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Caschi Bianchi Ecuador

Mi sono fatta da sola

Giovanna decide di comunicare attraverso un racconto le vite dei bambini che in questo anno ha incontrato ed accompagnato: “la storia è ispirata alle loro vite, alla loro quotidianità, a ciò che in un anno ho visto con i miei occhi e ascoltato con le mie orecchie”. 

Scritto da Giovanna Marotta, Casco Bianco con Engim Internazionale a Quito

Mi chiamo Giovanna e quest’anno ho svolto il mio Servizio Civile a Quito, in Ecuador con la Ong italiana Engim Internazionale. Più precisamente, ho lavorato al Ceipar – Centro d’educazione integrale Paola di Rosa – nel quartiere Yaguachi, al sud della capitale. Il Ceipar costituisce da anni il punto di riferimento per centinaia di bambini, adolescenti, adulti e senza tetto del quartiere, offrendo loro ogni giorno sostegno scolastico, alimentare, sanitario e psicologico. Si tratta di un centro gestito da un gruppo di suore missionarie della congregazione italiana delle Ancelle della Carità.

Il racconto presentato vuole racchiudere in poche righe solo alcune delle situazioni e delle difficoltà che i bambini del Ceipar si trovano a dover affrontare ogni giorno. Come una sorta di collage, la storia è ispirata alle loro vite, alla loro quotidianità, a ciò che in un anno ho visto con i miei occhi e ascoltato con le mie orecchie. Mi sono lasciata trasportare dall’immagine dei loro sorrisi e sguardi, dagli abbracci infiniti e dalla tanta voglia di ricevere e donare affetto. Un anno al Ceipar vuol dire tanto; vuol dire scontrarsi con dure realtà, fare i conti con la propria sensibilità per non demordere. Ma alla fine si esce sempre trionfanti, con il sorriso sulle labbra dal tanto amore ricevuto.

«Mi globito azul zul zul zul / al cielo se va arriba / y cantando va lallerollerollà / y cantando va lallerollerollà». – Mi sento una qualunque quando canto questa canzone. Incrocio gli sguardi dei miei compagni. Sorridono tutti a parte Alex. Oggi é imbronciato perché gli hanno rubato la pelota. Ogni giorno ne trova una nuova per farsi quei cinque minuti di pianto finto, di quelli senza lacrime e grida a squarciagola. A me comunque questa canzone piace proprio…la chiedo sempre alle mie tías, tutte le mattine alla dinamica di gruppo. Mi fa rivivere i momenti della mia infanzia, la semplicità dei gesti, la volontà di credere nelle piccole cose. La mia infanzia la sto vivendo. Ho 10 anni, sono nata nel mese di maggio, in un giorno qualunque. Mia mamma dice di volermi lasciar vivere questa magia di poter essere nata tutti i 31 giorni del mese ma la verità è che non se lo ricorda. Fatto sta che il mese di maggio per me é un po’ festa ogni giorno. E’ il mese della fine delle piogge, quelle dure aggraziate dal Niño, di quelle così dure da non riuscire a sentire la voce di mia sorella che dall’altro angolo del letto mi grida qualcosa di indecifrabile. Di quelle così dure che quando cammino per strada mi pare di stare su una tavola da surf, in un mare agitato. L’acqua s’attacca in tutti i lati dei miei vestiti, inzuppando sempre di più le scarpe tanto che quando cammino fanno uno strano rumore «ciac, ciac, ciac».

Da qualche settimana sono riuscita a leggere per la prima volta e ho deciso di farlo con alcune righe di un libro che si chiama Mi primer platero. Di questo libro mi ha sempre affascinato il disegno sulla copertina: un asinello grigio e paffuto circondato da farfalle colorate e uccellini blu. Un’aria buffa e sorridente, spensierata. Un asino amico inseparabile di un poeta, un’amicizia profonda, di quelle che durano fino alla morte. Sto scoprendo la magia delle parole scritte, non solo quelle dette, quelle quotidiane. Le parole scritte hanno un fascino diverso, ti sembrano più impegnative perché se quedan per sempre. Leggere e scrivere, che bella sorpresa!

« A L-O-S D-O-S L-E-S G-U-S-TA-B-A L-A T-R-A-N-Q-U-I-L-I-D-A-D Y E-L S-I-L-E-NC-I-O » (da leggere con l’indecisione di qualcuno che ha appena imparato a leggere): le parole scritte hanno un fascino tremendo! Sembra sempre che stiano parlando di te. Anche a me piace il silenzio. Preferirei il silenzio alle grida di mia madre, ai suoi lunghi pianti arrotolata per giorni interi nelle umide lenzuola del nostro letto. Sí, perché lei di uscire non ne ha voglia, di lavorare neanche.
Non é grazie a lei se ho letto le mie prime righe, non é grazie a lei se riconosco i numeri, non é grazie a lei neppure se ho imparato a lavarmi e a curare i miei denti, il mio viso.

– Alzati da questo letto, fai la mamma! Fammi da mangiare, lavami i vestiti, curami, abbracciami, baciami, raccontami di te, fa qualcosa! Carajo!!! – Questo dovrei urlarle invece di coccolarla per ore, accarezzandole i lunghi e annodati capelli mentre lei, con la testa quasi interamente sommersa sotto le lenzuola, non mi da alcun cenno di gradimento. Io ci provo sempre a darle un po’ della mia energia, della mia positività ma lei non si lascia influenzare. – Ho la testa piena di pensieri, lasciami stare – spesso mi risponde. E’ il pensiero di essere sola in questo mondo, di essersi sentita abbandonata dai suoi amanti, dai suoi amori perduti, dalla sua gioventù non vissuta.

L’altra sera tornando da scuola, l’ho trovata fuori casa, dall’altra parte della strada, fissando il portone. Mi sono spaventata nel vederla. L’ultima volta che l’ho vista uscire di casa era perché c’era la polizia che voleva sbatterci fuori. « Cosa succede? » – le grido da lontano mentre con il cuore a mille aumento il passo. Di quella sera ricordo il fumo, le fiamme, le mie bambole bruciate, quel che restava del mio libro di lenguaje e la faccia di mia sorella quando ha riconosciuto tra le varie bruciature la foto di suo padre, l’unico ricordo di quell’uomo mai conosciuto.

Le mie giornate migliori si concludono nell’unico posto che mi da tranquillità: la Cima della Libertà. Non a caso hanno dato questo nome al posto. Qui ci si può sentire persone libere, da questa prospettiva tutto sembra più tranquillo. Seduta sul prato di questa cima montagnosa a picco sulla città, i miei pensieri più belli volano. Di fronte a me sulla cima opposta, la vergine del Panecillo controlla la città di Quito e le sue casine. Un agglomerato di cemento colorato, dai palazzi più alti alle case basse dal tetto piano. E’ tutto più bello da qui. La tristezza non esiste, i pensieri sono altri, le immagini davanti agli occhi mi caricano di speranza. E quando calano le nuvole mi sembra di volare, come il mio globito azul… lontano dalla mia realtà, senza cessare di osservarla dall’alto.

A Gisella e Allison e

ai 300 bambini e adolescenti del CEIPAR

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