Eccola che arriva: la Giovi, la mia sorellina! In viaggio dall’Italia per paracadutarsi in una piccola isola della costa ecuadoriana: Muisne. Dopo aver salutato l’oceano, le palme de cocco, la spiaggia e soprattutto la gente di questo pueblo costeño, decidiamo di partire per una vacanza in Amazzonia, nell’oriente.
Nell’immaginario collettivo questa zona racchiude territori vergini di foreste, grandi fiumi e popolazioni ancestrali.
Stiamo seguendo i percorsi di una vacanza fai da te e quindi ci aspettano molte ore di autobus. Ci dirigiamo nella regione del Coca, nella zona nord est del paese, che ha come capoluogo la cittadina chiamata Puerto Francisco de Orellana, ma meglio conosciuta come città di Coca.
Da li partiamo in direzione della laguna di Limoncocha. Guardando fuori dal finestrino il paesaggio a volte è meno vergine di quanto ci aspettassimo: ai bordi della strada scorrono delle tubature e ci chiediamo a che servano. La risposta arriva quando passiamo di fronte a un centro di estrazione del greggio, dove delle inquietanti ciminiere bruciano con la tipica fiammata che si alza verso il cielo, il gas, residuo dell’estrazione del petrolio.
La maledizione del petrolio! La ricchezza di questa terra per quanto riguarda la presenza sotterranea di idrocarburi ha attirato a partire dagli anni ‘70 varie compagnie petrolifere che si sono addentrate nei territori più vergini alla ricerca dell’oro nero.
Arriviamo nella riserva di Limoncocha e troviamo ospitalità presso una famiglia locale che ai bordi della laguna ha costruito una cabaña, ossia una capanna, un rifugio per i turisti che passano a visitare questo paradiso naturale immerso nella serva amazzonica.
Attorno al fuoco la sera iniziamo a parlare con un altro ospite, un ragazzo italiano, un ricercatore che da quattro anni fa spola dall’Italia all’Ecuador per condurre delle ricerche sul tema del petrolio e sul suo impatto nell’Amazzonia. Torna quindi il tema del petrolio! Ci spiega che il petrolio amazzonico è tanto ma di cattiva qualità. Per far quadrare i bilanci multinazionali, quindi si punta sulla quantità. Le perdite dovute al cattivo stato delle tubature sono frequenti e vengono considerate di poco conto nei bilanci delle compagnie petrolifere. Capita così che le tubature nelle quali scorre il greggio inizino a perdere ma, a causa della mancanza di sistemi di sicurezza adeguati, nessuno se ne accorge finché un contadino non si rende conto che la sua finca (la sua campagna) è sommersa da un liquido nero. In molti casi le compagnie petrolifere dopo aver sganciato una manciata di monetine promettono di mandare qualcuno a ripulire la terra dal petrolio ma ciò nella maggior parte dei casi non avviene e la terra rimane improduttiva e contaminata. In queste zone la percentuale di cancro è molto più alta rispetto al resto del paese e in molte aree l’acqua e l’aria sono contaminate.
Riflettiamo sul fatto che in realtà molti viaggiatori che comprano escursioni in Amazzonia, pacchetti vacanza “all inclusive”, alla ricerca dell’avventura in the jungle, rimangono ignari della realtà sociale di ingiustizia e di sfruttamento che li circonda.
Dalla laguna di Limoncocha in compagnia del ricercatore italiano ci spostiamo in direzione di Dayuma per un’uscita nella selva con una famiglia locale che ci porterà ad accamparci per una notte nel cuore della foresta. Prima di partire per l’escursione ci fermiamo nella cittadina di Dayuma a comprare un po’ di provviste, scatolette di tonno, minestra liofilizzata e l’immancabile pacco di pasta.
A Dayuma incontriamo una signora con la quale ci mettiamo a conversare. Le chiediamo com’è la vita da quelle parti e lei poco a poco si lascia andare ai racconti. Ci dice che il governo ha fatto tante promesse ma ne ha mantenute poche. La gente è consapevole di vivere in una terra ricca di petrolio ma di questa ricchezza li si ferma ben poco e l’oro nero viene estratto per portare benefico ad altra gente. Manca un sistema sanitario adeguato in una terra contaminata dall’estrazione del petrolio. Ci sono numerosi casi di aborti spontanei e di nascite premature, la signora racconta che anche il bimbo che stringe fra le braccia è nato alla fine del settimo mese. Dove se ne va tutta la ricchezza portata dal petrolio? La signora si mette a ricordare e i suoi occhi si fanno lucidi. Ricorda ciò che accade tre anni fa, quando la gente di Dayuma e delle comunità vicine, stanca di tanta ingiustizia organizzò un “paro”, ossia un blocco del ponte vicino alla cittadina per far sentire la sua voce di protesta. Il paro riuscì a bloccare i rifornimenti energetici necessari agli impianti estrattivi per funzionare; come conseguenza arrivò l’esercito.
I militari assediarono Dayuma con la ferma intenzione di bloccare le proteste, iniziarono così le intimidazioni e molti uomini vennero caricati su dei furgoni in direzione del carcere di Tena con l’accusa di essere dei sovversivi. Questa è la parte più difficile da ricordare per la signora che dice che dopo quegli eventi è diventata claustrofobica e non riesce più a dormire se non con le finestre aperte. Anche alcuni suoi fratelli e cognati vennero incarcerati e costretti a vivere per tre mesi in condizioni raccapriccianti. Ammassanti in spazi angusti e insalubri con veri criminali che li picchiavano e che continuamente cercavano di estorcerli dei soldi. Ciò che la gente qui non può dimenticare è che oltre tutto il governo ha sempre negato quanto successe a Dayuma.
A Daiuma, sullo schermo di un portatile vediamo proiettate le immagini di un video, un video che parla proprio della contaminazione del petrolio e delle in giustizie vissute durante il paro di Dayuma. Questa immagini e testimonianze valgono più di mille racconti perciò ecco qui il link affinché questa piccola storia sia supportata da altri racconti.
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