Burkina Faso Caschi Bianchi

Il sogno di un uomo integro: Thomas Sankara

Il 15 ottobre del 1987, Thomas Sankara fu brutalmente ucciso in una congiura. A 30 anni dalla sua morte, vorrei ricordare e far conoscere un personaggio politico che non trova accoglienza nei libri di storia “occidentali” eppure il primo presidente del Burkina Faso è simbolo, ancora attuale, di un impegno politico, volto al raggiungimento concreto della felicità del popolo.

Scritto da Gennaro Cataldo, Casco Bianco APG23 a Santiago del Cile

La vita di Sankara è stata fortemente intrecciata all’arido passato coloniale e al preoccupante sviluppo neocoloniale del suo paese. Thomas Isidore Noël Sankara nacque il 21 dicembre 1949 a Yako, nell’Alto Volta, una colonia francese che venne dapprima smantellata nel 1932, per poi essere ricostituita nel 1947 e raggiungere un’apparente indipendenza il 5 ottobre del 1960.

“Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo”
Il 4 agosto 1983 inizia la “rivoluzione sankarista”. Nel suo discorso alle Nazioni Unite, il 4 ottobre 1984 Thomas Sankara così descrive i giorni della rivoluzione: “È questo che noi, popolo burkinabé, abbiamo capito la notte del 4 agosto 1983, quando le prime stelle hanno iniziato a scintillare nel cielo della nostra terra. Abbiamo dovuto guidare la rivolta dei contadini che vivevano piegati in due in una campagna insidiata dal deserto che avanza, abbandonata e stremata dalla sete e dalla fame. […] Abbiamo dovuto sostituire per sempre i brevi fuochi della rivolta con la rivoluzione, lotta permanente ad ogni forma di dominazione. Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere ad una maggiore felicità. […] Respingere l’idea di una mera sopravvivenza e alleviare le pressioni insostenibili; liberare le campagne dalla paralisi e dalla regressione feudale; democratizzare la nostra società, aprire le nostre anime ad un universo di responsabilità collettiva, per osare inventare l’avvenire”.

“Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un paese povero”
Il programma politico di Thomas Sankara fu piuttosto ricco e variegato, diretto a rispondere in modo profondamente umano e concreto alle esigenze più recondite del fasce più deboli.
La prima pietra di questo nuovo stato fu sicuramente rappresentata dal cambiamento del nome da Alto Volta in Burkina Faso. Il nome Alto Volta ricordava il triste passato di sfruttamento coloniale mentre il nome Burkina Faso appartiene alle tradizioni e alla lingua del popolo situato nell’Africa sub-sahariana; il suo significato è il ”Paese degli Uomini Integri”.
Thomas Sankara scelse di vivere la stessa condizione del suo popolo; di sera visitava in bicicletta alcuni villaggi per conoscere e toccare con mano la situazione di disagio e sofferenza della sua gente. Il presidente burkinabé riteneva impensabile che una classe dirigente ricca guidasse un paese dalle poche risorse, per questo abolì diversi privilegi per sé e decise di tagliarsi lo stipendio, mentre i suoi ministri potevano solo volare in classe turistica. Sankara voleva che il personale statale sentisse sulla propria pelle i sacrifici e la fatica del 98% della popolazione dedita all’agricoltura, per questo promosse una campagna in cui i funzionari svolgevano attività agricole e che vedeva assegnato a ciascun ministero un campo da coltivare.

“La donna è solidale con l’uomo”
Con la rivoluzione dell’agosto del 1983, il capitano Sankara voleva creare una rottura con la società primitiva, patriarcale e poligamica dove la donna è “un oggetto di sfruttamento rispetto alla sua forza lavoro, e di consumo rispetto alla sua funziona biologica”. La nuova società burkinabé doveva lottare per l’uguaglianza della donna e la sua complementarietà con l’uomo. La lotta alla prostituzione, al vagabondaggio, al matrimonio forzato e all’infibulazione rappresentò solo una parte dell’immensa azione intrapresa dal governo sankarista. Il presidente burkinabè chiamò, contrariamente a quanto accadeva in molti paesi africani, le donne a ricoprire cariche ministeriali o ruoli di elevata responsabilità in diversi ambiti del tessuto sociale. Sankara istituì la campagna “i mariti al mercato” per far comprendere agli uomini le difficoltà delle donne nella gestione della casa e nella cura della famiglia, soprattutto laddove gli uomini sperperavano i soldi spettanti al benessere del nucleo famigliare in alcol o prostitute. Il capitano riteneva fondamentale per la distruzione della società maschilista che la donna potesse accedere all’istruzione e al mondo del lavoro, garantendole l’indipendenza economica ma soprattutto un crescente ruolo sociale e una conoscenza più precisa e completa del mondo. “La donna parteciperà a tutte le lotte che intraprenderanno contro le pastoie della società neocoloniale e per la costruzione di una società nuova. Sarà associata a tutti i livelli di ideazione, decisione, esecuzione nell’organizzazione della vita di tutto il Paese. L’obiettivo finale di questa impresa è costruire una società libera e prospera in cui la donna sia pari all’uomo”.

“Lo schiavo che non prende la decisione di lottare per liberarsi merita completamente le sue catene”
Credere nel popolo e nella sua profonda volontà di riscossa e giustizia era l’idea trainante del movimento sankarista. Sankara credeva nel suo popolo e voleva aiutarlo a rinascere, garantendo dapprima il necessario soddisfacimento dei bisogni primari. La fame e la sete erano infatti considerati grandi nemici del processo democratico. Il popolo non doveva affannarsi nel placare la fame, né i contadini dovevano avere paura di come, arando i campi aridi, avrebbero nutrito i propri figli. La formazione dei contadini, la costituzione di cooperative, la costruzione dei silos come d’altronde anche la realizzazione di pozzi, bacini, dighe e l’istituzione del Ministero dell’Acqua rappresentarono le fondamenta del raggiunto obiettivo “due pasti e dieci litri di acqua al giorno per ogni burkinabé”.
Collaborazione e condivisione animarono dunque il rilancio economico del Burkina Faso ma grande priorità venne anche data ai diritti alla salute e all’istruzione. Il capitano, per sconfiggere l’alta mortalità infantile, avviò la vaccinazione di circa 2 milioni di bambini per malattie come il morbillo, la poliomelite e la meningite, ottenendo un grosso risultato certificato anche dagli apprezzamenti dell’Unicef. Prevenzione e costruzione di presidi sanitari in ciascun villaggio divennero emblema della politica sanitaria del governo sankarista. Per ciascun villaggio vennero poi appositamente formati un agente di salute e un’ostetrica perché la salute doveva essere universalmente garantita. In ciascun villaggio inoltre non doveva mancare anche una scuola. Si riteneva che il vero sviluppo poteva nascere dove moriva l’ignoranza e per questo venne avviata una campagna di alfabetizzazione che coinvolse 5 milioni e mezzo di burkinabé, adottando un iniziale apprendimento intensivo in 48 giorni, volto a dare conoscenze e tecniche di base.

“Il debito è riconquista organizzata dell’Africa”
Sankara non rappresentava soltanto il suo paese ma aveva a cuore anche la sorte di molti altri paesi africani e del mondo, soprattutto quelli già schiacciati dallo sfruttamento del colonialismo e successivamente dalle false promesse del neocolonialismo. Alla conferenza di Addis Abeba del 1987 Sankara affermava che il debito dei paesi africani non era altro che una riconquista, una manipolazione del futuro e della crescita dei popoli che sarebbero stati finanziariamente schiavi. “Quelli che ci hanno portato all’indebitamento hanno giocato come al casinò: finché ci hanno guadagnato, andava tutto bene; adesso che perdono esigono il rimborso. […] Non possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue. È il nostro sangue che è stato versato. […] No! Noi non possiamo essere complici. No, non possiamo accompagnare coloro che succhiano il sangue dei nostri popoli e che vivono del sudore dei nostri popoli.”
Nonostante il Burkina Faso fosse uno dei paesi meno indebitati, Sankara chiese di costruire con i governi convenuti alla conferenza di Addis Abeba un fronte comune per cancellare il debito imposto dagli ex paesi colonizzatori, quasi profeticamente il presidente burkinabé aveva dichiarato che se il Burkina Faso fosse rimasto da solo in questa lotta, egli stesso non sarebbe stato presente alla successiva conferenza.

Tristemente fu davvero così.

La sua uccisione, fatta passare fino al 2015 per un decesso avvenuto per morte naturale, ancora oggi è avvolta da cupe ombre e ipocrisie. Sankara era un personaggio scomodo ed un pericolo per i privilegi e le ingiustizie perpetrati dai poteri forti a livello locale e mondiale. Il sogno sankarista finì quel giorno in Burkina Faso portando con sé la speranza di un popolo che aveva creduto nelle proprie forze, che aveva visto una nuova vita e che ora ritorna ad affannarsi nel sopravvivere. Un sogno che pretese di andare ben oltre i confini storico-geografici del Burkina Faso:“Sì, vorrei parlare in nome di tutti gli “abbandonati del mondo”, perché sono un uomo e niente di quello che è umano mi è estraneo. La nostra rivoluzione in Burkina Faso abbraccia le sfortune di tutti i popoli; vuole ispirarsi alla totalità delle esperienze umane dall’inizio del mondo. Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo e di tutte le lotte di liberazione dei popoli del Terzo mondo. I nostri occhi guardano ai profondi sconvolgimenti che hanno trasformato il mondo.”

Al termine di questo piccolo percorso nel quale si è cercato di dare luce ai passaggi fondanti della vita e dell’impegno sociale e politico del presidente burkinabé, sembra importante interrogarsi su quanto ancora oggi i suoi ideali e il suo esempio siano vivi. Le sue lotte divengono sprone per tutto il continente affinché non solo il popolo burkinabé ma l’intero popolo africano senta nuovamente la certezza di contare sulle proprie forze, il coraggio di guardare alle nuove sfide sociali ed economiche con politiche più “umane”, giuste e che tengano conto delle particolarità di cui l’Africa si colora.
Seppur i notevoli tentativi di svilire o gettare nell’oblio il suo nome, Sankara ancora oggi vive. Vive nei cuori di chi crede che ogni rivoluzione debba avere come finalità ultima la felicità perchè per Thomas “la rivoluzione è la felicità”.

[1] La traduzione in italiano dei discorsi di Thomas Sankara è stata curata dalla giornalista Marinella Correggia. I discorsi tradotti sono presenti nel libro “Thomas Sankara. I discorsi e le idee”
[2] Per approfondire si consiglia anche la visione del documentario “Thomas Sankara – E quel giorno uccisero la felicità” di Silvestro Montanaro.

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