Il mio primo sguardo sulla realtà di Bucarest è un insieme di visioni sparse e parziali: tante immagini che provo a mettere a fuoco in un quadro più o meno coerente, come un caleidoscopio ancora in movimento.
Sicuramente Bucarest è una città che mi affascina molto, dall’urbanistica caotica, come l’ha definita qualcuno, con molto verde – in questi giorni acceso di gialli, arancioni e rossi – e forti contrasti, una mescolanza di anime diverse, che ritrovo anche nella lingua rumena. Camminando per le sue strade non è difficile imbattersi in un bellissimo palazzo dallo stile neoclassico e, subito accanto, in un edificio degradato; o trovare case indipendenti molto curate e dalle forme originali, circondate da interminabili bloc (tipici grandi condomini del periodo comunista) o inserite in un contesto trascurato.
In questa disposizione di osservazione e di ascolto, che cerca di cogliere il più possibile di questa nuova realtà, è facile scorgere contraddizioni, sia visive sia legate alle situazioni di marginalità e fragilità che incontriamo. La contraddizione è qualcosa che ci interroga, che porta a riflettere, a rimuginare anche a lungo a volte. Rivolgendo lo stesso sguardo attento verso di me, dentro di me, mi accorgo che è altrettanto facile trovarne. Forse la contraddizione è parte di noi più di quanto pensiamo e non sempre può essere sciolta o compresa fino in fondo.
In queste prime settimane mi sento come gli enormi grovigli di cavi elettrici che è molto comune vedere per le strade di Bucarest – e che ancora mi lasciano incredula: un intreccio di informazioni e parole nuove di una lingua che sto cercando di decifrare; una rete di persone, di connessioni, di associazioni che collaborano e si sostengono. Ciò che più mi colpisce è la fraternità che riesco a vivere in queste relazioni appena nate. Ci sono stati dei momenti precisi in cui mi sono resa conto di stare davvero bene in ciò che stavo vivendo: semplici situazioni quotidiane in casa con persone che hanno vissuti diversi dal mio e con cui, per motivi linguistici almeno, non riesco ancora a fare grandi discorsi; o durante le uscite in strada, come la sera in cui ci siamo ritrovati a giocare a Kendama (gioco di legno in foto) con una bambina, sua nonna e altri signori appena conosciuti. È stato un momento di spensieratezza condiviso, su un marciapiede vicino alla Gara de Nord, la principale stazione di Bucarest. Mi stupisce e mi meraviglia quando succede questo, nonostante tutte le difficoltà che posso incontrare nel relazionarmi o nello stare in certi contesti e situazioni. La foto, pur essendo scattata per caso, mossa, sfocata e storta, cattura proprio uno di questi momenti.













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