Corpi Civili di Pace Perù

CCP: Conversando con il Perù

Episodio quattro: Voci dalla capitale

Scritto da Cecilia Sartori, Corpo Civile di Pace con FOCSIV

“Voci dalla capitale” è l’ultimo episodio della serie di testimonianze “Conversando con il Perù” sul tentato colpo di stato avvenuto nel paese latinoamericano a metà novembre. La raccolta è stata curata da  alcuni Corpi Civili di Pace che hanno svolto il loro servizio nel paese fino a marzo 2020: Alessia Martoscia con Progettomondo MLAL a Juliaca, Cecilia Sartori con FOCSIV a Lima, Maria Casolin con IBO Italia a Paita e Marta Rossini con FOCSIV a Otuzco.

Adiós señores Presidentes.
“Non ricordo un periodo in cui il Perù abbia navigato acque tranquille da un punto di vista politico” esordisce F., studente di storia contemporanea all’Università San Marcos di Lima. Mi racconta per messaggio le ragioni delle proteste che un mese fa hanno interessato l’intero Paese. “Tuttavia” continua “è dal 2000, quando abbiamo rimosso la dittatura di Fujimori, che non abbiamo avuto un così grande pericolo per la nostra libertà”. Nel giro di una settimana, il Perù ha sventato un golpe parlamentare iniziato con la destituzione del Presidente della Repubblica, Martín Vizcarra, ad opera di un gruppo di congressisti “legati al fujimorismo[1], con tentacoli nel sistema giudiziario e in alcuni mezzi d’informazione per appropriarsi del governo e mettere fine a vent’anni di democrazia”. Questo quanto ha riportato La República, una delle principali testate nazionali, lanciando un appello ai cittadini peruviani di disobbedienza al governo usurpatore. “I cospiratori hanno messo il loro capo al posto di Vizcarra, capisci? È così che è nato il nuovo governo di Manuel Merino”, mi spiega F.. Ma l’intensa pressione esercitata dai cittadini in risposta alla decisione autoritaria del Congresso ha costretto Merino alle dimissioni, riportando la democrazia nel Paese. Ora il Perù conta su un nuovo Presidente delle Repubblica, Francisco Sagasti. Allineato con il centro-destra liberale e nominato per il profilo tecnico (fu consulente per la Banca Mondiale), sarà a capo del governo di transizione che guiderà il Paese fino alle elezioni presidenziali di aprile 2021.

In Limae limes.
La voce della piazza ha sconfitto la minaccia antidemocratica, ma ha pagato il successo ad un caro prezzo. La violenza della polizia nella repressione delle proteste pacifiche si è scagliata sui manifestanti in tutta la sua brutalità specialmente a Lima, sede del mio progetto CCP, dove il bilancio della settimana di rivolte è stato tragico. Due ragazzi giovani, di 22 e 24 anni, sono stati uccisi dalla polizia e centinaia di manifestanti feriti. Altri non hanno fatto ritorno a casa e sono stati detenuti arbitrariamente per 48 ore. Le immagini della ferocia delle forze dell’ordine hanno fatto il giro del mondo e hanno costretto Merino alle dimissioni quando hanno raggiunto l’apice con la morte dei due giovani. “Tutti hanno visto i video dei crimini commessi dai poliziotti durante le proteste e nonostante questo nessuno risponderà di questi reati. È per fare questo che la polizia vuole l’impunità?” scrive J.A. sul suo profilo Facebook. Il riferimento è alla controversa legge n° 31012 sulla protezione della polizia che legittima gli agenti all’uso della forza anche quando non proporzionale alla minaccia ed esonera gli ufficiali dalla responsabilità penale delle loro azioni.

#LoiSecuriteGlobale made in Perù.
“Questa legge non dà impunità alla polizia” assicurava l’allora presidente del Congresso Merino poco dopo l’approvazione avvenuta a fine febbraio 2020. E dalle pagine de El Comercio continuava: “I colpevoli di abuso di autorità o uso improprio delle armi saranno condannati. Solo saranno esonerati dalla detenzione preventiva”. Ma le denunce delle organizzazioni sociali vicine alle vittime di soprusi commessi dalla polizia hanno mostrato un’altra realtà, fatta di violenze, repressioni e, soprattutto, impunità. “Le strategie adottate nelle manifestazioni a Lima per controllare la protesta sociale e la brutalità della polizia non sono nuove” segnala in un comunicato Red Muqui, ente presso il quale ho svolto il mio progetto CCP. L’ong, formata da una rete di associazioni attive in gran parte del territorio nazionale, da anni segnala gli abusi sistematicamente perpetrati dalla polizia nel contenimento delle contestazioni sociali nei conflitti legati a progetti minerari estrattivi. Il comunicato riporta alcuni dei casi più esemplificativi. “Era il 2003 quando 33 contadini di Yanta e Ayabaca furono rapiti e torturati (uno di loro morì) per essersi opposti al progetto minerario Rio Blanco a Piura. Nel 2015, il membro della comunità Quintino Cerezeda è stato assassinato per aver protestato contro il progetto Las Bambas ad Apurímac e in Valle de Tambo (Arequipa) negli ultimi 10 anni, 7 persone sono state uccise e dozzine di leader sociali sono stati criminalizzati per essersi opposti al progetto minerario Tía María”.

Il progetto minerario must go on.
Alla maggior parte di questi delitti corrispondono sentenze sospese o processi mai iniziati e altri, pochi, hanno trovato giustizia solo all’estero. È il caso del sopracitato Proyecto Rio Blanco (caso Majaz), dove la società britannica proprietaria del progetto minerario ha accettato di risarcire i torturati e i parenti del contadino morto a patto che i querelanti chiudessero la causa intentata davanti all’Alta Corte britannica. Le multinazionali straniere delle materie prime sono spesso complici delle violenze perpetrate dalla Polizia Nazionale del Perù (PNP) nei confronti delle comunità che si oppongono allo sfruttamento delle risorse del loro territorio. Questo perché si assicurano la realizzazione dei progetti estrattivi a qualunque costo, anche favorendo la repressione brutale delle proteste sociali. Tali meccanismi illeciti messi in campo all’estero dalle corporazioni sono però finiti negli ultimi anni nell’occhio del ciclone nei paesi dove le multinazionali hanno sede e hanno dato il via al dibattito pubblico sulla responsabilità dei reati commessi dalle imprese all’estero. In Italia ha portato al processo ENI-Shell per corruzione internazionale aggravata e reati ambientali in Nigeria, mentre in Svizzera, nazione dei giganti delle materie prime, si è tradotto in un’iniziativa popolare per modificare la Costituzione. Ma il referendum del 29 novembre 2020 per introdurre responsabilità ambientali alle imprese anche all’estero è stato bocciato dai Cantoni. Probabilmente perché ostacolato da una forte campagna sull’importanza delle multinazionali per l’economia svizzera in termini di entrate fiscali e di impieghi. Il no dei cittadini svizzeri ha dato una brusca frenata alla speranza di mettere fine a queste pratiche brutali e per la provincia di Espinar (Cusco – Perù) dove la multinazionale svizzera Glencore opera, significa altra violenza e impunità.

Back in Perù. La 31012 no va.
“Le vittime nei conflitti tra le aziende minerarie e comunità locali” prosegue il post di J.A. “non sono abbastanza per loro. Non basta che la polizia persegua e punisca con il carcere chi porta avanti proteste sociali. Ora anche con i normali cittadini che scendono in strada a protestare se la prendono. Tutto questo è inaccettabile in un Paese democratico. La protesta è un diritto, mentre la repressione è un crimine”. La morte dei due giovani Inti e Bryan ha messo davanti agli occhi di tutti i peruviani la catena di abusi della PNP, che difficilmente riuscirà a mettere tutto a tacere. La legge di protezione della polizia fa ora, infatti, i conti con un’opinione pubblica consapevole che a gran voce chiede giustizia per gli abusi di novembre. “Inti y Bryan meritano giustizia e la loro morte non rimarrà impunita” ha twittato il Presidente Sagasti cercando di riconquistare la fiducia della cittadinanza nella polizia. A tal fine, il nuovo mandatario ha mosso il primo passo importante annunciando in un messaggio al Paese “la creazione di una commissione per modernizzare l’istituto di polizia, nonché la nomina di un nuovo comandante generale”. Altri 3 tenenti e 15 generali sono stati rimossi dal ruolo e un’indagine nei confronti di Manuel Merino e Antero Flores-Aráoz, suo primo ministro, con l’accusa di omicidio colposo, lesioni gravi e sequestro è stata avviata. L’annunciata riforma della polizia ha aperto uno spiraglio per la ridiscussione in parlamento della 31012 e il rinnovo dell’Alto Comando di Polizia fa sperare che le responsabilità degli abusi non ricadano unicamente sugli esecutori degli ordini, ma anche sui piani alti da cui sono partiti. Le misure hanno tamponato la rabbia della popolazione, ma lo scetticismo tra i cittadini è rimasto però alto, mi fa capire F..

Polveriera politica.
“Se ci mettessimo a fare un’indagine seria sulla crisi politica e cacciassimo dal Congresso i parlamentari invischiati nel golpe, rimarrebbero ben poche persone al Congresso” dice F.. Merino è rimasto alla guida del Paese per soli sei giorni e ora non rappresenta più una minaccia per il Perù. “Ma i parlamentari che lo hanno appoggiato stanno ancora al loro posto” continua. “Che un parte del Congresso volesse mettere fuori uso Vizcarra” mi spiega ancora F. “non era un mistero. Un primo tentativo di sfiducia contro di lui era già stato architettato a settembre, ma era fallito per mancanza di voti. Ottenere la maggioranza di 105 congressisti (su un totale di 130) ricorrendo all’accusa di indegnità morale prevista dalla Costituzione per dimetterlo, beh…sembrava impossibile. Eppure in Perù, come sai, siamo abituati ai colpi di scena”. La butta sul ridere, facendo ritornare la memoria al nostro primo incontro avvenuto in una piazza di Lima gremita di cittadini esasperati dal malgoverno. Era la fine di settembre 2019 e Vizcarra aveva appena sciolto il Congresso e indetto nuove elezioni per il gennaio dell’anno successivo.In effetti, negli ultimi quattro anni non sono mancati i colpi di scena in Perù. Ripercorrendo brevemente l’ultima legislatura, si va dalla destituzione del presidente regolarmente eletto nel 2016 (Kuczynski) per corruzione nel 2018, all’affidamento della carica a uno dei vicepresidenti (Vizcarra) sfiduciato esattamente per lo stesso reato nel 2020, ma che prima di ciò era stato già sospeso dalle funzioni, e sostituito dalla vicepresidente (Mercedes Aráoz) fino alla rinuncia della stessa, per – come anticipato – aver sciolto anticipatamente il Congresso e indetto elezioni parlamentari straordinarie.

Gli spettri del passato.
Il breve riepilogo, volutamente disorientante, dà un’idea del livello di complessità della situazione politica in Perù. F. mi ricorda che la precarietà della nazione viene da lontano e mi confida che la cosa che lo stupisce di più in questo momento “non sono le azioni politiche della classe dirigente – verso la quale, capiamoci bene, non ho nessuna fiducia – ma la risposta popolare che queste hanno scatenato”. La transizione democratica iniziata con la fine del conflitto interno compie vent’anni quest’anno. Eppure, i movimenti sociali subiscono ancora le stesse ritorsioni di allora: essere parte di un movimento sociale organizzato significa essere un terrorista, nemico dello Stato  e bersaglio numero uno.

La bussola della piazza.
I mesi trascorsi nella capitale come CCP mi avevano dato un assaggio dell’intricato groviglio di contraddizioni che compongono le fondamenta del Perù e qualcosa sul fatto che la Straordinarietà fosse la reina (regina) indiscussa delle danze nel paese andino non mi era nuovo. Le chiacchierate con F. davanti a qualche cusqueña negra (birra peruviana) mi avevano consegnato una sorta di mappa per muovermi un po’ meno alla cieca nella tormentata politica peruviana. Tuttavia, il mio stupore per la portata delle azioni politiche era tale da guardare con occhi sognanti la folla che riempiva le strade e le piazze della capitale, leggendo nelle proteste concrete possibilità di rinascita e cambiamento. E lo stesso pensai quando a novembre le strade di Lima tornarono a riempirsi.

Perú despertó.
“Quella che era iniziata principalmente come risposta della classe media in rifiuto all’inaspettato vuoto presidenziale nel bel mezzo della crisi sanitaria ed economica che colpisce principalmente i settori più poveri” – scriveva sui social J., giovane attivista limeño – “sta gradualmente diventando una risposta popolare, ma non in difesa di Vizcarra, ma piuttosto di rifiuto di questo sistema politico ed economico che ha formalmente permesso la nomina di Merino”. Voci simili provenivano anche dai banchi del parlamento. Sull’account twitter di Rocío Silva-Santisteban, deputata del Frente Amplio (partito di sinistra) e candidata senza successo alla presidenza della Repubblica dopo la rinuncia di Merino, si leggeva: “L’indignazione è contro il sistema politico, contro tutti i politici, anche contro di me”. J. continuava il suo discorso: “La stessa democrazia che alcuni pretendono di difendere ha permesso il golpe. Ciò che è in gioco,quindi, non è solo la democrazia, ma la democrazia neoliberista della costituzione nata dalla dittatura del 1993 che ha permesso tutto quello che stiamo vedendo. Questo è ciò che deve cambiare e le persone se ne stanno rendendo conto”. È la lotta per una nuova Costituzione la vera partita che si sta giocando in Perù.

Piano piano, lontano lontano.
Con le dimissioni di Merino e la nomina di Sagasti, la crisi istituzionale è rientrata. Ma per il Perù, messo già a dura prova dalle difficoltà economiche e sociali strutturali e dalla crisi sanitaria innescata dal Covid, si prospetta un periodo difficile. Capendo la mia preoccupazione, F. mi saluta con un messaggio fiducioso: “La situazione è complessa, ma ci sono speranze. Dovremmo lavorare il doppio, tenere la guardia alta e rafforzare i movimenti sociali, ma – come dicono nel tuo Paese – piano piano, lontano lontano”.

[1] Ideologia politica di stampo populista facente riferimento alla dittatura di Alberto Fujimori (1992- 2000)

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