SCOPRENDO L’ARGENTINA CON ENTUSIASMO E FATICHE

“Hola, como anda?”, un bacio sulla guancia, un sorso di mate compartido (condiviso), l’imbarazzo di non poter rispondere come vorrei in spagnolo, l’abbraccio dei bambini, il vento che alza la polvere delle strade sterrate, il suono delle balene dal mare, l’odore del mercato nel barrio Peròn, i cani randagi davanti alle case che ti guardano come se fossero loro i veri padroni di quella strada, essere chiamata “tanita” in quanto italiana in sud America, il vivere con una famiglia giovane con due figli piccoli, il pregare in un’altra lingua, il camminare da un quartiere all’altro notando l’enorme differenza che c’è tra chi vive vicino al molo e chi più in periferia, tra case nuove e di lusso e case costruite con mattoni e cemento senza luce, acqua e gas, il condividere ogni giorno e ogni esperienza con un’altra persone della mia età che ha fatto la mia stessa scelta.
Questa è la mia prima Argentina, il mio primo sguardo su Puerto Madryn, una terra con natura brulla bagnata dall’oceano atlantico, una fraternità missionaria che partecipa alle proposte del territorio, che condivide tempo e spazio con la gente del posto e che sta cercando di portare proposte di aiuto. Qui esistono già progetti locali di condivisione con persone con problemi di dipendenza, senza fissa dimora e bambini che vivono in condizioni precarie. Tra questi c’è chi vive in case che a volte sono un container, a volte una macchina, a volte una casa costruita con quello che si è trovato per strada e a volte è una casa vera propria dove però manca la presenza di persone che se ne prendano cura.
Queste prime tre settimane in Argentina sono state caratterizzate da un grande entusiasmo iniziale accompagnato successivamente dall’impatto con una realtà contraddistinta da fatiche più conosciute come quelle di condivisione e fraternità a quelle meno conosciute come il fare i conti con un’ingiustizia che si respira ma non si vede tanto perché mischiata ad un apparente benessere e bene-stare.
Sto capendo che il partire per un viaggio tanto atteso, così come il vedere un proprio sogno realizzarsi può portare ad essere felici, ma anche a rendersi conto della propria piccolezza ed umanità nello stare nelle cose. Questo servizio civile non è solo un’esperienza elettrizzante dove dai sempre il 100% in ogni momento, ma un anno di vita dove anche le fragilità che verranno fuori saranno terreno per i frutti che nasceranno da questo tempo nuovo vissuto con se stessi e con gli altri. Dopo questo primo periodo decido di fidarmi sia dell’entusiasmo sia dell’impatto con la fatica di vivere qua, continuando a “stare” e a vivere ciò che mi viene proposto con uno sguardo aperto a quello che verrà.