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Caschi Bianchi Kenya

Le madri coraggio del progetto Disability – Cap. 2 “La medicina più forte di tutte”

Nel secondo capitolo del suo racconto, Matilde ci presenta la mamma di Beatrice, la sua costanza e determinazione quotidiana nello stare vicino alla figlia affetta da paralisi celebrale

Scritto da Matilde Giunti, Casco Bianco con L’Africa Chiama – Focsiv a Nairobi

Beatrice Njoki è una bambina di otto anni ed è uno dei beneficiari dei progetti de L’Africa Chiama a Nairobi. Tuttavia non vive nelle vicinanze di Soweto; la sua casa è lontana un’ora e mezzo e per coprire questa distanza nella prima parte del viaggio prende un matatu (i tipici bus del Kenya che tutti usano per spostarsi, molto scomodi e sempre super affollati), mentre nel resto del tragitto la mamma è costretta, nel migliore dei casi, a pagare una motocicletta-taxi, oppure più normalmente a camminare per un’ora a piedi portando Beatrice sulle spalle.
Beatrice è infatti affetta da cerebral pulsy, paralisi cerebrale, una delle patologie più comuni tra i bambini del nostro centro di fisioterapia, ed è appunto una beneficiaria del progetto Disability. La mamma, una donna molto affettuosa e premurosa nei confronti della figlia, racconta la loro storia con grande serenità.

La bambina era nata prematura ad 8 mesi e sia lei che la gemella subito dopo la nascita avevano contratto l’ittero che le aveva costrette a stare in un’incubatrice per ben due settimane.
Sfortunatamente questo problema se non passa rischia di causare danni permanenti al cervello ed è proprio quello che è successo a Beatrice: ad appena dieci mesi di vita aveva già ricevuto una diagnosi di paralisi celebrale, mentre la sorellina era riuscita a riprendersi completamente.
Adesso Beatrice non cammina e molto probabilmente, come ha confermato la fisioterapista alla mamma, la situazione resterà tale per sempre.

Tuttavia, di fronte a questa triste consapevolezza, la mamma non si è mai data per vinta: fin dall’inizio dei problemi aveva capito che dare le giuste attenzioni alla figlia e alla sua condizione avrebbe permesso a tutta la famiglia di avere una vita migliore.
Così, subito a partire dai dieci mesi la piccolina aveva iniziato la terapia nel più grande ospedale pubblico di Nairobi, aiutata da esperti che la seguivano passo passo. All’età di cinque anni è entrata nel programma Disability de L’Africa Chiama e da allora ogni martedì mattina la vediamo arrivare felice col suo sorriso smagliante per affrontare le sedute di fisioterapia.

Ovviamente la vita di tutta la famiglia si è dovuta adattare in funzione delle esigenze di Beatrice, ma chi senza dubbio ha sentito maggiormente su di sé il peso della situazione è stata (come avviene nella maggioranza dei casi come questo) la mamma. Gloria aveva un lavoro come segretaria, era una professionista e percepiva un discreto stipendio (cosa più che rara da trovare in una periferia di Nairobi). Eppure ha deciso di lasciare tutto per non rischiare di affidare la bambina a qualcun altro che magari non sarebbe stato in grado di darle il meglio ogni singolo giorno: chi può fare questo, infatti, può essere soltanto la mamma, racconta Gloria molto fiera, anche se ciò vuol dire rinunciare a tante cose, non solo al lavoro. Il ritmo delle sue giornate è scandito dalle attività che riguardano la cura di Beatrice (oltre che la pulizia della casa), ma non lo dice con rassegnazione: la sua scelta è stata dettata da motivi ben precisi e vuole continuare a dare il meglio a Beatrice ogni giorno. È per questo che ha sempre voluto che seguisse la fisioterapia, perché, pur consapevole che questi trattamenti non potranno portare ad un completo e definitivo recupero fisico – è lei stessa che lo spiega: “Il cervello danneggiato non si può riparare come una gamba o un braccio rotti” – sa che servono lo stesso alla bambina. I massaggi e gli esercizi della fisioterapista la aiutano a mantenere i muscoli attivi, gli attrezzi che utilizza ogni martedì nel centro sono di aiuto per tenere una posizione eretta, oltre che per sviluppare altre potenzialità del corpo.

Beatrice non ha mai camminato e non lo potrà mai fare, ma se non fosse stata sottoposta ad una continua ed efficace terapia per lunghi anni, la sua condizione adesso sarebbe di gran lunga peggiore. Sarà forse per questo che è sempre contenta, che è la più sorridente di tutti i bambini che fanno parte del programma. E la sua mamma, nonostante tutte le difficoltà, si vede che è molto serena. Partecipando al programma non trae beneficio solo dal notare che Beatrice è felice e si mantiene attiva, ma anche dal sapere che non deve stressarsi per pagare sedute efficaci ma magari molto costose (così come succede negli ospedali o negli altri centri di fisioterapia) e che può condividere tranquillamente qualsiasi problema con le altre mamme di bambini disabili che incontra al centro.

E se secondo lei la medicina migliore per aiutare la bambina è la terapia, ascoltando tutta la storia di Beatrice e della sua famiglia, viene da pensare che di sicuro la medicina più forte di tutte sia l’amore della mamma.

Leggi anche: Le madri coraggio del progetto Disability – Cap. I “Alzarsi in piedi da soli (e da sole)”

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