Caschi Bianchi Cile

Nelle strade di Santiago

In Cile vivono in strada 16.410 persone, quasi la metà di queste si trovano nella capitale, ed Eugenia le incontra attraverso il servizio al Comedor, la mensa per persone senza fissa dimora della Comunità Papa Giovanni XXIII a Santiago del Cile

Scritto da Eugenia Mazzoleni, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a Santiago del Cile

Al mio rientro dopo alcuni giorni di assenza a inizio marzo, mi viene riferito che C. era morto il lunedì. La fidanzata lo aveva visto all’improvviso accasciarsi sul marciapiede e non rialzarsi più – un malore – probabilmente il corpo non aveva più retto dopo anni di vita di strada e abuso di sostanze, nonostante la giovane età.

C. lo vedevo ormai abitualmente tre volte alla settimana durante il mio servizio al Comedor nel quartiere di Peñalolen a Santiago, mensa della Comunità Papa Giovanni XXIII dove si distribuisce il pranzo a persone in stato di bisogno dal lunedì al venerdì. Le facce sono un po’ sempre le stesse, si impara a conoscersi, a conoscere ‘l’apodo’, il soprannome. Ogni tanto qualcuno sparisce per un po’ di tempo per poi ricomparire, ogni tanto ci sono delle persone nuove che rimangono solo per poco. C. sicuramente non passava inosservato: dal cancello chiamava a gran voce Placido e Gianni, i responsabili del Comedor, e presentava una certa sicurezza nel muoversi, sicuro e a volte chiassoso. Rispetto ad altri, mi sembrava sempre che avesse una certa familiarità con la mensa. Mentre generalmente scambio qualche chiacchiera con chi arriva a mangiare, con lui non sono mai riuscita a parlare molto, puntava sempre a parlare con Gianni e Placido.

Ricordo che una volta lo vidi al tavolo con il piatto pieno davanti a sé, stava tutto curvo e con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa; poi a fatica si alzò – senza aver toccato nulla – e se ne andò. Aveva evidentemente assunto da poco una dose, di solito qui prendono la pasta base, un sottoprodotto a basso costo della cocaina. Chiesi che cosa si sarebbe dovuto fare nel caso si fosse sentito male, se chiamare l’ambulanza. Sguardi un po’ increduli e un sorriso amaro a mezza bocca hanno accolto la mia domanda, “ma perché tu credi che verrebbero fin qui?A volte una manciata di km divide mondi diversi, o almeno è così a Santiago.

Nel Registro Social anexo Calle, i dati aggiornati al 2021 mostrano che in Cile vivono in strada 16.410 persone, di queste ben il 44,32% si trova nella Regione Metropolitana di Santiago; quasi l’87% ha un’età compresa fra i 18 ed i 59 anni; quasi il 12% ha 60 o più anni; e l’1,2%, che equivale a 212, sono minorenni.[1] Sono numeri in aumento, se consideriamo che nel ‘Catasto’ del 2012 – ormai dieci anni fa –   figuravano 12.255 persone senza fissa dimora. L’aumento dell’immigrazione, in particolare dal Venezuela e Haiti, e la pandemia hanno accelerato ancora di più una situazione che era già drammatica. Ciò è sotto gli occhi di tutti: girando per le strade della capitale, soprattutto al centro, si vedono spesso tende, materassi abbandonati nelle isole stradali, nei parchi, nei balconi dei vecchi palazzi sventrati. Nelle periferie ci sono anche i cosiddetti ‘rucos’, baracche costruite negli angoli della strada con materiali di fortuna, che danno la parvenza di un domicilio. (Vedi foto, fatta a marzo 2022 nella ciclovia nei pressi del Comedor)

Il Ministerio de Desarollo Social y Familia mette in campo due tipologie di misure per risolvere il fenomeno della vita in strada. Offre programmi con obiettivi e durate a lungo termine, come ad esempio il “Programa Calle”: un programma di 24 mesi che affianca la persona senza dimora e la sostiene in un percorso di riabilitazione psicologica e di reinserimento sociale e lavorativo. Oppure c’è il “Programa Familias”, che analogamente appoggia famiglie in condizioni di estrema povertà.  Non ci si può iscrivere per essere parte di questi programmi, bensì si viene selezionati e invitati dopo essersi iscritti ai corrispondenti registri sociali.[2]  Il secondo tipo di azioni governative consiste nel programma “Noche Digna”, che ha l’obiettivo di dare assistenza immediata a chi vive in strada, fornendo servizi che soddisfino le necessità impellenti di cure sanitarie, igiene, alimentazione e alloggio temporaneo.[3] La Comunità Papa Giovanni XXIII ha aperto durante la pandemia un servizio di albergue a Santiago che attualmente è ancora in funzione, un luogo fondamentale soprattutto con l’avvicinarsi della stagione fredda, ma che deve far fronte all’incertezza che comporta il passaggio da un governo all’altro dopo le elezioni.

Nel report redatto per fornire le informazioni utili a riscrivere la Costituzione cilena, in fase di stesura dopo la volontà popolare espressa attraverso referendum del 26 ottobre 2020 di sostituire quella attuale nata durante la dittatura di Pinochet, si sottolinea però l’insufficienza e l’inadeguatezza delle misure al momento previste in materia di persone senza fissa dimora. Si afferma infatti la mancata comprensione del fenomeno come problematica sociale, viene infatti considerato un problema dei singoli individui che si trovano nella condizione. Questa condizione dovrebbe invece essere analizzata profondamente, per poi essere risolta in modo intersezionale con politiche basate sul riconoscimento e il rispetto dei diritti umani. Nel report si raccomanda di ridefinire il concetto di persone di strada, riconoscendo anche che una dimora che non rispetti i bisogni materiali, psicologici e sociali non possa essere considerata tale. Per poi andare a inquadrare quale sia la popolazione del fenomeno, escludendo tutti coloro, quali minori, anziani e persone inferme mentalmente, che dovrebbero essere già tutelati da misure specifiche da parte dello Stato, garantendo loro di godere di tali misure. Si richiede inoltre la creazione di un’istituzione politica che sia dedicata e dedita all’eradicazione di un fenomeno che è da riconoscere come indice di un’estrema povertà presente nel paese e di una violazione sistematica dei diritti umani.[4]

Il pensiero mi ritorna a C. Parlando con Placido, ho saputo che lui aveva frequentato il Comedor sin dall’infanzia, accompagnava i genitori. Alla mensa non ci sono solo individui e coppie della strada, spesso vengono infatti madri e padri a prendere il cibo in grandi pentole da portare poi a casa. C. non è mai riuscito a spezzare il ciclo di povertà e abuso di sostanze. È nato povero ed è morto povero, sulla strada; faceva parte di quei 212 che secondo le stime ufficiali sono nelle strade del Cile. Non è l’unico che ho conosciuto, però,  che era stato costretto ad andare al Comedor da bambino: c’è anche M., giovane donna che ora studia all’università e che nelle nostre chiacchiere mi racconta di voler dedicare la sua carriera e vita all’aiuto dei bambini che, come lei in passato, non hanno nulla. Da loro due il mio pensiero scrivendo si sposta anche a quel bambino che a volte vedo arrivare con la sua mamma al Comedor, sempre con in mano il suo giocattolo. Mi auguro che il Cile che sta lottando per una società più equa e giusta, che sta riscrivendo la sua Costituzione per il suo raggiungimento, possa tutelarlo.

[1] Datos calle | Fundación Gente de la Calle

[2] Chile Seguridades y Oportunidades | Ministerio de Desarrollo Social sito web, visitato il 25 marzo 2022

[3]www.nochedigna.cl/plan-protege-calle/  sito web, visitato il 25 marzo 2022

[4]www.usach.cl/sites/default/files/field/uploaded_files/1er.%20INFORME%20POLI%CC%81TICA%20PU%CC%81BLICA_USACH_CONSTITUYENTE.pdf ( pag. 72-74)

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