Bangladesh Caschi Bianchi

Tutela della donna e violenza

La Costituzione bengalese garantisce uguale status agli uomini e alle donne in tutte le sfere della vita, ma secondo la cultura tradizionale i mariti hanno diritto di proprietà sulle mogli e la violenza è il mezzo più usato per stabilire un controllo.

Scritto da Elena Cavassa

Uno studio del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) rivela che più del 47% delle donne bengalesi vive episodi di violenza domestica. In alcune regioni del Bangladesh, questa percentuale sale a più del 70%. Molto spesso le donne non riferiscono a nessuno degli abusi subiti e quasi mai denunciano le violenze alle autorità competenti. Gli episodi, che per la maggior parte avvengono tra le mura domestiche, sono considerati in genere normali sia da parte del marito che da parte della moglie e nella società di villaggio vengono di regola consentiti e tollerati. 

Per una bambina che nasce in un’area rurale del Bangladesh, le discriminazioni iniziano già da prima della nascita, dato che una femmina spesso non è voluta dalla famiglia. Successivamente dovrà affrontare qualche tipo di discriminazione in ogni fase della sua vita: sarà nutrita meno rispetto ai fratelli maschi, le sarà negata l’indipendenza e non avrà voce in capitolo nelle decisioni che la riguardano. Se si ammalerà, avrà molte meno probabilità di essere curata rispetto ai fratelli maschi.
Giovanissima, verrà poi fatta sposare con un uomo che avrà in media 8 anni in più di lei, che le ruberà il diritto ad essere una bambina. Già prima dei 19 anni, quando spesso il suo corpo è ancora acerbo sarà incinta o già madre (1).
Il matrimonio in Bangladesh non è in genere basato sull’amore, ma sul dovere. E’ un momento fondamentale nella vita della donna e corrisponde ad una realizzazione sociale. Essere sposati è anche rassicurante perché conferma la propria normalità: infatti, spesso ci si sposa semplicemente per essere un adulto normale o per obbedire ai propri genitori. Inoltre, il Corano disapprova il celibato e considera il matrimonio quale stato obbligatorio dei credenti (quasi il 90% della popolazione bengalese è di religione musulmana). 
Dopo il matrimonio, la moglie si trasferisce nella casa dello sposo, dove ha dei doveri non solo verso il marito ma anche nei confronti della famiglia di lui. La data del matrimonio viene decisa spesso in accordo ai bisogni dei genitori dello sposo, ad esempio nel caso siano necessarie un paio di braccia in più per i lavori domestici o per ottenere una dote quando c’è bisogno di soldi. I figli maschi potrebbero non volersi sposare in quel particolare momento o con quella particolare donna, ma si sentono obbligati a sottomettersi alla decisione dei genitori. Le mogli, se da un lato portano ricchezza, forza lavoro e fertilità, dall’altro “si intromettono” nella relazione che il marito ha con la famiglia, specialmente con la madre. Va notato che le ragazze si sposano in genere durante l’adolescenza, anche perché a quell’età vengono considerate più docili e obbedienti, requisito importante per una giovane sposa. La famiglia del marito, e specialmente la suocera, è impegnata a mantenere un dominio sulla moglie.
In Bangladesh il matrimonio conferisce al marito una sorta di “diritto di proprietà” sulla moglie; secondo uno studio di Thérèse Blanchet (2), i mariti picchiano le mogli e i figli per mostrare la propria mascolinità, per creare timore nei propri confronti e stabilire così un controllo.
Le donne che vengono picchiate rimangono sotto il tetto coniugale per dovere o semplicemente perché non vedono alternative. La violenza non viene considerata una causa sufficiente per porre fine ad un matrimonio, in particolare dopo la nascita di un figlio, dato che se è la donna a lasciare il marito è molto probabile che i figli rimangano a lui. Per molte donne la scelta di rimanere con un marito violento è legata a motivi di onore e rispettabilità sociale.
Va poi aggiunto che, sebbene l’islam permetta di divorziare e di risposarsi, un secondo matrimonio non viene considerato dello stesso valore del primo e dalle donne ci si aspetta quindi che tollerino e sopportino la violenza da parte del marito. L’induismo invece, al quale appartiene circa il 10% della popolazione bengalese, consente alla donna di avere un solo marito. Secondo la cultura induista, ‹‹la moglie deve adorare e servire il marito come un dio, fosse anche il peggiore degli uomini›› (3).
Pur constatando che la violenza sulle donne in Bangladesh non è un fenomeno recente, va però notato che il processo di modernizzazione che il paese sta attraversando può aver influito su queste dinamiche. Come in altri paesi in via di modernizzazione, anche in Bangladesh, accanto alle spinte modernizzatici, coesistono freni di tipo socio-culturale allo sviluppo. La sfida a tradizioni socio-culturali posta dal processo di modernizzazione porta in alcuni casi a mettere in discussione il tradizionale ruolo della donna e al processo di emancipazione femminile può corrispondere la perdita da parte degli uomini di privilegi. Il rifiuto da parte degli uomini ad adeguarsi a queste dinamiche porta alcuni a scegliere come risposta la via della violenza.

Per proteggere i diritti delle donne e assicurare l’uguaglianza di genere, si contano in Bangladesh 35 tra leggi, provvedimenti o convenzioni internazionali, che però sono implementati solo in parte (4) . La violenza domestica è considerata spesso una materia privata che non richiede un intervento né da parte dello stato né da parte della comunità. Quindi, sebbene la legge preveda pene severe per chi commette violenza nei confronti delle donne, molti casi non sono riportati alle autorità, e quando invece lo sono, molti dei perpetratori non sono perseguiti. A tal proposito, un dato indicativo emerge da un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (5): su oltre 10.000 casi di donne bengalesi che hanno subito violenze, il 68% non ne ha parlato con nessuno.
Il profilo degli aggressori spesso non corrisponde alle idee più diffuse sull’argomento. Si tende infatti ad immaginare che inclinazioni violente siano prerogativa di persone con un basso livello di istruzione, appartenenti magari ai ceti più bassi della società. In realtà la violenza domestica è molto diffusa anche tra le persone istruite.

A volte le violenze risultano mortali. In un recente rapporto di Amnesty International si legge che in Bangladesh oltre il 50% di tutti gli omicidi sono casi di mogli uccise dai mariti (6). In base a quanto riferisce un gruppo di monitoraggio dei media locali bengalesi (7), nel corso del 2005 sono stati documentati più di 3000 casi di donne morte in seguito alle violenze subite, molto spesso lontano dal clamore dei media.
Anche l’alto tasso di mortalità materna trova tra le sue cause la violenza perpetrata nei confronti delle donne durante la gravidanza e il rifiuto da parte dei mariti di pagare le cure mediche. Secondo i dati dell’UNFPA, circa il 14% dei decessi di donne incinte sono attribuibili a violenze nei loro confronti perpetrate dagli uomini (8). Inoltre, gli insulti quotidiani e le umiliazioni continue conducono spesso a malattie di tipo psichico.
Accanto alla violenza domestica, di gran lunga la più diffusa, esistono poi casi, spesso riportati dai media bengalesi, di donne sfregiate con l’acido solforico. Secondo i dati della Acid Survivors Foundation, da gennaio ad ottobre 2005, almeno 267 donne sono state attaccate in questa maniera inumana e degradante (9). I motivi della maggior parte degli attacchi sono dispute tra famiglie o il rifiuto da parte delle donne di sposarsi o di avere rapporti sessuali. E’ da notare che dei nove casi finiti in tribunale, solamente uno si è concluso con la condanna dell’aggressore.

Ho sentito tante storie di donne, di violenza e soprusi. Tantissime storie di mariti che semplicemente si stancano, lasciano moglie e figli e da un giorno all’altro se ne vanno da casa per non tornare mai più. E anche tante storie di rassegnazione alle ingiustizie, perché nella maggior parte dei casi ribellarsi non pare nemmeno concepibile.
M., ad esempio, vive con noi e mi ha colpito da subito. Ha circa trent’anni e l’eleganza un po’ austera di tante donne bengalesi. Ha i capelli neri, lucidi, spessi come corde, raccolti sempre a chignon dietro la testa. Non ride mai, abbassa lo sguardo ogni volta che incontra quello di qualcun altro e se non fosse per Franca che la sprona, M. non mangerebbe, non berrebbe, non parlerebbe, non si muoverebbe.
A segnarla in questo modo sono stati gli anni di matrimonio. Anni di sottomissione quotidiana, di soprusi e prepotenze l’hanno abbruttita a tal punto che ora affronta tutto e tutti quelli che le stanno attorno come un qualcosa di fastidioso ma inevitabile. M. ha perso la voglia di sorridere, di parlare, di reagire, di vivere. Obbedisce a qualsiasi ordine le si dia e sembra considerare il suo corpo come qualcosa di estraneo, che non le appartiene. E infatti non se ne prende cura e ogni suo gesto, ogni sua azione sembrano essere movimenti automatici di cui lei nemmeno pare rendersi conto; è come assente, distante. Ha sempre lo sguardo perso nel vuoto e si ha l’impressione che qualcosa dentro di lei sia svanito, che la sua forza vitale sia stata annientata, come se raggiunto il limite della sofferenza, si sia allontanata da sé, forse per autodifesa.
Ogni volta che ho tentato di parlarle non mi ha mai risposto, ma ha abbassato lo sguardo e ha chinato leggermente la testa di lato, come a dire: “E’ così, non ci si può fare niente…”.
E questo è ciò che più colpisce: la maggior parte delle donne vittime di violenze in Bangladesh credono che non esistano alternative e l’obbedienza e la sottomissione appaiono loro come il destino inevitabile a cui una donna deve conformarsi.

Note:1. Questa è una delle cause dell’alto tasso di mortalità materna. Infatti, le ragazze tra i 15 e i 19 anni hanno il doppio di probabilità di morire di parto rispetto a quelle tra i 20 e i 24. Dati tratti dal rapporto dall’articolo del professor B. A. Majumdar Protect the Girl Child for a Prosperous Bangladesh, in “The Daily Star Internet Edition”, 27.09.02.
2. Construction of masculinities and violence against women, 2001. Studio effettuato su 66 donne vittime di violenza e su 56 uomini che hanno commesso violenze.
3. G.R.Franci, L’induismo, Bologna, Il Mulino, 2005, p.78.
La Costituzione bengalese garantisce ‹‹uguale status agli uomini e alle donne in tutte le sfere dello Stato e della vita pubblica›› (art. 28).
4. WHO, World Report on Violence and Health, Ginevra, 2002.
5. Cf. rapporto Mettere fine alla violenza contro le donne.
Mass Line Media Center.
6. In Platform for men launched to protest violence against women, “The Daily Star”, 08.03.05.
7. Cf. http:// www.acidsurvivors.org

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