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Bolivia Caschi Bianchi

El temor de no ser visto

I ragazzi che incontra Maria, hanno dimenticato l’amore. Venire a contatto con questa ingiustizia – permessa dalle famiglie e dallo stato boliviano – ha spinto lei a ritrovarlo dentro di sé, con la voglia di aiutare a sua volta i ragazzi di strada che incontra.

Scritto da Maria Petrella, Casco Bianco con Apg23 a La Paz

Svolgo il mio servizio civile in Bolivia a La Paz, la capitale governativa del paese.
Una contraddizione urbana che si presenta come un canyon: nella sua parte più alta – El Alto – vive la popolazione più povera, mentre a valle si concentra la popolazione più ricca, nella zona Sur. Sembra in continua costruzione, le case si innalzano coraggiosamente sulle montagne. E’ la città più indigena e allo stesso tempo cosmopolita del paese. Di notte si trasforma in una meraviglia e vederla dall’alto ti lascia senza fiato. Dietro a questo fascino si nascondono contraddizioni sociali e realtà di grande povertà economica e morale. E’ una città da conoscere, comprendere, che ti mette di fronte a tanti punti interrogativi.

Il mio servizio si svolge maggiormente tra Comedor e Guarderia. Entrambe le strutture si trovano proprio nella città di El Alto. La prima è un centro diurno dove si garantisce un pasto e un sostegno scolastico a bambini e ragazzi lasciati a se stessi, di famiglie con storie complicate e povere. La seconda concede uno spazio di protezione e amore a bambini tra 1 e 4 anni. Cosa che forse a loro mancherebbe. Spesso sono figli di madri sole e di famiglie che faticano a sostenersi.

Qui l’attenzione al bambino viene meno, forse in Italia la premura alle volte è portata all’estremo, qui invece si lascia che impari a proteggersi da solo. Le famiglie sono spesso molto numerose, composte da tanti fratelli, figli di diversi matrimoni. Così che alle volte, i figli del primo matrimonio della madre o del padre vengono abbandonati per problemi economici e per un’impossibilità di cura. << Vai, fatti la tua vita. Arrangiati!>>. La strada diventa la nuova casa di questi bambini e ragazzi, il rubare la loro forma di sostentamento e la droga la loro fonte di sopravvivenza, i compagni che incontrano: la loro famiglia.

Dite a mia madre che non tornerò. Andai verso il mare senza barche per traversare, spesi cento lire per un pesciolino d’oro. Andai verso il mare senza barche per traversare spesi cento lire per un pesciolino cieco.”

Cito questo frammento di “Sally” una canzone di Fabrizio De Andrè. Racconta la storia di un bambino che si ritrova adulto e si perde nella durezza della vita. Come questi bambini ai quali viene rubata l’innocenza dell’infanzia e non torneranno più indietro, senza né madre né padre, senza casa, senza meta. Si ritrovano a navigare in un mare senza barca e senza remi, in groppa a un pesciolino cieco senza più la forza di intravedere un orizzonte. Non torneranno più a casa.

E’ qui che inizia un’altra parte del mio servizio: il servizio di strada.
Il mercoledì sera a partire dalle 21:30 andiamo a incontrare proprio loro, i cosiddetti “chicos de calle” (ragazzi di strada) per gli angoli scuri delle strade della città. Sono divisi in gruppi e ogni gruppo è “padrone” del suo pezzo di strada, non li incontri sempre e non li incontri sempre tutti. I loro volti sono stanchi, segnati da cicatrici, provati. Gli occhi persi e colmi di dolore e rassegnazione. I loro corpi deformati a poco a poco dal freddo, dal cemento e dalla droga. Non li dimentichi se li vedi anche solo per una volta. Dalle loro mani sporche spuntano fili di cotone imbevuti di gasolina (benzina) mescolata alla clefa (colla), una combinazione micidiale. Frugano nelle loro tasche vuote per cercare una boccettina di plastica riempita di questo liquido che inala un odore acre, pungente, nauseante. Con un gesto rapido e naturale inumidiscono i fili di cotone che stringono nella mano e inalano. Inalano per non sentire il freddo, per mettere a tacere lo stomaco che grida fame, per tenersi svegli, per dimenticare.

Noi li andiamo a cercare per condividere con loro una bevanda calda e un pezzo di pane. L’obiettivo non è dargli da mangiare, l’obiettivo è creare una relazione di fiducia con loro.

Le due signore, madre e figlia, con le quali andiamo a fare questo servizio hanno una casa di accoglienza: la “Fraternidad”. E’ proprio lì che si cerca di convincerli ad andare perché forse a poco a poco, possano convincersi a lasciare la strada. La strada che ormai tanto amano, a loro paradossalmente così comoda e familiare.

Non è facile entrare in relazione con loro, le prime volte ti guardano schivi, infastiditi. Sembra che nel loro sguardo silenzioso ti vogliano dire: << che vuoi tu? Che ti importa di noi? Non ti intromettere!>>. Assolutamente rigoroso salutarli con il saluto di strada, devi far scivolare la tua mano sulla loro e poi battere il pugno. Ti sentirai chiamare: <<SEÑOO!>> (signora) e ti guadagnerai volta per volta la loro ”fiducia”.
Difficilmente riesci a farti raccontare di loro anche perché più si fa buio più sono “volados”. Si dice così per dire che sono drogati di questa droga che ti ruba alla vita.

Una volta ho chiesto ad un ragazzo che chiamano Mandingo, perché si trovasse in strada e perché non volesse lasciarla e mi rispose: << Alla strada ci si abitua e io ormai ci sono abituato. Quando avevo 15 anni mia mamma morì e io mi ritrovai qui. Poi c’è la droga e nemmeno quella la lasci>>.
Mandigo ha lo sguardo vispo e un sorriso da bambino, il suo corpo è pieno di tremori e ha appena 21 anni.

“Porque dime tanto miedo a la melancolia si supuestamente los chicos de la calle sufren cada dia? “

Dalla Fuente del Prado, la strada principale del centro di La Paz, si odono incisive le rime del Choco un altro ragazzo di strada che tutti conoscono per il suo carisma ma soprattutto per l’hip-hop che forse è l’unica cosa che lo tiene aggrappato alla realtà. C’è chi gli porta un altoparlante e un microfono per concedergli un momento di libertà, un momento per essere visto. Per concedergli uno spazio di umanità, per regalargli il diritto di far sentire la sua voce e la voce di tutti i suoi compagni.“Perchè dimmi tanta paura della malinconia se i ragazzi di strada soffrono ogni giorno?”

Si poco a poco pongo de mi parte voy a salir adelante!(…) Todos mis amigos son los chicos de la calle mejor que te calles. (…) Bienvenido al mundo del Choquito con solo onze anos de edad ya lo ven como un maldito. Su unico delito es no tener sus padres. Fue adandonado y bautizado por la calle con la panza vacia. Venden chicles…” – “Se poco poco ci metto del mio vado avanti! (…) Tutti i miei amici sono i ragazzi di strada è meglio che te ne stai zitto. (…). Benvenuto nel mondo del Choquito a soli 11 anni già lo vedono come un maledetto. Il suo unico crimine è quello di non avere genitori. Fu abbandonato e battezzato per la strada con la pancia vuota. Vendono gomme da masticare…”.

Credo che in queste parole ci sia tutto, o gran parte, di quello che c’è da sapere su di loro. Le sue rime raccontano questa realtà con disarmante chiarezza. Vanno avanti con quello che possono, quello che sanno, quello che si inventano. C’è chi vende gomme da masticare, chi giornali, chi pulisce le scarpe, chi canta rap.

Sopravvivono, non vivono. La gente non li vede perché è più comodo chiudere gli occhi davanti alla loro sofferenza. Benvenuti nel mondo dei ragazzi di strada lasciati soli, senza identità, abbandonati con un grido nello stomaco, con il vuoto nel cuore. Spesso in strada trovano la morte e nemmeno questo li sradica dalla strada. C’è un forte senso di appartenenza a questa e ai compagni. Loro diventano la tua famiglia perché sei stato lasciato solo. Sono due le dipendenze che hanno: la droga e la strada. Forse la seconda è la più difficile da abbattere. I legami che si creano tra loro sono fortissimi e non sempre questo è positivo, si proteggono a vicenda però allo stesso tempo il gruppo li incatena lì. Ti abitui a questa vita e ti sembra l’unica possibile, perdendo l’abitudine alla normalità, all’amore, all’essere amato senza condizioni.

Nell’incontro con loro è nata in me tanta rabbia e un’enorme impotenza. Nel mio passato ho vissuto forti abbandoni e mi sono sentita spesso “una ragazza di strada” o ho rischiato di poterlo essere, anche se è molto diverso. Racconto di loro perché ho sentito una grande vicinanza a questa realtà e sentivo di dover mettere una distanza. Mi è successo di non darmi valore, di non volermi bene e di pensare che non ci fosse un posto che potessi chiamare casa. Grazie a loro ora so di avere una casa e che c’è amore e famiglia dentro di me. Ho imparato tanto e continuo ad imparare e per questo mi sento di dovergli molto.

La grande debolezza di questi ragazzi è quella di non essere stati amati abbastanza, si sono dimenticati dell’amore e non sanno più volersi bene. Così lasciano che le loro giornate si consumino con la convinzione che per loro non ci sia un posto migliore. Scrivo perché spero che questo possa servire in minima parte a dargli valore, ad essere visti, per sdebitarmi.

Non sono qui per salvare nessuno, sono qui per osservare e quello che vedo è ingiustizia. Il problema non parte dalla strada, parte dalle famiglie e ancora più in alto dallo stato che non fa niente per evitare che si crei questa situazione.
C’è una quantità incredibile di associazioni che cercano di migliorare le loro condizioni di vita, che gli portano cibo, vestiti e gli offrono la possibilità di impegnarsi in qualche lavoretto. Tutto questo li mantiene in strada e non voglio dire che sia sbagliato, anzi sembra che sia l’unica cosa che si possa fare per loro.

La Bolivia è uno dei paesi con il più alto tasso di lavoro minorile, la legge permette di lavorare dai 10 anni d’età perché lo stato non è in grado di sostenere le famiglie più povere. Prima della legge (2014), il tasso di lavoro minorile era già al 26% ed oggi i minori e adolescenti (tra i 5 e i 17anni) coinvolti in attività economiche sono circa 850.000. Solo il 39% dei minori che lavorano riesce a frequentare la scuola (ILO “Marking progress against child labour- Global estimates and trends 2000-2012”, 2013). Questa è una delle maggiori cause per le quali i bambini di queste famiglie cominciano dal lavoro in strada a diventare ragazzi di strada.

Dedico questo scritto ai ragazzi di strada che sono morti e che ho conosciuto:
a Ibi e Brian.
Non chiudete gli occhi, mai.

Ma c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada”.

 

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