Caschi Bianchi Serbia

Come appaiono i piedi lungo la Rotta Balcanica?

Un simbolo di forza, coraggio e perseveranza: è questo che per Valeria rappresentano i piedi che ha deciso di fotografare, che ci raccontano, prima che un viaggio, sofferenza e speranze di giovani in cammino

Scritto da Valeria Capillupo, Casco Bianco in Servizio Civile con Caritas Italiana a Valjevo

Nei mesi trascorsi come operatrice in un centro di accoglienza e transito in Serbia lungo la Rotta Balcanica ho visto tanti occhi, ho sentito tante voci parlare di sogni e di attraversamenti di frontiere. Ho visto molte ferite, visibili e non, e ho visto come appaiono i piedi lungo la Rotta Balcanica. Piedi stanchi, gonfi, sanguinanti, che camminavano in mezzo ad altri o da soli; piedi che correvano, ballavano, zoppicavano; piedi freddi, bagnati, sudati e sporchi, chiusi in scarpe rotte, troppo grandi o troppo piccole. Quei piedi portano il peso di una vita passata e la speranza di una nuova, verso la quale non hanno mai smesso di camminare.

Ecco perché ho deciso di fotografare questo simbolo di forza, coraggio e perseveranza nella più evidente e a tratti cruda realtà. Sono piedi che arrivano da diversi continenti, che hanno attraversato quasi interamente la penisola Balcanica e che forse hanno raggiunto la meta prefissata in quell’Unione Europea che sempre di più esternalizza le proprie frontiere proprio per impedire a questi piedi di varcare i suoi confini.

H., 16 anni – Afghanistan. Ha camminato per settimane per raggiungere la Serbia con le scarpe rotte e i piedi gonfi. Prima di attraversare il confine Bulgaria – Serbia è stato bloccato in Turchia per quasi tre anni dove ha lavorato in una fabbrica per poter mettere da parte i soldi necessari per proseguire il suo viaggio verso l’Unione Europa. H. si è fermato poco in Serbia, giusto il tempo di riposarsi, riposare i suoi piedi gonfi e ripartire. Con un nuovo paio di scarpe.

A., 17 anni – Somalia. È arrivato nel centro di accoglienza zoppicando, dopo quasi quindici giorni di cammino insieme ad altri due suoi amici che si sono fermati insieme a lui mettendo in pausa il loro viaggio verso l’Unione Europea. Sono stati fermi forse tre settimane prima di decidere di continuare il loro viaggio nonostante le ferite fossero ancora doloranti e sanguinanti. L’assistenza medica nei centri di accoglienza e transito non è sempre garantita e anche recarsi in ospedale è difficile soprattutto se il centro di accoglienza si trova in zone isolate, lontano dai centri abitati come nel caso della Serbia. Anche le condizioni igieniche non sono ottimali per chi ha ferite infette che andrebbero pulite e medicate più volte al giorno. E, nella maggior parte dei casi, né le istituzioni né le organizzazioni che lavorano nei centri di accoglienza e transito hanno abbastanza scarpe nuove o ciabatte pulite da dare a chi ne ha palesemente bisogno.

F., 18 anni – Afghanistan. C’è anche chi, come F., nonostante il clima gelido e la neve, decide di non indossare le scarpe nuove destinate al prossimo “viaggio” per paura di rovinarle e di attraversare così boschi e confini senza le calzature adatte.

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