Corpi Civili di Pace Senegal

Essere Corpo Civile di Pace in Senegal

Ovvero guadagnarsi credibilità e affidabilità.

Scritto da Alessandra A. Maiorano, Corpo Civile di Pace con Cps – Focsiv a Mbour

A cinque mesi dal mio essere qui a Mbour in Senegal, oggi provo a scrivere due righe sulla mia esperienza. Il comune di Mbour conta 250.000 abitanti., Il 75,9% dei cittadini ha meno di 35 anni. Il 4,9% supera i 60 anni (dati comunali del 2018). Popolazione giovane, in linea con i dati nazionali che vedono una media d’età di 19 anni. La città di Mbour si trova nella regione di Thies, una delle 14 regioni del Senegal.

Essere un corpo civile di pace è un’esperienza complessa, interessante e in un certo senso molto rischiosa. Rischiosa non per la mia persona, rischiosa in termini di messaggi erronei che noi immigrati possiamo far passare alle persone del posto. Penso a quanti danni possono essere fatti, a quante false credenze possono essere sviluppate, a quanti stereotipi negativi possono essere alimentati se il “volontario” non riflette su ogni sua azione prima di farla e mentre la fa, e perché no, anche a fatto compiuto per elaborare l’esperienza. Essendo un programma sperimentale poi, il corpo civile italiano non è conosciuto qui, diversamente dai corpi civili di altri Stati, come ad esempio i peace corps americani ai quali veniamo spesso associati.

Rischioso anche è essere accomunati al lavoro di qualcun altro, ognuno ha i suoi obiettivi, ognuno i suoi valori e metodi. La mia personale sensazione quotidiana è doversi quindi guadagnare una costante credibilità. Credibilità in quanto professionista, credibilità in quanto corpo civile italiano, credibilità in quanto italiana e credibilità in quanto donna. Una sensazione che mi accompagna ogni giorno in modi diversi. Credibilità, affidabilità e giudizio.

Il giudizio a priori sui bianchi ad esempio, è frutto di accadimenti storici ed anche tante piccole azioni quotidiane che alcuni perseguono ancora oggi accompagnati dal tipico atteggiamento umano di generalizzare ogni cosa raggruppando le persone in macro categorie più facilmente identificabili e dalle quali quindi, possiamo difenderci. Ma quanto è difficile smantellare un giudizio a priori quando tanti occidentali che arrivano in queste terre ancora oggi alimentano quel pregiudizio! Quante persone che partono portando con sé spirito deleterio di pietismo o d’altra parte di predazione puntando a nuovi modi di sfruttamento e sottomissione!

Dopo cinque mesi in Senegal o meglio a Mbour, non mi sento di conoscere questa terra, consapevole di non sapere, non basterebbero anni per poter parlare del Senegal raccontando la complessità di questo paese. Dobbiamo far attenzione ai nostri racconti e ai messaggi che veicolano. Attenzione a descrivere i fenomeni e ancora di più a dare giudizi affrettati su di essi. Sono un corpo civile di pace e il mio ambito d’intervento è la protezione dell’infanzia, nello specifico ci occupiamo della tematica degli abusi sessuali su minori. Settore complesso, talmente delicato da aver bisogno di una riflessione costante e una prudenza nell’azione.

L’esperienza dei corpi civili di pace, come il servizio civile all’estero, è un’esperienza totalizzante che dovrebbe essere fatta solo da persone preparate e motivate. Gente appassionata per il proprio lavoro che sa cosa sta facendo e, là dove non sia così, è capace di riconoscerlo, di fermarsi e chiedere aiuto imparando dall’altro. Qui non si gioca. Questo lavoro non è tante cose. Non è un lavoro per avere uno stipendio, non è un pulirsi la coscienza, non è un “vado ad aiutare i più sfortunati”, non è un fuggire dal proprio ambiente.

Essere un corpo civile di pace in Senegal è un’esperienza che deve metterti in discussione, un lavoro in cui dare il meglio di sé imparando non solo dagli altri ma da se stessi, un’esperienza da fare con la mente aperta e una voglia sincera di conoscere l’altro da sé con una voglia pulita di esserci e perché no, un voler lasciare traccia. Una traccia vera, sincera, interessata a una cooperazione sostenibile e di qualità.

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