Caschi Bianchi Cile

Le carceri cilene stanno sanguinando!

All’interno del Foro Social Chileno alcuni seminari sono stati dedicati alla situazione delle carceri.Di seguito è riportato il resoconto di due di essi, entrambi tenutisi il 20 novembre, il primo dal titolo “El sistema carcelario chileno por dentro”(Il sistema carcerario cileno da dentro); il secondo dal titolo “Las carceles chilenas y las violaciones permanentes de los derechos humanos de los actores sociales involucrados”(Le carceri cilene e le ripetute violazioni dei diritti umani degli attori sociali coinvolti)(1).

Scritto da Chiara Perego (Casco Bianco a Santiago del Cile)

Nelle carceri cilene la violazione dei diritti umani fondamentali delle persone private di libertà é una realtà quotidiana.
CONFAPRECO, unica corporazione in America Latina che difende i diritti dei prigionieri comuni, cerca di superare l’attuale assenza di interesse nella società civile circa la politica penitenziaria, tramite la diffusione di rapporti, denunce e investigazioni, dando Voz a los sin Voz (la voce ai senza voce). La risposta repressiva delle istituzioni politiche alla crescente domanda di “sicurezza” sociale, si riflette nelle attuali proposte legislative in materia penale: la penalizzazione del “microtrafficante” di droghe proibite, l’abbassamento a 14 anni di età per la responsabilità criminale, la proposta di aumento della durata delle pene per delitti contro la proprietà privata e le persone. Ciò causerebbe una crescita costante del numero di persone recluse nelle carceri cilene, già sovraffollate al di là di qualunque limite.
In poco più di 10 anni il numero di persone recluse é quasi raddoppiato: nel 1990 si contavano 20.000 internati che nel settembre 2004 sono diventati 38.698. Tra i Paesi latinoamericani, il Cile detiene il triste record di maggiore tasso di detenuti ogni 100.000 abitanti, ossia 252. Per un confronto, vengono di seguito riportati i dati di altri Paesi del Sud America: Uruguay 268, Brasile 137, Colombia 130, Perù 105, Bolivia 67 (il modello di riferimento che ha portato il Cile a tali risultati è quello statunitense che presenta un tasso superiore a 600 detenuti ogni 100.000 abitanti).
Questo incremento della popolazione penale si é verificato perché i detenuti sono il prossimo grande business del sistema economico: le imprese private possono infatti sovvenzionare le carceri a scopo di lucro. Seguendo questa politica (chiaramente statunitense) entro la fine del 2005 in Cile verranno realizzate 10 nuove carceri da 20.000 posti.
A parte i dubbi legittimi riguardo al prossimo processo di privatizzazione carceraria, nel quale si riconosce allo Stato l’obbligo di “assicurare posti”, ossia il compito di reclutare “clienti” per il sistema penitenziario, le inquietudini del presente si riferiscono a situazioni-limite di evidente sovraffollamento.
La politica di controllo e contenimento, adottata per far fronte a tale realtà, genera un diffuso utilizzo della tortura, unico mezzo del terrore per dominare una simile sovrabbondanza di persone. Rispetto ai sistemi utilizzati per la tortura nelle carceri, esistono varie metodologie, dalla più semplice alla più elaborata. Nonostante la costituzione cilena assicuri l’integrità fisica e psicologica dell’individuo (senza però mai riportare il termine “tortura”), in Cile oggi si continuano a torturare gli esseri umani per le loro condizioni giuridiche e sociali, proprio come ai tempi duri della dittatura.
Nello specifico, i fatti denunciati dai reclusi si riferiscono a lesioni prodotte da colpi inflitti dagli altri prigionieri o dai funzionari penitenziari, castighi arbitrari, mancanza di un’assistenza medica adeguata e di un’alimentazione appropriata: tutti episodi che mettono in pericolo la vita del carcerato. La maggior parte degli abusi resta impunita e la gestione della disciplina interna è generalmente percepita dai reclusi come una situazione da sopportare, per il fatto di essere privi di libertà. Il 68% dei carcerati appartiene alla fascia di età tra i 18 e i 25 anni: si tratta di giovani che poi escono di prigione pieni di rancore e tanta rabbia accumulata.
Per comprendere la disumanità del sistema carcerario cileno, basti pensare che i gendarmi durante la loro formazione apprendono metodi specifici di tortura sia fisica che psicologica. Un’inchiesta indica che il 65% di questi uomini (che guadagnano 400.000 pesos al mese, 520 euro, più di un carabinero cileno; il salario minimo in Cile è poco più di 110.000 pesos, 142 euro) ha gravi problemi familiari e riversa le sue frustrazioni e la sua violenza sui detenuti.
I reclusi vivono costantemente sotto tortura fisica e psicologica, dovuta ai maltrattamenti, alla promiscuità, alle offese e parolacce dei gendarmi. In più, esiste un regolamento interno che rende il carcere un “carcere nel carcere”, in cui ogni minimo errore viene severamente punito.
La cella di isolamento o castigo ne è una prova: un prigioniero può passarci anche quindici giorni solo per aver camminato scalzo. Tale cella di 2 x 1,65 metri può contenere fino a 15 persone, non ha luce e la gente è costretta ad espletare i propri bisogni in un buco nel pavimento in cui fluisce dell’acqua che è anche l’unica che può bere.
In generale, solo pochi fortunati ricevono una discreta alimentazione, proveniente dall’esterno (parenti, amici). Gli altri carcerati devono letteralmente lottare per accaparrarsi il cibo che viene distribuito in due grandi bidoni: questo significa che molti non mangiano nulla ma vivono fumando e bevendo mate, e riscontrano poi gravi problemi fisici.
Poiché tutte le violenze all’interno delle carceri sono consentite, quelle sessuali non fanno eccezione. L’impossibilità di sviluppare una sessualità “sana” dipende anche dal fatto che le visite ai carcerati avvengono simultaneamente in una grande sala; qui si trovano dei teli dietro ai quali i reclusi possono avere delle relazioni con la loro compagna in visita. Alle donne recluse non è concesso lo stesso spazio, soprattutto per evitare le gravidanze.
Fondamentalmente il carcere cileno non è una struttura atta alla riabilitazione o al reinserimento: gli obiettivi sono invece segregare e neutralizzare i gruppi definiti “a rischio”, stigmatizzati come bande di delinquenti e pertanto senza speranza di cambiamento. Non esistono programmi o trattamenti psico-sociali per il futuro reinserimento di tali individui: una volta usciti dalla prigione è praticamente impossibile che trovino lavoro.
CONFAPRECO, oltre a farsi carico delle denunce sporte dai carcerati lesi nei loro diritti umani, ha sviluppato un progetto di reinserimento lavorativo: infatti l’impedimento più grande per gli ex-carcerati viene individuato all’interno della stessa società che chiede sempre maggior sicurezza e più carceri (percepite come unica soluzione ai problemi di delinquenza).
Tale società chiude le sue porte a queste persone che hanno sbagliato, discriminandole e ottenendo come effetto che ricadano ancora nell’illegalità, unico sistema loro concesso per poter sopravvivere.

Note:1. I seminari sono stati condotti dall’ong CONFAPRECO (Confraternidad de Familiares y Amigos de Presos Comunes, Confraternita di famigliari e amici dei prigionieri comuni).

Links:
http://www.confapreco.cl
http://www.portaldelpluralismo.cl/interno.asp?id=2849

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