Caschi Bianchi Thailandia

Il braccio sinistro di Ət

Ad Angels’ Home vivono diverse persone con disabilità, con loro Paola vive la quotidianità, con loro ride e gioca.

Scritto da Paola Costantino, Casco Bianco in Servizio Civile con APG23 a Bangkok

Ət è davvero felice oggi. È giovedì pomeriggio, fa un gran caldo ma lui è fresco perché ha appena fatto la doccia, profuma di borotalco ed è già in pigiama. Le donne che vivono e lavorano qui a Angels’ Home – struttura dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII in Thailandia – sono molto attente a quali giochi si scelgono per il pomeriggio, preferiscono che non ci si sporchi, con gli stessi vestiti che indossano adesso, tra poche ore le persone con disabilità che abitano qui saranno a letto.

Ogni giorno, dopo il pranzo, c’è un lungo e calmo momento di riposo che coinvolge tutti, poi si fa la doccia e si attende la cena giocando insieme. In questo momento della giornata Pranii, Pumpuaŋ, TumTam e Uuan sono spesso a terra tutti insieme, mentre Ət rimane sulla carrozzina, gli avambracci legati ai poggioli della sedia a rotelle, le caviglie strette con delle apposite fettucce all’appoggio per i piedi.
Lui, Ət, è stato uno dei primi accolti ad Angels’ Home, circa 15 anni fa. Questa casa è stata pensata per accogliere persone con disabilità con la propria mamma, o il proprio caregiver, così da offrire un servizio di supporto e formazione allo stesso tempo. Ət invece qui è solo; per un periodo della sua infanzia, una donna anziana del paese ha frequentato molto la casa facendogli da nonna – infatti una delle poche parole che Ət dice è “yaay”, nonna in thai – ma è morta qualche anno fa. Oltre alle difficoltà con cui fa i conti ogni giorno, Ət è affetto da picacismo, “[…] disturbo caratterizzato dall’ingestione continuata nel tempo di sostanze non alimentari.”[1]; è questo il motivo per cui, in questa rara struttura a nord di Bangkok, lui è cresciuto legato alla sua sedia a rotelle. Compirà 22 anni il prossimo maggio.

Ət non è mai triste. In quattro mesi l’ho visto soltanto sorridere e ridere. Se si incrocia il suo sguardo sorride, se si fa una battuta non c’è distanza linguistica che tenga, comprende l’ironia, il tono e il contesto; ride. Se per caso qualcuno inciampa, se qualcosa cade dalle mani, se a qualcuno va di traverso l’acqua bevendo, si può star certi che Ət riderà. Lascerà andare indietro la testa, socchiuderà un po’ gli occhi e riderà a sussulti, spostando un po’ la sedia a rotelle nonostante i freni siano inseriti.
La risata rimane sempre ciò che può scegliere di fare, le parti del corpo con cui si ride son libere.

Qualche volta, piede e mano destra di Ət vengono lasciati slegati dato che, a causa di un’emiparesi, con questo lato del corpo può agire soltanto movimenti minimi. Più raramente, se il numero di persone presenti lo permette, sleghiamo anche mano e piede sinistro. Lui è fortissimo. Non mi spiego come si possa essere sviluppata una muscolatura così forte vivendo per la maggior parte della propria vita in posizione seduta, perdipiù con gli arti fermi e legati.

Quando lo slego io lascio una lunga fettuccia legata al suo polso sinistro e le faccio fare più giri intorno al mio braccio destro: così entrambi possiamo giocare a metà – mezzi legati mezzi no.
Oltre che forte Ət è molto veloce. È capitato che mangiasse formiche o briciole a terra durante il gioco o che mordesse forte la mia mano in un momento di mia disattenzione. È capitato mi strappasse una ciocca di capelli e poi ridesse di gusto per averlo fatto. È capitato ciò, ma non solo. Ci sono gesti minimi che si notano meno ma arrivano prima. Ogni volta che la sua mano sinistra è libera succede che si gratti la fronte. Succede che si prenda l’altra mano e distenda entrambe le braccia verso l’alto, compiaciuto. Succede che metta la sua mano sotto il mento e chiuda un po’ gli occhi, gesto che fa per mostrarci quanto è bello. Così ogni volta succede che, nel conflitto, io mi chieda da quante ore gli prudesse la fronte, da quanto tempo aspettasse di stirarsi la schiena e le braccia, se fosse da molto che cercava uno sguardo intorno per avere uno scambio, qualche parola, una risata condivisa.

Angels’ home è un’isola in Thailandia, un luogo unico per obiettivi e destinazione d’uso.
Le persone che lo hanno pensato sono europee e ciò si nota dalle caratteristiche della casa, dalle scelte di metodo, dallo stile. Ai miei occhi, la figura di Ət è paradossale: troppo sfortunato, il suo spazio d’azione è limitato a quello della sua sedia a rotelle ferma. Subisce l’immobilità pur avendo un minimo grado di comprensione della realtà. Troppo fortunato: arrivando qui ha avuto la rara opportunità di essere salvato dalla fede buddhista che lo ha visto debitore verso il karma di vecchi peccati.

Con Ət abito il conflitto giocando entrambi a metà, il suo braccio sinistro legato al mio destro.

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