Non so bene da dove cominciare, ci sono tante cose che vorrei dire. Come spiegare questo turbinio impazzito di pensieri che affolla la mia mente? Ci proverò con una parola: “calore“. Non solo per il clima, il sole e il vento tropicale, ma per le persone. Immersi in questo mondo per noi nuovo, così diverso da casa da farla sembrare quasi un luogo asettico, ci accingiamo ogni giorno a sperimentare l’incontro con il prossimo. Una cosa che ho notato sono gli occhi delle persone che, in netto contrasto con il contesto caotico urbano, sono cosi scuri eppure così luminosi da brillare anche in mezzo alla polvere della strada. Anche la lingua locale ha un che di fluido e avvolgente, con mille sfaccettature divertenti da scoprire e da scambiare con qualcosa di tuo. Un’ altra parola che mi sento di usare è “sguardo”, come quello di chi con curiosità esplora, tasta il terreno ed avanza anche nelle difficoltà. Siamo a contatto con realtà di grandi fragilità, dove le persone affrontano sfide che scandiscono le giornate di una vita. Non è facile inserirsi in un contesto del genere perché non sempre la strada è aperta e non sempre è disposta ad aprirsi ed è egoista, secondo me pensare di essere la persona che cambierà le cose, che salverà la situazione; oggettivamente è impossibile in soli 10 mesi cambiare le sorti di un paese e, anche se si vorrebbero mettere le mani dappertutto, non è questo il nostro compito. Quello che possiamo fare è accompagnare, stare in ascolto ed essere presenti. Mettersi in gioco è difficile per entrambe le parti perché si ha paura di ferire o di essere feriti ma la ricompensa più grande è quando questo velo cade e lascia spazio alla spensieratezza e alla spontaneità dell’incontro con l’altro.
E quando torni a casa mentre il sole tramonta colorando il cielo, pensi già a domani, con ogni volta una nuova consapevolezza.













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