Colombia Corpi Civili di Pace

Comunità e partecipazione, le vere “armi” del popolo Nasa

Persone brillanti e menti sorprendenti dalla capacità innata di ispirare

Scritto da Giulia Caramaschi, Corpo Civile di Pace con CISV – Focsiv a Toribìo

Toribío, comune nel dipartimento del Cauca, da qualsiasi altura o vallata lo si guardi, con la sua natura e chi la abita, da l’impressione di “emanare” una forza intrinseca, quasi magnetica, impregnando l’aria che avvolge le montagne e impossessandosi di tutti coloro che sono in grado di percepirla.

Sono trascorsi quasi sette mesi dal primo giorno in cui vi ho messo piede e, dopo i primi sei decisamente complessi, incerti, instabili, l’ultimo appena passato mi ha ricaricato di un’energia diversa, particolare, che non credo di aver mai sperimentato prima e che fatico a spiegare persino a me stessa.

Sarà perché il progetto in cui sono inserita come Corpo Civile di Pace, Tejiendo Caminos de Paz, è entrato in una fase tanto importante quanto delicata: in rappresentanza di tutta la comunità di Toribío, 40 persone si sono volontariamente impegnate a elaborare una proposta concreta di advocacy che dia spazio e priorità a interventi volti alla costruzione della pace nel territorio, da presentare all’amministrazione locale nelle prossime settimane, affinché venga inserita all’interno del nuovo Piano di Sviluppo Locale (Plan de Desarrollo Territorial, PDT) in corso di definizione. Il Piano verrà approvato verso fine maggio e guiderà il lavoro delle autorità municipali per i successivi quattro anni, un’occasione da non perdere per “essere influenti”.

Il tempo stringe, il lavoro da fare è molto, rischioso e articolato e la responsabilità di cui questi quaranta hanno deciso di caricarsi è notevole. Eppure sono tutti lì, insieme, riuniti in cerchio, dentro una sala del CECIDIC senza vetri alle finestre, sotto un tetto che surriscalda l’ambiente rendendo la temperatura infernale, tutti lì che tessono i loro “compromisos”, una sorta di acchiappasogni tempestati di perline colorate, tante quante sono le soluzioni trovate alle problematiche trattate durante i laboratori. Alternandosi, appiccicano post-it fluorescenti ai rami di un albero delle idee disegnato e sdraiato sul pavimento.

Li osservo mentre dibattono, si danno la parola, commentano, ascoltano, ridono. Li osservo e vedo un esempio splendido di eterogeneità unita da e per un obiettivo che è – prima di tutto e indifferentemente – dell’intera comunità. Certo, dentro questo gruppo ci sono personalità, caratteri, talenti, professioni, vite, umanità diversi, ma nessuno tra questi è o si sente più prezioso di un altro, e trovo che il modo in cui si rispettano reciprocamente, a prescindere, sia meraviglioso.

Dalla mayora R., che quando le consegnano matita e post-it verde dove scrivere la sua proposta per rafforzare la partecipazione giovanile nel Municipio, mi sussurra: “A malapena so leggere, ho la seconda elementare, però ho delle idee, delle buone idee! Se te le dico, puoi scrivermele tu?” e, malgrado le sue difficoltà, non perde un appuntamento con le attività del progetto;

a J.F., che ha trasformato la sua passione per il birdwatching (come lo chiamerebbe la Lonely Planet) in un libro a disposizione della comunità in cui gli innumerevoli uccelli che si possono incontrare nel territorio sono classificati secondo la simbologia ancestrale dei Nasa (geniale!);

da J. e la mayora E., membri del Movimento delle Donne di Toribío, di cui faceva parte anche la Neehwe’sx Cristina Bautista assassinata a fine ottobre 2019, che dopo un periodo di silenzio sono tornate più agguerrite di prima;

a doña N., che ho conosciuto come cuoca taciturna nella mensa del CECIDIC ma che durante i laboratori espone senza timore i risultati dei gruppi di lavoro al microfono;

da M., insegnante che, piuttosto di perdersi i laboratori, viene con i figli piccoli;

a C., che a soli 21 anni è coordinatrice del Movimento delle Donne di Toribío da giugno 2019, mamma di una bimba di otto mesi con cui a dicembre ha volato in Messico all’incontro annuale delle donne zapatiste, e nel weekend studia comunicazione nel comune di Silvia, che dista tre ore in chiva [bus locale, ndr];

al rettore J., le cui parole toccano sempre un tasto ben nascosto dentro di me, la commozione, che ha concluso uno dei laboratori sull’advocacy politica citando il libro “Decolonizzare il pensiero critico e la pratiche emancipatrici” di Raúl Zibechi: “L’unica via d’uscita per i colonizzati per non ripetere, ancora e ancora, la terribile storia che li mette al posto del colono, è la creazione di qualcosa di nuovo. È il modo in cui i dominati possono smettere di fare riferimento ai dominanti, desiderare la loro ricchezza e il loro potere, perseguire il loro posto nel mondo”.

Li osservo e mi dico che dev’essere questa la forza intrinseca e magnetica che si percepisce entrando in questo territorio. Non c’è spazio per l’individualismo, l’egoismo, la competizione.

Al contrario, ogni conversazione, esempio citato, circostanza, evento, esperienza vissuta ha come cornice la compattezza comunitaria e la condivisione, le uniche vere armi con cui da sempre si difende il popolo Nasa. Non a caso, alla domanda “cosa significa partecipazione?”, la risposta più quotata nel gruppo è stata “un dovere che tutti abbiamo verso gli altri”.

Questo posto brulica di persone brillanti e menti sorprendenti, non solo per l’orgogliosa alterità che mantengono rispetto a qualsiasi tipo di mente di “colonizzatore europeo”, come potrebbe essere la mia, ma soprattutto per la capacità innata di ispirare. L’ho sempre saputo, o almeno l’avevo sempre sentito dire dai colleghi, ma aver avuto la possibilità di essere realmente, con tutta me stessa, presente qui me ne ha dato conferma e mi ha permesso di esserne a mia volta travolta e ispirata.

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