Albania Caschi Bianchi

LA TERZA VIA POSSIBILE

Una riflessione, quella di Aurora, sull “altra faccia del Servizio Civile” e sulla possibilità di una terza strada da percorrere, che necessità di creatività, flessibilità e adattamento

Scritto da Aurora Incitti, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 tra Tirana e Scutari

Ormai il mio anno di Servizio Civile è oltre la metà. E posso dire che tutto sommato va bene. Lo descriverei un po’ come una sfida. Come una partita in cui si hanno più vite e le carte imprevisto; in cui si ha l’aiuto di strumenti e la possibilità di riscatto; un esito negativo, ma anche un probabile risvolto positivo. Come una sfida in cui si ha la possibilità di mettersi in gioco, trovare quale sia la strada migliore per noi e in cui non si è mai soli nell’affrontare le varie situazioni.

Partire per un anno di volontariato all’estero senza sapere bene a cosa si va incontro, è emozionante ma non semplice. La realtà che ci si aspetta di trovare spesso si basa sulle esperienze di chi già la ha vissuta e su ciò che si può sognare. Questo talvolta può creare una dimensione immaginata che non sempre combacia con quella reale.

Quando si decide di partire si è carichi di aspettative, anche affermando il contrario. Tra tutte, la più forte, penso sia quella che l’esperienza vada per il meglio. Ma la realtà, molte volte è più tosta di quello che ci si aspettava.

Credo che la soluzione – il giusto compromesso tra l’immaginato e il reale – abbia solo bisogno di tempo. Credo abbia bisogno di scontrarsi con la quotidianità dei progetti e delle persone che incontreremo. La somma di questi due elementi dà l’esperienza compiuta con tutte le sue sfaccettature. È una questione di compromesso, di adattamento, di capire quanto spazio dare a ciò che incontreremo e quanto rimanere fedeli a ciò che si è.

Il percorso di Servizio Civile, è una scoperta dell’altro, del diverso da noi che talvolta può mettere in crisi.

Mi spiego. Incontrarsi o meglio, scontrarsi con il diverso, con una realtà nuova che, a differenza da altre esperienze che si possono vivere in Italia, ha anche un bagaglio culturale, sociale e storico diverso, non è semplice. Talvolta anche la lingua è una barriera che pone davanti alla difficoltà di comunicare e comunicarsi. E’ una realtà fatta da persone con cui dobbiamo creare relazioni e fiducia. Persone inserite in un contesto da molto più di noi che siamo solo di passaggio. Persone che hanno, come noi, un bagaglio passato, magari complesso, che non conosciamo e di cui non possiamo avere la pretesa di conoscere ogni parte.  E poi ci sono le mille varianti e sfumature che ogni situazione, persona incontrata e ogni periodo storico porta con sé. Ci sono gli imprevisti che non dipendono da noi e le crisi personali.

Oltre che ad incontrare il diverso, penso sia anche un percorso di scoperta di se stessi. Un costante patteggiare e arrivare a compromessi con ciò che eravamo, ciò che abbiamo lasciato, ciò che incontreremo e ciò che diventeremo. Spesso si sente dire che alla fine di un’esperienza molto impegnativa, difficile ma anche bella, non si è più gli stessi. E forse è proprio così. Ad oggi anche io non credo di essere la stessa di quando sono partita. Un continuo ascolto di me, delle mie inadeguatezze, dei miei fallimenti, sta creando la persona che sono ora.

E penso di parlare per molti.

Quando parlo di fallimenti, voglio riferirmi a ciò che spesso è taciuto. Parlo di quella parte di cui non si parla abbastanza. Si tratta dell’altra faccia del Servizio Civile. Di quella parte difficile e faticosa che non sempre permette di vedere il lato positivo. Ci sono alcuni momenti in cui ci si sente incompatibili con le situazioni, con le persone incontrate, altre in cui i nostri valori e ideali si scontrano con qualcosa che per noi è inconcepibile. E tutto ciò porta a una gran fatica, a un senso di inadeguatezza, a stress e ansie. E quando ci si trova davanti a ciò spesso ci si trova davanti al fallimento del proprio progetto di Servizio Civile.

Una realtà come questa, però, non per forza ha due possibilità: che vada tutto bene o che vada tutto male. Queste due scelte penso non abbiano in sé una vera crescita, o almeno una crescita continua. E allora quale delle due strade, già stabilite e scritte, si dovrebbe scegliere? Continuare o abbandonare il percorso?

È qui che nasce la possibilità di una terza via, il pensare in modo creativo, il creare e scegliere in modo divergente una strada nuova che ribalta quelle già esistenti. Una strada che può rendere protagonisti, permettendo di costruire qualcosa di personalizzato e più conforme a ciò che siamo.

È una scelta che fa stare bene. Questo non vuol dire per forza continuare il Servizio Civile. Una terza via può essere anche il cominciare qualcosa di nuovo, che diverge dai piani che si avevano, a casa propria. Quello che fa la differenza, credo, sia l’aver fatto quel passaggio in più. Quel mettersi in ascolto di sé e farsi accompagnare dalle persone e dagli strumenti che ognuno di noi ha a disposizione. Quella ricerca interiore per capire effettivamente per cosa siamo portati e cosa ci viene chiesto dal noi di quel momento storico. Solo dopo aver fatto questo passaggio si può arrivare alla certezza che non per forza una cosa che avevamo progettato e immaginato, su cui avevamo riposto molte speranze, sia una sconfitta. E’ solo un cambio di rotta verso una direzione più favorevole.

Ad oggi sono quasi tre mesi che ho cambiato le modalità di portare avanti il progetto in Albania  e, dopo aver riflettuto molto, credo un po’ di meno di aver fallito. Mi sento invece più sicura, dopo aver  ricominciato da capo, provando a seguire quella terza via favorevole costruita insieme.

Per concludere, mi viene in mente quando in alcuni giorni di solitudine dei primi mesi, vedevo passare nella strada di casa gruppi di capre e mucche, simbolo della contraddizione di una città, Tirana, che si mostra metropoli moderna  ma che non rinuncia alla bellezza e alla semplicità del mondo contadino e tradizionale, anche io allo stesso tempo vivo le mie contraddizioni interiori, passando dal non sentirmi in grado e vedere intorno a me solo negativo, per poi ricordarmi sporadicamente che, invece, c’è anche del bello; passando dall’essere frenata in quello che desidero essere e desidero fare a causa di quello che sono realmente. Poi, però, ci ripenso e metto l’anima in pace. Queste contraddizioni esistono e, a volte, basta solo non dargli troppo peso.

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