credo che loro possano essere i nostri predecessori nella fede se non hanno fatto altro che uccidere nel nostro Paese, per cui come posso io sentirmi vicino a loro e sentire di avere radici comuni?

Crediamo nello stesso Libro Sacro, ma allo stesso tempo ci vogliono fuori dai nostri territori e ci impoveriscono…ogni giorno.
D’altra parte la religione è un discorso e questo invece è un problema politico; la politica segue una strada la religione un’altra e non possono mai confondersi.
Io credo in Cristo, loro no, per loro quindi non vale dire: ama il tuo nemico.
Se io andassi loro a chiedere: “ami il tuo nemico?”, sono sicuro che non avrebbero problemi a uccidermi. Noi crediamo in un regno divino nell’aldilà, loro invece ad un regno su questa terra.

Note:

1. Pur non essendo la Romania la destinazione prescelta accoglie molti richiedenti asilo per diversi motivi. Primo fra tutti quello della posizione geografica, in quanto rappresenta la “porta d’ingresso” dell’Europa per le persone che provengono dal vicino oriente, dall’Asia e dall’Africa, pur non costituendo nel 90% dei casi la meta di destinazione del viaggio di fuga di chi scappa dal proprio Paese o anche dei semplici emigrati che decidono di andar via.
La Convenzione di Dublino, come modificata nel 2002, precisa che una persona in fuga dal proprio Paese che abbia intenzione di chiedere asilo in un Paese europeo, ha obbligo di chiedere asilo nel primo Paese della Comunità nel quale approda.
2. Quest’ultima è da considerarsi piuttosto un’opinione personale in quanto sia la convenzione di Ginevra sul diritto dei rifugiati che la legge rumena che regola tale materia, contemplano la possibilità di addurre come motivazione per richiedere lo status l’appartenenza ad un gruppo sociale.
Tuttavia in entrambi i testi non vi è menzione della possibilità che il motivo religioso possa essere assimilato o semplicemente accompagnato a quello sociale per il fatto che talvolta negli Stati arabi così come nelle forme di Stato teocratiche in generale, non vi è distinzione tra ambito religioso e sociale.

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