Corpi Civili di Pace Perù

CCP: Conversando con il Perù

Episodio tre: Dai social a las callesil protagonismo dei giovani peruviani

Scritto da Alessia Martoscia, Corpo Civile di Pace con FOCSIV

Il terzo episodio propone l’attività dei social durante le manifestazioni e la testimonianza di due donne scese in piazza. A riportarci le loro parole è Alessia Martoscia, che ha svolto il suo servizio come Corpo Civile di Pace a Juliaca con Progettomondo MLAL  fino a marzo 2020.

Circa 3 milioni di persone si sono riversate in strada durante le proteste che hanno infiammato il Perù tra il 9 e il 15 novembre. Secondo l’Instituto de Estudios Peruanos il volto della marcia è una donna, con meno di 24 anni e di classe media.
“Perché sono andata a marciare? Per l’indignazione.”
K. e A.V., due giovani donne di Lima

 #Se metieron con la generción equivocada – #si sono messi contro la generazione sbagliata
È la sociologa Noelia Chávez che, nel tentativo di descrivere il protagonismo giovanile nelle strade peruviane durante le proteste, con un tweet conia l’espressione “Generación del Bicentenario”. Una moltitudine composita che -a poche ore dal golpe del 9 novembre- attraverso i social si autoconvoca alla marcia, “non per Vizcarra, ma per il Perù”. Il dissenso si diffonde sul web e riecheggia nelle piazze al grido di #este congreso no me representa (questo congresso non mi rappresenta) e #Merino no es mi presidente (Merino non è il mio presidente), hashtag che ha raggiunto 10,5 milioni di visualizzazioni su Tik Tok. “Nella marcia ti incontravi con tutto il mondo, con differenti persone, di diverse classi sociali” – racconta K.- “e ricordiamocelo poi…che le femministe erano nelle prime linee disattivando le bombe lacrimogene perché non ci succedesse niente, che la comunità LGBTIQ+ stava marciando insieme a noi perché stava rivendicando anche i suoi diritti. E la comunità afro-peruviana, anche. E quella andina. Siamo persone di diversa provenienza che stanno marciando per i diritti e per la libertà”. Singoli e piccoli collettivi, che confluiscono in strada in nome di una causa comune. La manifestazione è pacifica e assume, in molte occasioni, un carattere ludico e dissacrante, attraverso balli, costumi di Elmo dei Muppet o di Pikachu (omaggio alla Tía Pikachu cilena) e meme che rimbalzano tra Internet e i cartelloni , “perché l’umorismo è una forma di fare i conti con il dolore” commenta A.V. Tagliente e puntuale il “non ti ha riconosciuto nemmeno tua madre”, in riferimento al non riconoscimento di Manuel Merino come nuovo presidente da parte degli altri governi della regione e dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). Famoso anche “paura? Solo della ciabatta di mia mamma”, per ristabilire chi è la vera (e unica) autorità; contro quella non riconosciuta, invece, #lucha Perù (lotta, Perù!).

#la rebelión Tik Tok – #la ribellione Tik Tok
Marco Sifuentes, giornalista peruviano, ha battezzato questo moto di indignazione “la ribellione Tik Tok”, evidenziando la peculiarità di una delle più grandi proteste della storia del Perù. I social sono protagonisti: Tik Tok e Instragram, a seguire Twitter e per ultimo Facebook diventano strumenti per informare, convocare, testimoniare e riappropriarsi della narrazione dei fatti. Lo spazio virtuale e la strada non si escludono, ma anzi si potenziano vicendevolmente. Da subito in rete cominciano a circolare dettagliate infografiche che quotidianamente si aggiornano e arricchiscono con le esperienze maturate durante le manifestazioni e le necessità riscontrate: da come disattivare i lacrimogeni, alla guida per produrre prove video della violenza della polizia, dai post per conoscere e esigere il rispetto dei propri diritti, ai tips comportamentali salvavita, etc… Attraverso i social network si decentralizzano strategicamente le marce e si coordinano brigate di primo soccorso e di “disattivatori”. “Su come neutralizzare le bombe lacrimogene ci ha formato la scuola di youtube, soprattutto l’esperienza dei compañeros cileni”; lo racconta A.V., che durante la seconda marcia nazionale era nelle prime file, una delle e dei desactivadorxs. “Anche se sono andata preparata, alla prima bomba ho respirato tanto fumo. Ho visto le persone correre, chiedermi aiuto, mi sono spaventata, poi ho cercato di resistere, dovevo stare lì, cercare di calmarli, aiutarli. Ma ad un certo punto la polizia ci ha intrappolati, sapevo che sarebbe stata violenta, ma non che sarebbe arrivata a questo punto: hanno lanciato una bomba lacrimogena qui, poi qui e qui e qui, ovunque, la via era piccola, non c’era uscita. La gente correva, spintoni, grida, la disperazione, non avevo più acqua e bicarbonato…una in quel momento pensa al peggio. Sembrava davvero l’inferno, io lo descrivo così, perché era fumo e fuoco”.

#no murieron, los mataron #no renunció, lo sacamos – #non sono morti, li hanno uccisi #non ha rinunciato, l’abbiamo buttato fuori
“Durante la marcia avevo di fianco una reporter” – ricorda A.V.- “dirigeva il cameraman, gli diceva cosa riprendere, questo sì, questo no, no adesso no…era canal 2, Latina”. Di fronte alla cronaca insoddisfacente o addirittura omertosa dei media nazionali sulla brutale e ingiustificata repressione delle forze di polizia, il web rende virali i video delle violenze, mirando alla diffusione internazionale. “Quello che volevamo era che non rimanesse in Perù, che tutto il mondo potesse vedere quello che stava succedendo, che gli organi internazionali si rendessero conto” dice K., “Abbiamo fatto rumore attraverso Instagram e Tik Tok…è come quando cerchi aiuto girandoti da tutte le parti, ma in casa tua nessuno ti ascolta, e allora lo cerchi fuori”. I social network si riappropriano della narrazione dei fatti. Ai ringraziamenti rivolti alla polizia da parte dell’allora primo ministro Ántero Flores-Aráoz (per “esporsi quotidianamente, molte volte incompresi”), contrappongono le condivisioni della conta dei feriti e dei desaparecidos e le foto dei proiettili di piombo, fino ad arrivare, la notte del 14 novembre, alla denuncia dell’assassinio di Jack Brian Pintado Sánchez e Jordan Inti Sotelo Camargo, di 22 e 24 anni, entrambi deceduti per ferite di arma da fuoco. #Non sono morti, li hanno uccisi: #Merino assassino, #Polizia assassina; la scelta delle parole è fondamentale nel racconto e gli hashtag sul web delineano una precisa catena di responsabilità, chiedendo a gran voce l’immediata rinuncia da parte di Merino che arriva, “irrevocabile”, il 15 novembre. Il popolo è in lutto, ma festeggia la vittoria e la rivendica, consapevole di quello che ha ottenuto e di quello che ancora manca, prioritario il ritorno a casa dei desaparecidos (“fino a quando non apparirà l’ultimo, non ci fermeremo”).

#que la justicia no nos deje en visto – #la giustizia non ci lasci con la doppia spunta blu
Il 18 novembre la Defensoría del Pueblo conferma la ricomparsa dell’ultima persona che ancora mancava all’appello, Luis Fernando Araujo Enríquez, che denuncia pubblicamente di essere stato sequestrato dalla polizia. “Abbiamo tirato un sospiro di sollievo ma il processo non è completo” dice K. “la polizia non può rimanere impunita, vogliamo che si faccia giustizia, non si possono lavare le mani, non davanti a noi, questo va oltre il limite”. Si esigono, inoltre, riparazione economica e supporto emotivo e psicologico per le vittime e le loro famiglie. I giovani rimangono in allerta e avvisano il nuovo presidente: #Sagasti, ti stiamo tenendo d’occhio. E proprio mentre sui social si continuano a contare i giorni senza i nomi dei responsabili della morte di Inti e Jack, il 3 dicembre un’altra vittima della repressione della polizia si aggiunge a “coloro che mancano”: Jorge Yener Muñoz Jiménez, 20 anni, muore per un proiettile di arma da fuoco durante le proteste contro la Ley Chlimper[1], nel dipartimento La Libertad. Il presidente Francisco Sagasti afferma che “si sanzioneranno i responsabili”; tuttavia, solo due settimane prima, la Fiscalía de la Nación definiva “complessa” l’indagine contro Manuel Merino, Ántero Flores-Aráoz e l’ex ministro dell’interno Gastón Rodríguez per i presunti reati di abuso di autorità e omicidio doloso. “L’ingiustizia è la peggiore pandemia”, commenta il web: sono palpabili la diffidenza e lo scetticismo rispetto alle tempistiche e ai risultati delle inchieste, così come della riforma della polizia, annunciata da Sagasti in uno dei primi messaggi alla Nazione.

#y esto recién comienza – #è solo l’inizio
“In Perù ci sono tantissimi partiti politici, sia di sinistra che di destra e credo che nessuno di questi valga la pena. Noi non sappiamo bene dove identificarci. È necessario in questo momento avere nella politica peruviana personaggi più credibili perché i giovani non si sentono rappresentati ma la politica ci riguarda in tutti gli aspetti della nostra vita, che lo vogliamo o no” dice A.V., e aggiunge: “Adesso la rivendicazione di molti è la nuova Costituzione, o comunque una sua riforma”.
“Nuova generazione, nuova Costituzione”? Il dibattito è stato aperto.

[1] I lavoratori impiegati nell’agro-esportazione chiedevano l’abrogazione della Ley de Promoción Agraria, anche conosciuta come “Ley Chlimper” e denunciavano la precarietà delle condizioni lavorative. Il 4 dicembre il Congresso approva l’abrogazione.

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