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Caschi Bianchi Ecuador

Le grandi opere

Parallelismi tra isole in preda a mani e interessi più grandi di loro.

Scritto da Paolo Dal Santo, Casco Bianco FOCSIV a Muisne

Se in Italia si sente solo vagamente parlare di grandi opere la mente vola inesorabile a quella che è la più chiacchierata, progettata, propagandata e fantasticata costruzione di ingegneria civile e che dopo un lungo avvento ha preso il via, almeno con i lavori preliminari, il 23 dicembre 2009: il ponte sullo stretto di Messina.

Da qui, dall’altra parte del mondo, ho provato a chiedere a qualche amico il proprio pensiero a riguardo.

“Simo [1], cosa pensi del ponte?”

Simo: “Sarebbe molto più utile investire i fondi in qualcosa di più urgente per la città di Messina o per diffondere l’acqua che scarseggia in Sicilia e Calabria d’estate, oppure ancora più banalmente sarebbe più utile investire nelle reti ferroviarie.”

“Ale e Cetty [2]: cosa pensate del ponte?”

Ale: “Sono contraria al ponte per tre ragioni: 1 – ambientale, il ponte avrebbe un impatto non indifferente; 2 – economico-logistica, i benefici che porterebbe il ponte sul piano delle comunicazioni sono chiari, ma forse prima sarebbe il caso di migliorare le vie di comunicazione interne all’isola; 3 – sentimentalismo, sarà forse illogico, ma non si possono descrivere l’emozione e le sensazioni che prova un siciliano nell’attraversare lo stretto, in un senso o nell’altro, a bordo di un traghetto.”

Cetty: “Parlando a livello paesaggistico sarebbe veramente un altro obbrobrio che si va a costruire. Immagina la fantastica vista che si può godere da Messina a Reggio Calabria e viceversa, questa verrebbe totalmente storpiata da un enorme colosso di cemento che andrebbe  ancora di più a ledere la fauna e la flora marina di questo pezzo di mar mediterraneo. Questo non significa, come dicono in molti, che non vogliamo il progresso, però questo dovrebbe prima iniziare dal costruire linee ferroviarie decenti  e buone autostrade per poter accogliere il maggior flusso di persone che raggiungerà la Sicilia più velocemente e comodamente.”

Ecco: a Muisne, minuscola isola (sette km di larghezza per 1 e mezzo di lunghezza) della costa ecuadoriana, separata dalla terraferma per soli 300 metri dall’omonimo fiume, se poni la stessa domanda, “che pensate del ponte?”, la risposta è sorprendentemente diversa; il ponte è ben visto, auspicato, ritenuto quasi necessario.

Abdul, il lavandaio, “Io lo vedo bene, soprattutto per il turismo”; Armando, el profe, segue la stessa linea; l’unico a vederla in modo diverso è Robert, el Ruco,  “Secondo me porta solo più auto, più casino e per il turismo non serve!”.  Mentre la paura di Raquele sarebbe solo quella che “porti più ladri”.

A Muisne nessuno ha l’automobile, a dire il vero non hanno neanche la bicicletta, si muovono a piedi o in mototaxi (il mezzo di trasporto “pubblico”): talmente piccola è l’isola, talmente grande è la povertà.

Per uscire da questo angolo di sabbia puntellato di palme da cocco, rare mangrovie e chimiche piscine di gamberi, ci sono due modi: o si prende la barca, che dall’alba a notte inoltrata fa spola tra le due rive del fiume e per soli 20 centesimi di dollaro statunitense ti trasporta (sia chiaro che quello del prezzo non è un problema, se hai 10 cent va bene uguale e se non ne hai proprio non ti lasciano dall’altro lato!); o si prende la gavarra, l’imbarcazione atta al passaggio delle poche auto (della polizia, di qualche arricchito locale, di qualche spaesato turista) e dei camion che riforniscono l’isola. La  gavarra è addirittura gratuita per i pedoni, basta avere la pazienza di aspettarla e a Muisne hay tiempo que sobra[3].

Arrivati dall’altro lato, al cosiddetto Relleno,  si prende l’autobus nell’unica direzione possibile: El Salto,  da dove si diramano due vie, e da lì poi ognuno sceglie la sua destinazione.

Ad essere sinceri, prendere il traghetto non è proprio comodo. Anche perché entrambi i moli avrebbero bisogno di alcune piccole migliorie per rendere la salita e la discesa più agevoli soprattutto quando si hanno borse o valigie. D’altra parte, oggettivamente parlando (almeno spero di riuscirci), non vedo quale altro reale vantaggio deriverebbe alla popolazione di Muisne dalla costruzione del ponte. Andare direttamente in mototaxi dall’altro lato? Oppure a piedi? Ma a parte questo non vedo altri vantaggi.

Quello che però vedo è che le esigenze primarie di Muisne sono altre. A Muisne, capoluogo di provincia, il sistema d’acqua corrente non esiste; la maggioranza delle famiglie ha dei grossi bidoni  a lato della cucina che riempie d’acqua, ovviamente, non potabile. I più fortunati hanno il pozzo in casa, altri vanno nei pozzi dislocati nei vari punti della città e approfittano pure dell’acqua piovana. In tutti i casi il risultato è lo stesso: liquido giallognolo inutilizzabile per cucinare, a mala pena buono per lavare!

Come si può facilmente intuire, al problema dell’acqua si collega quello delle fogne e  nemmeno quest’ultime esistono.  Sempre i soliti, quelli di prima, i più fortunati hanno un pozzo settico, ma con tubi vecchi con varie falle, appena al di sotto del manto stradale… ecco spiegato quel giallognolo dell’acqua!

L’accennato manto stradale ci porta al capitolo strade.

Quante strade potrà mai avere un’isola di queste dimensioni? Contiamo insieme?
Uno……due……..tre………..quattro………….uhm….ehm…..basta! Ora analizziamole. Lo schema è quello del castrum romano con strade perpendicolari, il decumano  maximo  parte dal molo e arriva alla spiaggia: è addirittura diviso in due corsie da uno spartitraffico  e ha dei dossi rallentatori, altrimenti i mototaxi non frenerebbero mai, ma, a metà percorso, la corsia che va in direzione del mare diventa un manto erboso impraticabile e allora tutti contro mano finche anche l’altra corsia in prossimità della spiaggia non diventa pura sabbia. Parallela a questa c’è un’altra strada, ciottolata solo per duecento metri vicino al parco centrale, che poi abbandona sé stessa a terra e fango verso il molo, a sabbia ed erba verso la spiaggia. Il cardo maximo incrocia le due precedenti strade all’altezza del parco centrale a 250 metri da molo, è lastricato attorno al parco e poi si perde a sud nel fango e a nord in un ponte di cemento fatto per consentire il passaggio durante le alte maree. Parallela a questa strada c’è n’è una del tutto simile.

A dire il vero ci sono altre stradine fangose, sabbiose e coperte d’erba, nelle quali, a volte, nemmeno i mototaxi riescono a passare e durante la stagione delle piogge diventano degli allevamenti intensivi e non voluti di zanzare, visto che l’acqua ci ristagna anche per mesi. Infine c’è un quartiere, quello di Bella Vista, uno dei più belli, che puoi raggiungere con i mezzi solo durante la bassa marea, perché il ponte che c’è è solo pedonale; per non parlare poi degli aguaje, ossia quando nei giorni di luna piena l’alta marea è più alta del normale e allaga grande parte dell’isola: solo qualche disperato mototaxi si lancia nelle strade al di fuori delle tre centrali!

Una piccola annotazione tecnica: Muisne in realtà non è un’isola, bensì un banco di sabbia che, con un peso eccessivo, potrebbe sprofondare. Per questo motivo gli edifici più alti al massimo raggiungono il secondo piano, visto che la possibilità di costruire solide fondamenta non c’è.

Dipinto il quadro di Muisne, non resta che valutare se un investimento di 28 milioni di dollari sia almeno utile al turismo, visto che è il motivo più sbandierato a favore della costruzione.

Sette chilometri di spiaggia, quasi incontaminata, delimitata da palme da cocco. Due capi alle estremità creano questa baia, dove le onde non arrivano troppo forti e con poca risacca, che  permette di fare il bagno in qualsiasi momento; amplissime zone verdi, soprattutto nella parte vicino all’oceano e scarse strutture ricettive, relativamente costose per ciò che offrono, spazzatura sparsa qua e là  e nulla da fare la notte, a parte i falò in spiaggia con il “gruppo dei rasta” o tre locali che aprono solo il sabato sera.

Rovesciate completamente la descrizione e di colpo, invece, vi ritrovate ad Atacames, capoluogo della provincia confinante con Muisne,  a solo un’ora di distanza.  Lì non ci sono problemi di ponti, strade, fognature:  il cemento arriva fino alla spiaggia con i suoi hotel di lusso o quasi e i bar e i locali si sprecano sulla spiaggia; è comunemente chiamata la “Rimini dell’Ecuador” (…che fortuna…).

Muisne  non potrà mai competere con una destinazione del genere, per:

– deficit ambientali: qui i mega-hotel non si possono fare;
– dislocazione geografica: Atacames è più vicina sia a Esmeraldas capoluogo di regione che alle principali vie di comunicazione; per raggiungere Muisne devi fare una deviazione di 15km dalla strada principale (30 minuti il tempo di percorrenza);
– mancanza di capitali: per “raggiungere” Atacames servirebbero investimenti degni di qualche magnate che ha saputo ben gestire affari e traffici legali e non.

A questo punto, vista la situazione, perché non trasformare in punti di forza i limiti fisici e  strutturali? Si potrebbe puntare su una Muisne isola libera da automobili e cemento, immersa nella natura, un po’ freak se volete, un po’ per le famiglie, un po’ per i “tranquilloni”, un po’ per chi se si guarda attorno e non vede niente, non ha paura e non si sente solo, ma capisce che quel niente vale  molto di più del tutto che l’uomo sarebbe in grado di creare.

A ben guardare la differenziazione turistica di due località vicine è necessaria al fine di sopra-vivere e con-vivere magari collaborando, attirando tutte le fasce di possibili turisti.

E poi Muisne dovrebbe avere, de ley [4], un’impronta sostenibile e votata alla salvaguardia dell’ambiente; non fosse altro per quel che ha sofferto e sta soffrendo a causa dell’allevamento in cattività dei gamberi [5] e le monoculture intensive di Eucalipto e Palma Africana;  Muisne dovrebbe diventare un esempio virtuoso dell’eco-turismo e del turismo sostenibile, in barba ai mille pacchetti preconfezionati monotematici che ti fanno apparire la località di quest’anno uguale a quella dell’anno passato con l’unica differenza di un timbro diverso nel passaporto.

Purtroppo, tutto questo bel “discorsetto” sembra non valga a nulla e quando cerchi di parlarne con qualcuno no te para bola [6]. Sembra che la direzione ipotizzata e forse già imboccata sia un’altra, che porta alle grandi opere quelle che servono poco a chi, alla fine, le userà e molto a chi le ha decise, progettate e appaltate.

Alla fine preso da una illogica allegria, barcollando sopra quel sottile filo rosso (a sei corsie con casellante automatico) che separa, ancora per poco quello che sarà un mix unico di fantascienza e disarmante realtà, potrei lanciarmi nell’ipotesi di un ponte tra Sicilia e Muisne cosicché ai concerti di Guccini potrei liberamente cantare “…se devo emigrare in America come mio nonno prendo il tram!”

Note:

[1] Simone è un mio amico calabrese.

[2] Alessandra e Concetta sono due mie amiche siciliane.

[3] Trad.: c’è tempo in abbondanza.

[4] Trad. lett.: a regola. È un modo di dire molto utilizzato per sottolineare l’obbligatorietà, la necessità di una azione o situazione.

[5] A tal proposito si veda l’articolo di Michele Marconi dal titolo “I mille segreti dei gamberi “http://www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_5882.html

[6]Trad.:”Non ti presta attenzione”. È una forma molto colloquiale.

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