Corpi Civili di Pace Ecuador

Santo Domingo de los Tsáchilas: povertà e pandemia

Lo scenario ecuadoriano agli inizi dell’emergenza coronavirus

Scritto da Stefania Bertazzo, Corpo Civile di Pace con Engim – Focsiv a Santo Domingo de Los Tsàchilas

10.04.2020

Santo Domingo de los Tsáchilas fa parte delle 24 province che costituiscono la Repubblica dell’Ecuador. Istituita nel 2007 essa è formata da 2 cantoni – Santo Domingo e La Concordia – e abitata da poco meno di 460.000 persone. Geograficamente si trova a circa 150 km a nord della linea dell’equatore. Da Quito – capitale dell’Ecuador – sono circa 3 ore di strada verso ovest, attraversando paesaggi montuosi  e tropicali.

La sua posizione strategica, terra di mezzo tra sierra e costa, ha favorito lo sviluppo di Santo Domingo come punto nevralgico di scambi commerciali e umani, trasformando la provincia in uno dei principali centri commerciali e finanziari del Paese, e punto d’incontro di popoli e culture diverse, protagonisti di migrazioni interne ed internazionali.

Santo Domingo è una provincia giovane, il cui sviluppo urbano si è caratterizzato dalla rapida comparsa di insediamenti umani, i cui ritmi di crescita – temporali e quantitativi – non sono stati accompagnati da un’eguale rapidità qualitativa dell’organizzazione territoriale, in merito ai servizi offerti e alla regolarità degli insediamenti stessi. La mancanza di un piano urbanistico e dei servizi basici si percepisce con maggior forza nelle zone periurbane, là dove sorgono i quartieri più poveri e socialmente vulnerabili.

Lavori informali e di sussistenza impegnano la maggior parte della popolazione economicamente attiva di questi quartieri: raccolta e riciclaggio di rifiuti, lavori domestici presso famiglie benestanti, vendita di prodotti per catalogo, lavoro nei campi (definito dai locali “machete”), vendita di alimenti per strada e nei mercati. Si aggiungono poi attività illecite, come prostituzione, spaccio, furti e accattonaggio. In tutte queste attività, tanto in quelle lecite quanto in quelle illecite, sono coinvolti anche minori, alcuni in forma sporadica – prima o dopo l’orario scolastico, nei fine settimana o durante le vacanze – altri in forma costante, diventando la loro principale occupazione quotidiana, a sacrificio della loro istruzione.

La mancanza di risorse ha costretto, e costringe, la maggior parte delle persone “appartenenti” agli scaglioni più bassi della piramide sociale di Santo Domingo a vivere in piccole abitazioni, spesso costituite da un’unica stanza, e spesso costruite con materiale di scarto. Nonostante le ridotte dimensioni delle case, esse arrivano ad ospitare 10-12 persone, non di rado membri di nuclei famigliari estesi, disarticolati e poco stabili. Il sovraffollamento abitativo rappresenta una condizione di alto rischio per l’incolumità psico-fisica dei minori. Sovraffollamento significa di fatto il venire meno di spazi privati, come una stanza propria o un proprio letto, che devono essere condivisi con altri membri della famiglia, situazione che li espone a violenze ed abusi. La mancanza d’intimità può anche significare dover assistere alle relazioni sessuali degli adulti, ed il rischio di sviluppare attitudini ipersessualizzate rispetto alla loro età biologica e mentale.

Povertà significa anche fame e malattie. L’impossibilità di poter assicurare pasti equilibrati con un corretto apporto calorico e nutrizionale, comporta problemi di denutrizione e malnutrizione – tanto a minori quanto ad adulti – così come anemia, diabete, alterazioni dei livelli di colesterolo, tra gli altri.
A queste si sommano malattie endemiche del territorio, come il dengue o la leishmaniosi (entrambe trasmesse da zanzare infette), alle quali le popolazioni povere sono maggiormente esposte a causa della difficoltà di acquistare strumenti di prevenzione e protezione (zanzariere, repellenti) e dell’insalubrità del contesto territoriale ed ambientale in cui sono inseriti (accumulo di rifiuti, presenza di acquitrini e/o pozze stagnanti in prossimità delle abitazioni e al loro interno).

Con 4965 casi (18,5 casi per 100.000 abitanti)[1], e 272 decessi (0,70 casi per 100.000 abitanti, vale a dire il 3,8% dei contagiati totali riportati), l’Ecuador è tra i paesi più colpiti dal Covid-19 in America Latina. [2] Il timore reale è una replica a livello nazionale di quanto sta già accadendo nella provincia del Guayas, la quale conta il 68% dei casi di contagio totali e un sistema sanitario e sociale al collasso. Secondo i dati ufficiali, forniti dal Ministerio de Salud Pública (Ministero della Salute), a Santo Domingo i casi positivi registrati ai primi di aprile sono 46.

In ottemperanza alle normative nazionali, la provincia ha adottato le misure necessarie per contenere i contagi e la propagazione del virus: divieto di spostamenti internazionali e interprovinciali, proibizione di eventi massivi, sospensione della giornata lavorativa, coprifuoco a partire dalle 2 del pomeriggio, spostamento alternato delle persone in base alla cifra finale del proprio documento d’identità per l’acquisto di beni di prima necessità.[3]
Fermo restando la necessità impellente di misure di contenimento – per evitare, tra gli altri, il rischio di un totale collasso sanitario – è doveroso tener conto della realtà sociale nella quale queste vengono adottate e quindi analizzare le difficoltà e i limiti nella loro applicazione o che, dalla loro stessa applicazione, potrebbero emergere.

Povertà – In Ecuador, dove il 38,1% della popolazione vive in condizioni di povertà multidimensionale, vale a dire che 38 persone su 100 soffrono di privazione di beni e servizi essenziali relativi a salute, istruzione e tenore di vita, il 40% della popolazione è impiegata in settori con maggior rischio di disimpiego in relazione alle chiusure derivate dall’epidemia: settore turistico, immobiliare, artistico, area commerciale e negozi[4]. In questo contesto economico e sociale,  la restrizione di movimento e il divieto di attività non strategiche significano il venir meno delle attività di sussistenza alla base dell’economia delle famiglie a basso reddito o senza reddito fisso. In una realtà in cui risulta difficile, se non impossibile, far ricorso a risparmi o altre fonti d’ingresso, l’impossibilità di lavorare significa accrescere le condizioni di vulnerabilità di una popolazione già sottoposta a malnutrizione e malattie. Inoltre, essendo molte le abitazioni in affitto, non poter contare su una entrata minima potrebbe significare anche lo sfratto, e quindi la sovraesposizione al contagio, non avendo un luogo in cui stare, o accrescendo le condizioni di sovraffollamento di parenti e/o vicini. D’altra parte, come accennato precedentemente, le popolazioni più povere non possono far fronte a spese per l’acquisto di strumenti di protezione per prevenire il contagio di malattie infettive ed endemiche, situazione che si riflette nell’emergenza attuale, nella difficoltà di acquistare mascherine, guanti o altri prodotti, raccomandati e/o imposti – è il caso delle mascherine – dai decreti del COE Nacional (Comité de Operaciones de Emergencia – Comitato Operazioni d’Emergenza). Inoltre, devono essere tenuti in conto quei cittadini – adulti e minori – privi di documenti d’identità, perché mai iscritti all’anagrafe o ad altre tipologie di registri civili, e di conseguenza esclusi dalle politiche e strumenti ufficiali di sostegno sociale.

Violenza – È necessario considerare che le misure di restrizione della mobilità umana possono acuire situazioni di abusi e violenza intrafamiliare e domestica, in un contesto socio-culturale in cui, in situazione di “normalità”, si registrano tra i più alti tassi di aggressioni e femminicidi nel Paese. Secondo uno studio realizzato dalle Nazioni Unite, le vittime sono più vulnerabili, in quanto costrette a convivere per un tempo prolungato e continuativo con il proprio aggressore.[5] Il divieto alla mobilità delle persone rappresenta un ostacolo nel momento in cui è necessario sporgere denuncia presso le autorità giudiziarie, e un allontanamento (e isolamento) dalle possibili reti di sostegno. Inoltre, si potrebbe assistere ad una possibile interruzione dei servizi di assistenza, in quanto gli operatori sanitari e sociali sono impiegati nella gestione dei casi di COVID-19.

In una realtà come quella ecuadoriana, il collasso del sistema sanitario, sociale ed economico, conseguenza delle sfide e difficoltà causate dalla propagazione del coronavirus, può avere un impatto drammatico tanto nell’immediato, quanto nel medio-lungo periodo (periodo di ripresa). È quindi indispensabile rafforzare le politiche di contenzione, in modo da diminuire il numero di decessi e contagi. Allo stesso tempo devono essere adottate strategie, che affianchino quelle attualmente in vigore, che permettano il sostegno e la tutela di categorie specifiche della popolazione sia durante l’epidemia che nel periodo posteriore, con l’obiettivo di impedire un drastico peggioramento delle condizioni di vita di quelle popolazioni che già in condizioni di “normalità” sono soggette a insicurezze e gravi privazioni.

[1] https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-52131238
[2]http://www.salud.gob.ec/wp-content/uploads/2020/04/Boletin-041-AM_Nacional.pdf
[3]https://www.eluniverso.com/noticias/2020/04/03/nota/7803393/medidas-restrictivas-se-amplian-todo-abril-habra-zonificacion; https://coronavirusecuador.com/
[4]https://bbc.com/mundo/noticias-america-latina-52220090
[5]https://www.unwomen.org/en/digital-library/publications/2020/04/issue-brief-covid-19-and-ending-violence-against-women-and-girls

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