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Caschi Bianchi Zambia

Uno Zambia che avevo sotto gli occhi ma non riuscivo a vedere

Margherita, Casco Bianco in Zambia con Apg23, ci racconta come sta vivendo il nuovo progetto Adoption by Affiliation al quale ha deciso di aderire non senza timori. Ogni giorno si trova ad affrontare difficoltà e contraddizioni, ad abbandonare aspettative e a cercare di superare i propri limiti per poi riscoprire “un popolo dal quale ora riesce a farsi stupire”.

Scritto da Margherita Ambrogetti, Casco Bianco Apg23 a Ndola

Descrivere in poche righe i cambiamenti che questo servizio civile ha apportato in me è complesso ma anche stimolante. A distanza di otto mesi dal mio arrivo in Zambia, nel marasma confuso di un’esperienza edificante e di difficile definizione, l’unico aspetto che mi è chiaro è come l’aver imparato ad affidarmi, senza “se” e senza “ma”, sia stata la chiave di volta che mi ha permesso di vivere appieno questa avventura.

Dopo tre mesi di servizio con persone disabili, infatti, mi è stato proposto di cambiare progetto per seguire bambini e ragazzi sotto adozione a distanza (ABA = Adoption by Affiliation). Questo programma permette alle fasce più vulnerabili della popolazione, la maggior parte in Zambia, di poter ottenere un’istruzione adeguata, sovvenzionando il pagamento delle tasse scolastiche, altrimenti proibitive, a diversi ragazzi zambiani. Ho dovuto superare il timore di non essere all’altezza, data l’enorme responsabilità che il progetto comporta, la paura di non riuscire ad imparare in breve tempo il modo più giusto per muovermi, con rispetto nei confronti delle famiglie dei beneficiari di ABA, ma anche con determinazione dato che stimolarli ad un impegno maggiore a scuola è necessario e doveroso. E, dopo qualche mese, posso dire che questo inaspettato cambio di programma sia stato la mia fortuna, perché mi ha permesso di conoscere uno Zambia che prima avevo sotto agli occhi, ma non riuscivo a vedere, e lo “squarcio nel velo”, seppur minuscolo, non è stato permesso da me, ma da coloro con cui, di volta in volta, ho avuto la fortuna di rapportarmi. E questa “meraviglia della scoperta” ha toccato il suo apice quando mi sono trasferita, per poco più di un mese a Mansa, il piccolo capoluogo della verdissima regione del Luapula, a nord-est dello Zambia.

Il mio compito era quello di monitorare l’andamento scolastico dei 59 ragazzi sotto adozione, e la loro situazione familiare. L’impatto con la vita nei villaggi, così diversa rispetto a quella a cui ero abituata a Ndola, è stato sconvolgente, una vita semplice scandita dal sorgere e il tramontare del sole, una vita che si è fermata a migliaia di anni fa, al riparo delle accoglienti capanne col tetto in paglia. La prima impressione è stata quella di trovarsi in un mondo parallelo, dai paesaggi bucolici, di una perfezione che apre il cuore e la mente, in cui la percezione predominante è quella di essere un tutt’uno con la natura che ti circonda, in cui ti dimentichi per un momento di te stesso, e puoi godere di una delicata serenità che pervade tutto l’essere. Ma in un secondo momento, mi sono resa conto di come questa apparente perfezione sia solo il lato buono della medaglia che, dall’altro lato, mostra la sofferenza che le dure condizioni che questa vita porta con sé, sofferenza celata sempre da cordiali sorrisi di benvenuto, accoglienti e disarmanti. Le contraddizioni con cui sono dovuta venire a patti sono tutt’ora insormontabili, e di nuovo ho sentito le ben note barriere culturali crescere all’improvviso, senza possibilità di controllo.

L’altra difficilissima sfida, un vero conflitto interiore con cui devo fare i conti quotidianamente, è stata quella di dover rinunciare alla mia presunzione di voler e dover comprendere appieno le persone con cui mi relaziono, capire ciò che loro pensano, sentire ciò che loro sentono, con le stesse modalità, per “costruire ponti” e creare una connessione. La bruciante frustrazione per una presunzione offesa si è spesso ritorta contro di me e contro lo stesso popolo zambiano, con una rabbia capricciosa che a volte mi ha impedito di relazionarmi senza aspettative.

Di giorno in giorno, quindi, imparo a lasciare andare, ad essere più indulgente sia nei miei confronti, abbandonando un approccio analitico e razionale che non mi aiuta, sia nei confronti di un popolo che continua ad essere un affascinante punto di domanda, ma dal quale ora riesco a farmi stupire. Mi sono concessa il lusso di sentire, di vivere senza chiedere i “come” e i “perché”, e mi sono riscoperta molto più arricchita e curiosa di prima. Come già qualcuno prima di me ha detto, il segreto sta nel viaggio, nel cammino, non nella meta. Gli stessi zambiani hanno un proverbio nella loro lingua locale, il bemba, che recita così: “Ukutangila tekufika”, “Stare davanti non significa raggiungere la tua destinazione”. In altre parole, l’avere la fretta di arrivare ad un senso, ad una conclusione, ad una spiegazione, non permette, in definitiva, di arrivare a conquistare l’oggetto della ricerca. Quello che conta è godersi il percorso necessario che sta nel mezzo, passo dopo passo. Una bella lezione da imparare, che non mi rende poi così distante da loro.

Il progetto Adoption by Affiliation

Il progetto  ABA (Adoption by Affiliation) è stato avviato nel 2002 a Ndola, Copperbelt Province, e nel 2006 a Mansa, Luapula Province, con l’intento di sostenere i cosiddetti OVCs – Orphans and Vulnerable Children e le famiglie di provenienza, alleviandone la condizione di estrema povertà in cui si trovavano a vivere. Inizialmente l’aiuto era finalizzato alla copertura delle esigenze primarie, essenzialmente alimentari e in alcuni casi abitative; il programma si è poi modificato nel corso degli anni ed è attualmente focalizzato sul sostegno scolastico, dal momento che le tasse per poter accedere al sistema scolastico zambiano sono attualmente proibitive per la maggior parte della popolazione: bambini e ragazzi vengono segnalati in relazione alle particolari condizioni di disagio economico e sociale in cui si trovano a vivere e viene data loro la possibilità di iniziare o proseguire gli studi – ciò significa provvedere alle tasse scolastiche annuali, alla fornitura dell’equipaggiamento e dei materiali richiesti dai diversi Istituti.


ABA Program attualmente sta sostenendo un totale di 78 bambini e ragazzi tra Ndola e Mansa, rispettivamente 19 e 59, monitorati sul campo da un membro della Comunità Papa Giovanni XXIII a Mansa e un volontario a Ndola. Ogni giorno però arrivano nuove richieste di supporto all’Associazione da parte di genitori o adulti affidatari, il cui numero aumenta di giorno in giorno, senza possibilità, a volte, di poter essere accolti. Chiunque può adottare: basta andare sul sito di Condivisione fra i Popoli sotto la sezione “Adozioni a distanza”, scaricare e compilare un modulo e inviarlo all’equipe che segue le adozioni. Con un contributo di 26 euro al mese si può concretamente fare la differenza per molti bambini zambiani, offrendo loro la possibilità di studiare e di costruirsi un futuro diverso.

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